Adesso che servono le risorse per ristrutturare, circa 23 miliardi stimati dal ministero delle Infrastrutture (Mit), le autostrade potrebbero presto tornare per intero sotto la gestione dello Stato. È questo il senso principale della riforma su cui sta lavorando il ministro Matteo Salvini. L’altro obiettivo del provvedimento annunciato nelle settimane scorse sarebbe quello di garantire tariffe più omogenee sulle 25 concessionarie della rete autostradale.

Una premessa. Lo Stato tre anni fa ha rilevato, attraverso la Cassa depositi prestiti in cordata con i fondi Blackstone e Macquarie, la proprietà di Autostrade per l’Italia (Aspi), ceduta dalla holding Atlantia dei Benetton. Ora non si capisce se Aspi, che gestisce metà della rete nazionale, verrebbe riacquistata dalla costituenda newco “Autostrade dello Stato” prospettata da Salvini.

I Benetton avevano incassato una ricca “buonuscita”, circa 8 miliardi di euro, grazie a un decreto dell’ottobre del 2022. Questo decreto doveva essere l’occasione per impostare una nuova ed efficiente regolazione pubblica per i concessionari che gestiscono i seimila chilometri della rete autostradale italiana.

Adesso, invece, la costituenda holding Autostrade dello Stato sembra coincidere con una nuova forma di concessione pubblica piuttosto che con una vera e propria riforma del settore. Quella del Mit è una scorciatoia utile solo a creare un altro carrozzone di cui per ora si conoscono soltanto i nomi dei tre amministratori designati, Vito Cozzoli (ad), Carlo Vachi e Gioia Gorgerino.

Nel decreto non è indicato come si rapporterebbe la newco di Salvini con Aspi. Pochi giorni fa quest’ultima, chiudendo il bilancio 2023, ha distribuito dividendi per 230,8 milioni e ha approvato di girare ai soci Cdp, Macquarie e Blackstone parte delle riserve disponibili per 120,7 milioni di euro. Quindi verranno distribuiti 350 milioni. Perché allora non recuperare già da qui parte delle risorse necessarie per rimettere in sesto la rete e svilupparla?

Domande senza risposte

Una riforma seria dovrebbe partire dalla risposta alla seguente domanda: la metà della rete attualmente in gestione da Aspi entra o no nel progetto Autostrade dello Stato?

La riforma di Salvini non definisce i parametri che consentono una valutazione di quale sia l’indebitamento delle concessionarie, quali i costi dell’ammodernamento e il fabbisogno della manutenzione corrente. Una incertezza non da poco per l’urgente necessità di un riordino del sistema concessionario italiano in relazione al grave stato di invecchiamento della rete.

Sono troppi i nodi non sciolti. A questo punto come sarà modificato il contratto di programma tra ministero delle Infrastrutture e Anas? Salvini annuncia una «futura» riduzione dei pedaggi. Ma come si costruiranno le nuove tariffe? Come verranno regolati i servizi logistici e a valore aggiunto?

Non viene inoltre ricordato che lo Stato ha già in mano, attraverso Anas, le Autostrade meridionali, i trafori del Frejus e del Monte Bianco, Cav (autostrade venete) e Sitaf. Anas è inoltre presente nell’azionariato di Cal, società concedente delle lombarde Brebemi, Teem e Pedemontana.

Per questi motivi la proposta di Salvini è figlia di un approccio propagandistico che salta completamente la riorganizzazione necessaria dell’intero sistema. Quello che viene definito “risiko” delle autostrade in realtà continua a essere un “monopoly” senza regole.

© Riproduzione riservata