La situazione geopolitica sempre più ingarbugliata ha fatto schizzare alle stelle il prezzo dell’oro, e, visti i venti di guerra che soffiano da vari angoli del mondo, il rialzo ha preso velocità nei primi mesi dell’anno.

La quotazione del metallo giallo, in leggero calo in questi ultimi giorni, tra marzo e aprile ha fatto segnare un record dopo l’altro, superando anche quota 2.400 dollari l’oncia, il massimo storico, con un incremento del 18 per cento in confronto a un anno fa. Rispetto alla fine del 2019, subito prima della pandemia, il prezzo sui mercati internazionali, che ora viaggia intorno ai 2.320 dollari l’oncia, è quasi raddoppiato.

Non è una sorpresa, allora, che in questi mesi si siano ingrossate le file degli investitori pronti ad approfittare della situazione. C’è chi accumula lingotti e medaglioni d’oro per poi capitalizzare, e sono aumentati anche gli acquisti di prodotti finanziari, come gli Etf, basati sul prezzo del metallo giallo. Non mancano i piccoli risparmiatori che hanno preso d’assalto i compro oro. In tanti, invece, preferiscono aspettare ancora, confidando di ottenere un guadagno ancora maggiore, nella convinzione che la nuova febbre dell’oro potrebbe essere solo all’inizio.

Corsa ai compro oro

Come accade sovente nei periodi segnati dalle tensioni a livello globale, l’incremento così rapido del prezzo del bene rifugio per eccellenza non poteva che riaccendere l’attenzione sui compro oro. Già durante la crisi finanziaria del 2011-2013 questi esercizi hanno visto aumentare di molto i loro incassi. In quel periodo, molte famiglie hanno varcato la soglia dei compro oro come soluzione estrema per far fronte a difficoltà impreviste. Si calcola che in quegli anni questo tipo di vendite abbia superato in Italia le 100 tonnellate. Per gli stessi motivi, anche lo scoppio della pandemia ha visto una ripetizione dello stesso fenomeno.

Adesso, invece, sono le crisi geopolitiche (guerre in Ucraina e in Medio Oriente, i conflitti africani, le continue tensioni nel Pacifico) che finiscono per avere ripercussioni anche sul patrimonio dei risparmiatori italiani. Sono le banche centrali, dagli Stati Uniti fino all’Estremo Oriente, che per coprirsi dal rischio di shock valutari da mesi aumentano le loro riserve auree facendo incetta di metallo giallo. La più attiva è stata fin qui la Banca centrale cinese, che custodisce nei suoi forzieri 2.257 tonnellate d’oro, un quantitativo record. Anche India e Pakistan si sono mosse nella stessa direzione, portando le loro riserve auree rispettivamente a 817 e 306 tonnellate.

Effetto Cina

«L’oro è un termometro dell’economia», spiega Ivana Ciabatti, fondatrice e presidente di Italpreziosi, tra i principali operatori internazionali nella produzione e nel commercio di oro da investimento.

Secondo Ciabatti, le mosse cinesi sarebbero anticipatrici di nuovi scossoni: «Pechino accumula oro dal 2018, si avvicina agli Stati Uniti come maggior detentore di riserve auree e ha anche superato il Sudafrica nell’estrazione mineraria, piazzandosi al primo posto in questa speciale classifica. Ha accumulato un tesoro, che potrebbe tornare molto utile se la situazione internazionale dovesse precipitare, per esempio in caso di invasione di Taiwan».

L’aumento delle riserve da parte del Dragone ha inevitabilmente scatenato una corsa alla speculazione: in questo, secondo i calcoli del Financial Times, all’indice della Borsa di Shanghai dedicato al commercio di materie prime, lo Shanghai Futures Exchange (Shfe), sono stati siglati quasi 300mila contratti di posizioni nette a lungo termine sull’oro, l’equivalente di 295 tonnellate. Erano meno della metà a settembre, prima che scoppiasse la guerra tra Israele e Hamas e la situazione in Medio Oriente precipitasse, con gli attacchi dei ribelli Houthi a minacciare i commerci globali.

In totale i volumi di oro scambiati alla borsa di Shanghai sono aumentati di oltre cinque volte rispetto alla media dello scorso anno, raggiungendo una cifra pari a 1,3 milioni di lotti. Il piano cinese sembra chiaro: vendere asset stranieri (la Repubblica popolare detiene anche una fetta rilevante del debito pubblico statunitense) e comprare oro, per ridurre la dipendenza dall’estero e rafforzare la posizione finanziaria del Paese, per prepararsi ai tempi bui.

Uno scenario non certo incoraggiante, che però sta facendo la fortuna di tanti investitori: «I privati non guardano solo al prezzo che sale, ma alla situazione di incertezza che si è creata», continua Ciabatti. «In questo modo gli investitori diversificano il proprio portafoglio, anche perché in duemila anni di storia l’oro ha dimostrato di preservare meglio di ogni altro bene il potere d’acquisto».

Boom di vendite

Chi si muove sui mercati finanziari speculando sul metallo giallo muove quantitativi ben superiori rispetto al semplice cittadino che cerca di approfittare della situazione liquidando una parte del tesoretto di famiglia. «In questo periodo, i nostri negozi sono letteralmente assaliti dalla clientela che desidera rivendere i propri preziosi, e la crescita è stata più che esponenziale», spiegano da una catena di compro oro attiva su tutto il territorio nazionale. «Lavorando prevalentemente su appuntamento», racconta il gestore, «siamo costretti a fissare gli incontri con la clientela anche a distanza di otto o dieci giorni dalla richiesta. In queste ultime settimane il flusso dei clienti è aumentato di oltre tre volte rispetto alla fine dell’anno scorso, e la quasi totalità dei nostri interlocutori vuole vendere per cavalcare il rialzo».

Il rovescio della medaglia

Diverso è il discorso per i compro oro “di quartiere”, che trattano esclusivamente con una clientela decisamente meno facoltosa, ma che decide di cogliere la palla al balzo per disfarsi di vecchi ma preziosi monili.

In questo caso gli aumenti sono più contenuti e si aggirano intorno al 30 per cento, ma non mancano anche esercenti che denunciano addirittura un calo, dovuto alla situazione di estrema incertezza. «Gente che compra da noi ovviamente in questo periodo non se ne vede, ma anche a vendere faccio fatica: molti sono convinti che il prezzo salirà ancora, per questo preferiscono aspettare ulteriori picchi», racconta uno di loro.

«Il problema», dice, «è che se poi il prezzo scende l’affare sfuma e finiscono per tenersi i gioielli». Una sorta di stallo alla messicana tra venditore e compratore che paralizza gli affari.

Scommessa sul futuro

Chi decide di aspettare a vendere però potrebbe avere le sue buone ragioni: nonostante alcuni analisti vedano nel calo degli ultimi giorni il segno di un’inversione di tendenza, non manca invece chi scommette su ulteriori rialzi. In pratica, è la tesi di questi ultimi, il prezzo sarebbe destinato a salire ancora nei prossimi mesi, per effetto del perdurare del caos geopolitico.

Quella che prosegue dall’inizio del mese di marzo è una vera e propria onda anomala, diversa da altre precedenti fase rialziste che sono rientrate nell’arco di pochi giorni. Resta decisiva la spinta innescata dall’aumento delle riserve auree da parte delle varie banche centrali. A questa però potrebbe aggiungersi il taglio dei tassi di interesse (già annunciato dalla Fed americana) in seguito al calo dell’inflazione, che secondo alcuni potrebbe dare nuova linfa agli acquisti, anche se di solito l’investimento nel metallo giallo è utile a difendersi dalla perdita del valore d’acquisto della moneta nelle fasi di inflazione in aumento.

Intanto, segnalano gli esperti, le quotazioni dell’oro sono molto più alte al mercato dei metalli di New York, il Comex, rispetto a quelle dell’analoga borsa di Londra (Lbma). Se nei prossimi mesi l’aumento delle riserve auree delle banche centrali dovesse continuare, la stessa sorte toccherebbe al prezzo dell’oro, che aggiornerebbe al rialzo il suo record: «Se la situazione geopolitica dovesse complicarsi ulteriormente», prevede Ivana Ciabatti, «il prezzo potrebbe avvicinare i 3.000 dollari l’oncia». È questa la scommessa dell’esercito di speculatori che da mesi cavalca la nuova febbre dell’oro.

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