Il lunghissimo «discorso sull’Europa» pronunciato questo giovedì alla Sorbona dal presidente francese Emmanuel Macron avrebbe potuto essere considerato come un discorso di inizio. Invece si è rivelato soprattutto il discorso della fine.

L’inizio sarebbe quello della campagna elettorale macroniana per le elezioni di giugno. Anche se lo staff del presidente nega che l’Eliseo vada a caccia di voti, già centinaia di eventi acchiappa-consensi si sono svolti; e per il suo valore simbolico, l’inizio di campagna viene fatto coincidere proprio con questo ritorno alla Sorbona, come nel 2017, ai tempi di un Macron ancora smagliante e dei suoi annunciati intenti europeisti. Ma di smagliante e di europeista, sette anni dopo, resta ben poco.

È per certi versi Macron stesso a dichiararlo, trasformando le oltre due ore di intervento in una sorta di fotografia della «fragilità» e del «declino»; anche se sono parole che il presidente utilizza per attribuirle all’Europa, la quale a suo dire «si trova in un frangente nel quale può morire di se stessa».

Armi e frontiere

Il discorso della crisi – riscontrabile ad esempio nei riferimenti a un’Europa che rischia il fin di vita e la cui stessa esistenza non è scontata, le allusioni alle minacce esterne, al rischio di diventare «vassalli degli Usa» e alla competizione con le altre potenze, alle «battaglie culturali» e alle guerre vere e proprie – serve a far intendere che il macronismo sia l’unica leva di salvezza; ed è prodromico ai due punti chiave di Macron per le europee.

Anzitutto, la sua priorità di campagna elettorale è la difesa, intesa come supporto all’industria militare. Su questo tema il presidente ha infatti speso una parte ampia di un discorso di per sé amplissimo se ci si attiene alla forma: quasi due ore, con Macron costretto ad ammettere che «ho parlato troppo a lungo, ne sono consapevole».

L’altro punto chiave – del quale pure Macron è consapevole – riguarda lo scenario elettorale. I sondaggi fotografano un Rassemblement National che sarà primo partito a giugno; Marine Le Pen, con il suo delfino e capolista Jordan Bardella, si prepara a superare il 30 per cento.

Per inseguire la destra estrema, il presidente è già inciampato su una legge sull’immigrazione che ricalcava i temi – ed era stata approvata coi voti – del Rassemblement. Nel discorso di questo giovedì, su scala europea, Macron applica uno schema simile, quando torna sulla retorica delle «frontiere esterne» tipica di destre come quella meloniana.

La crisi delle illusioni

Il senso di declino e di rischio è uno stile narrativo usato dall’estrema destra: l’alleato di Meloni, Éric Zemmour, ci ha costruito sopra intere campagne. Quella frase che Macron infila dentro il discorso – «dobbiamo riprendere il controllo» – evoca slogan di brexitara memoria («Take back control!»).

Laurence Norman del Wall Street Journal commenta che «Macron alla fine del discorso sembra un po’ triste, come se questa fosse l'ultima interpretazione di un grande attore». Tra i giochi di prestigio macroniani, il più abusato – e cioè la sua retorica europeista – ormai non regge più alla prova dei fatti: questo giovedì ha parlato noncurante di farlo durante l’ultima sessione dell’Europarlamento, per non parlare del suo investimento politico prossimo allo zero per la riforma dei trattati; la “sua” conferenza sul futuro dell’Europa è finita non per caso nel dimenticatoio.

Le indiscrezioni sempre più incalzanti – ci si mette pure Bloomberg – su una predilezione dell’Eliseo per Mario Draghi in Ue servono a usare tutto il proprio protagonismo finché si può (finché i macroniani non usciranno malconci dalle urne), condizionando il più possibile – se non sabotando – il bis di von der Leyen.

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