«Ursula von der Leyen si mette nelle mani di Giorgia Meloni e dell’estrema destra. Ci flirta in modo spudorato. Sta facendo entrare nella cabina di comando chi svuoterà l’Unione europea dall’interno. Entreranno e poi spegneranno la luce. Trasformeranno la nostra Europa in un’erogatrice di denaro per la grande industria», dice lo scrittore Paolo Rumiz senza camuffare il senso di inquietudine. Entreranno e spegneranno la luce: più che il sogno europeo, è un incubo. E infatti il 21 maggio uscirà un’opera che Rumiz ha voluto tradotta anche in francese, inglese e tedesco – con valore di appello intellettuale paneuropeo – intitolata Verranno di notte. Lo spettro della barbarie in Europa. «È una sorta di liturgia dell’insonnia; ogni capitolo è scandito da un orario. Non credo che von der Leyen abbia mai bruciato l’arrosto perché angosciata dal futuro europeo; io sì. Sai quante insonnie, per l’Europa...». Il pamphlet «è nato come attacco all’emergere di questo nuovo fascismo dal volto presentabile, ma si conclude con una geremiade, un grido di rabbia, nei confronti di chi ha consentito tutto questo: la destra fa il suo, ma io non posso perdonare alla sinistra di averglielo consentito». La conversazione con Rumiz si svolge in un primo maggio particolare: oggi è il ventennale del più grande allargamento che l’Ue abbia attraversato. L’Unione ora si proietta verso Ucraina, Moldavia, Bosnia… E mentre pensa a espandersi, rischia di disfarsi.

Nel 2004 sono entrati paesi come Polonia, Ungheria, Slovacchia; in tempi recenti li abbiamo sentiti nominare per le derive illiberali. L’Ue non è stata in grado di affrontare Orbán e di rafforzare la propria governance democratica. In una prospettiva europeista, allargare a democrazie immature è un rischio o un’opportunità?

A me sembra una follia. Se non siamo riusciti, a trent’anni dalla guerra nei Balcani, a creare una rinascita in Bosnia, e se gran parte della vecchia Jugoslavia è stata lasciata in mano alle mafie con molti dei vecchi macellai ancora in circolazione, come pensiamo di mettere in riga altri? I tre paesi baltici sono stati fatti entrare nel 2004 quasi senza condizione, perché essenziali per la difesa Nato, come se la difesa rendesse superflua la supervisione dei diritti. L’Europa vive un momento di debolezza pazzesca. A Bruxelles non hanno coscienza del mito fondativo di Europa. Come possiamo costruire una confraternita di popoli, come possiamo attrarre altri, senza una narrazione comune?

Per Meloni, Salvini e i loro alleati europei, il ritornello è «le radici cristiane». È possibile tessere un mito laico di Europa?

Europa è femmina ed è legata all’oriente. Il mito europeo è anzitutto un mito femminile. Ci troviamo oggi in una situazione di nemesi: è proprio una donna, von der Leyen, che rischia di disfare l’Europa. L’Italia pure rischia di essere esemplare: è una donna, Meloni, che ha contribuito a riesumare il vecchio machismo, e che va alla presa del potere per il potere con velocità e sfrontatezza che sarebbero stati impossibili vent’anni fa. L’ascesa di Meloni mostra quanto enorme sia stato il vuoto lasciato dal centrosinistra e dalle forze liberali, e questo è il grande dramma in Europa: la paralisi e l’afasia di queste forze. La destra ha riempito quel vuoto che le è stato consegnato.

Lunedì, durante il dibattito tv per le europee, von der Leyen ha esplicitato la disponibilità ad allearsi con Meloni e altri pezzi di estrema destra (Ecr). Che ne pensa?

Quando ha capito che a giugno la destra – quella presentabile e quella no – avrà una forza maggiore, in Europarlamento, allora von der Leyen, la stessa che parlava di argine da contrapporre al sovranismo, si è affrettata a praticare e pure a dichiarare – con spudoratezza – la sua disponibilità ad allearsi con queste forze. Quello che intuisco è che le corporation e la tecnocrazia atlantista (già padrona dell’opinione pubblica attraverso un sistema digitale sedativo) abbiano bisogno di una droga in più, e cioè il pericolo esterno, per continuare la politica di appoggio alla grande industria. Von der Leyen è appunto la donna della grande industria, che chattava con il capo di un’azienda di vaccini, che ha preso iniziative personali al punto da portare in Commissione un atteggiamento quasi dittatoriale. Ora esporrà il volto rassicurante di grande madre, ma è stata una matrigna. Dietro di lei ci sono forze che di lei hanno bisogno per continuare la loro politica di saccheggio.

Qual è il punto di contatto tra von der Leyen matrigna e Meloni, che lei nel pamphlet paragona alla lupa allattatrice di prebende?

L’una ha bisogno dell’altra. Dopo che Brexit si è rivelata un disastro, la destra ha abbandonato la tattica di smembrare l’Ue con una serie di secessioni, e ha scelto quella di prendere possesso della cabina di comando dell’Unione per poi svuotarla dall’interno. In questo Meloni e altri illiberali sono in sintonia. Nel momento in cui von der Leyen si mette nelle mani di questa gente, e ci flirta, sta appunto facendola entrare in quella cabina.

La sua analisi è caustica, il suo libro è scritto sotto il ritmo dell’insonnia, ma un afflato resta, sia nelle parole che nella scelta di presentare il volume a Strasburgo, Bruxelles, Parigi, oltre che in Italia. Esiste una speranza? E che ruolo può giocare un intellettuale europeo?

Io vivo in un paesino agricolo sloveno, una repubblica italiana in esilio, un luogo di sedizione partigiana. Una contadina l’altro giorno mi ha detto che lei coltiva patate e io parole. Stiamo drammaticamente sottovalutando la forza delle parole. Io porto in giro parole.

Abbiamo lasciato che le parole perdessero il loro senso, non lo abbiamo curato. C’è stato uno svuotamento lessicale negli anni di TikTok; i social sono stati colonizzati dalla destra con anni di anticipo. È sopraggiunto un furto di parole perché la sinistra, che non sa esprimere nessuna volontà, si è lasciata portar via il tesoretto che doveva difendere: parole come pace, libertà, diritti. L’Europa, terra dei diritti, si è lasciata derubare.

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