«La Cina e l’Unione europea dovrebbero preservare la propria cooperazione», ha detto il presidente cinese Xi Jinping interloquendo questo lunedì a Parigi con Emmanuel Macron, il presidente francese suo ospite, e con Ursula von der Leyen, la presidente di Commissione europea che l’Eliseo tiene a portarsi al traino quando si confronta col colosso cinese.

La ragione per la quale Parigi viene prima di Belgrado e di Budapest, nel tour europeo di Xi Jinping, è ben spiegata da HVG, che è una sorta di Economist ungherese: «Non siamo noi a dover essere conquistati, ma l’Europa occidentale, che sembra sempre più impegnata in una guerra commerciale contro la Cina. L’obiettivo principale di Xi è addolcire l’Ue, ed Emmanuel Macron è la chiave per raggiungere questo obiettivo».

L’Ungheria di Viktor Orbán – con quella controversa fabbrica di batterie cinesi piazzata a Debrecen come si piazza una bandiera – rappresenta già la porta aperta per la Cina in Ue. E fuori dall’Unione europea, la Serbia di Aleksandar Vučić – che già prima dell’arrivo di Xi sogna ad occhi aperti fabbriche cinesi di treni – è già stata penetrata economicamente e geopoliticamente. Più a ovest, il palazzo dell’Eliseo è cruciale da varcare quanto una porta lasciata socchiusa.

Il terzo polo

«Le relazioni tra la Cina e l’Unione europea godono di slancio e prospettive di sviluppo. Questo rapporto non deve essere dettato da altri, né dipendente da altri», ha detto questo lunedì Xi Jinping ribadendo la sua linea: altro che decoupling – cioè disaccoppiamento – tra Ue e Cina, come Washington in fondo spera; se fosse per il presidente cinese, è con gli Stati Uniti che l’Unione europea dovrebbe evitare di far coppia. Non stupisce che sia andato a dirlo proprio all’Eliseo, patria retorica della «autonomia strategica europea» e centro nevralgico dell’equilibrismo macroniano.

Anche se ultimamente a far scalpore è stata l’uscita di Macron sull’invio di truppe in Ucraina, qualche mese prima il presidente francese aveva fatto scandalo proprio per le sue dichiarazioni rilasciate su un aereo di ritorno da Pechino. «Una accelerazione sul dossier Taiwan è nel nostro interesse? Perché mai dovremmo andare a un ritmo scelto da altri?», aveva detto riferendosi a un atteggiamento da scontro frontale tra Stati Uniti e Cina. «Invece di diventare vassalli altrui, potremmo diventare il terzo polo».

Quelle frasi facevano da eco ai desiderata del presidente cinese, che già allora ambiva proprio a separare l’agenda europea da quella americana. E che lo ha ribadito questo lunedì.

Ursula von der Leyen è di tutt’altro avviso, e se non fosse per le reazioni irritate dei capi di stato e di governo europei, si sarebbe già proiettata sulla linea statunitense, come fece a marzo 2023. In visita alla Casa Bianca, la presidente della Commissione europea già parlava di disaccoppiamento, salvo poi dover ripiegare – al suo ritorno in Ue – sul derisking per riparare al proprio eccesso di zelo filoamericano.

Tregua sui liquori

Nella trattativa di questo lunedì sul dossier del commercio, von der Leyen giocava il ruolo di poliziotto cattivo: «La Cina continua a sostenere massicciamente il suo settore manifatturiero, il che si combina con una domanda interna che non aumenta», ha detto. «Il mondo non può assorbire la sovrapproduzione cinese». Il tema è in linea coi lavori affidati a Mario Draghi sul tema della competitività. Peccato che il presidente cinese sia di tutt’altra attitudine: per lui – come ha avuto modo di dichiarare questo lunedì – «il cosiddetto “problema della sovraccapacità della Cina» semplicemente «non esiste». E von der Leyen incalza: la Cina fa pressione con le auto elettriche e «l’Ue non esiterà a prendere decisioni ferme».

Visto che l’Ue è un mercato unico, sulla politica commerciale Bruxelles è competente eccome. Sotto la guida di von der Leyen, la Commissione Ue ha lanciato una indagine sui sussidi cinesi per i veicoli elettrici. Anche in risposta a questo, Pechino ha rilanciato a inizio anno con la sua indagine antidumping sui brandy: una sorta di controffensiva dei liquori.

E pensare che in un anno la Francia ha spedito verso la Cina ben 35 milioni di bottiglie di cognac... L’incubo dei dazi è piombato sui viticoltori francesi, agitando i produttori di cognac: ecco spiegato come mai – oltre alla cena del lunedì sera – Macron abbia voluto offrire a Xi Jinping proprio una bottiglia di pregiato cognac “Louis XIII”.

Dopo che von der Leyen ha esposto la linea dura sul commercio – facendo il poliziotto cattivo, appunto – Macron ha potuto quantomeno sperare in uno Xi raddolcito sul brandy. Dall’incontro fra i due, il presidente francese è uscito trionfante con l’annuncio: «Xi si è dimostrato aperto sulla questione. Si augura che non siano applicate le misure provvisorie contro il cognac francese».

Raddolcire Macron

Del resto il vero obiettivo di Xi Jinping, apparso raddolcito sul cognac, era quello di imbonire Macron. E lo ha fatto anche rilasciando dichiarazioni che fanno da sponda perfetta alla retorica del presidente francese durante la campagna per le europee: adesso la «economia di guerra» e la eventualità di mandare truppe in Ucraina sono tra i suoi cavalli di battaglia.

Macron si è felicitato, questo lunedì, per «gli impegni cinesi nell’astenersi dal vendere armi e dall’offrire qualsiasi aiuto a Mosca». Xi ha invocato un «cessate il fuoco globale».

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