L’assoluzione di Claudio Foti in Cassazione comincia a mostrare il caso Bibbiano per quello che realmente è: una sorta di Waterloo giudiziaria. Oltre all’assoluzione nel secondo e terzo grado di giudizio dell’imputato maggiormente preso di mira mediaticamente, che aveva scelto il rito abbreviato, c’è un dibattimento ordinario con gli altri imputati che procede a Reggio Emilia (nell’indifferenza di tutti, visto che il processo è già stato “celebrato” mediaticamente cinque anni fa) dove in un anno di interrogatori Procura non sembra stia percorrendo precisamente una marcia trionfale. Bibbiano è un epicentro multistrato dove si sono incrociati diversi livelli di problemi, tutti estremamente rilevanti, oscurati da un sensazionalismo mediatico che li ha coperti e mescolati.

Uscendo da questo labirinto è possibile trarre alcune lezioni molto utili per la politica.

I diritti dei bambini 

La prima lezione riguarda l’inquadramento preciso della posta in gioco: i bambini sono proprietà delle famiglie o sono titolari di diritti? e chi si deve far carico di difendere questi diritti se non le istituzioni? Le contrapposizioni ideologiche non aiutano.Nemmeno le scuse formali senza entrare nel merito di cos’è successo (come quelle di Mentana a Foti al Tg La7) servono per comprendere, anche se sono un segno di civiltà.

C’è un’ulteriore posta in gioco che consiste nella descrizione puntuale e meticolosa di ciò che è accaduto concretamente nel distretto della Val d’Enza.

Se le accuse riguardavano bimbi sottratti alle loro legittime famiglie e soldi mal gestiti in quello che è stato definito “un giro d’affari”, la gente deve sapere al riparo da facili teoremi precostituiti contro e pro, prescritti o meno gli imputati, se c’erano gli estremi per questi allontanamenti (peraltro chiesti dal Tribunale dei minori), se le famiglie affidatarie hanno speso i soldi ricevuti per gestire in modo congruo i minori a loro affidati (pezze giustificative alla mano), se la retribuzione dei professionisti esterni è stata superiore agli standard previsti (contratti e tabellari alla mano)

Dopo tanto impegno per tenere “emozionata” l’opinione pubblica è tempo di altrettanto impegno per informarla sui dettagli.

Riconoscere l’imperfezione

La seconda lezione riguarda la costruzione di ipotesi sul silenzio delle forze politiche che più si sono battute nel Novecento per la tutela dei diritti e per la costruzione del welfare che è il prodotto più prezioso della democrazia: sancendo che i più fragili devono essere tutelati e non abbandonati a loro stessi, la nostra civiltà ha compiuto il più importante salto di qualità, diminuendo il suo tasso di sadismo. Cosa ha impedito l’emergere di qualsiasi reazione garantista su questa vicenda?

Azzardo un’ipotesi. In questo tempo dove alle persone vengono chieste sempre più “prestazioni” in ogni campo della vita, la paura di essere inadeguati porta sempre più genitori a scaricare attese e pretese esagerate su se stessi, sui figli e sulla scuola.

Il nodo, profondo e ineludibile, non liquidabile con qualche richiamo ai diritti è: «Potrebbe succedere anche a me». È una materia scivolosa e incandescente, triangolata da smisurate dimensioni simboliche e dunque politicamente molto manipolabili, affidata a persone come gli assistenti sociali che hanno un appeal assai minore di quello di magistrati e medici.

Cinque anni di silenzio sono troppi per venire spiegati solo con la tattica politica o con il persistente patriarcato della cultura italica. «Da vicino nessuno è normale», diceva saggiamente Franco Basaglia.

Nessuno di noi è un cittadino perfetto, un lavoratore perfetto, un genitore perfetto. È il riconoscimento dell’imperfezione che rende le nostre umanità vicine e che deve stare alla base di un sistema di mutuo aiuto dove famiglie naturali, famiglie affidatarie, volontari, servizi, professionisti, consulenti, si vivono come parti di una comunità che ha tutta insieme la responsabilità di ascoltare, crescere, proteggere i minori.

Il sistema 

La terza lezione, la più importante, che possiamo trarre da Bibbiano riguarda il modo di fare politica oggi e nasce da una piccola esperienza nata a Reggio Emilia (15 km da Bibbiano) da un gruppo di persone impegnati dal 2019 raccogliere e diffondere notizie sulla vicenda della Val d’Enza; avendo constatato che: a) bussare alle porte di partiti e istituzioni sembrava inutile, b) contrapporsi pubblicamente finiva per favorire chi attendeva solo l’occasione per riproporre la narrazione che aveva asfaltato l’immaginario, c) raccontare tutta la verità finiva per spaventare troppo le persone, ha cercato di collocare la discussione intorno a Bibbiano togliendo di mezzo il tema del processo, degli imputati e di Bibbiano stessa, spostando le argomentazioni su un dato di realtà: gli effetti collaterali della vicenda Bibbiano.

Questo gruppo di persone ha scritto un manifesto denominato Abusi zero, basato su un assunto inconfutabile e condivisibile anche da una cerchia più larga di persone, incluse quelle che sospendono il giudizio sul processo: l’indebolimento del sistema di protezione dei bambini, porta a un più fragile sistema di protezione delle stesse famiglie naturali, che in molti casi raccontano storie di formidabile collaborazione tra famiglie affidatarie, servizi e comunità.

Il sistema degli affidi nel 90 per cento dei casi si basa sulla consensualità della famiglia naturale, perché parte da condizioni di difficoltà riconosciute dai genitori di bambini affidati per problemi economici, culturali o per sovraccarichi lavorativi (ad esempio famiglie con un solo genitore che lavora di notte, altre che richiedono un sostegno solo per il fine settimana o per il pomeriggio per fare i compiti: gli affidi sono raramente per tutti i giorni della settimana).

Nel dibattito infernale seguito al lancio dell’inchiesta sulla Val d’Enza, che ha definito le famiglie affidatarie in generale in Italia come approfittatrici, si è smarrito il dato che gli affidi a seguito di allontanamenti stabiliti dal tribunale riguardano un’esigua minoranza.

Gli affidi si basano su un’alleanza tra famiglie naturali e famiglie affidatarie, favorita e garantita dei servizi sociali; non ingaggiano battaglie all’arma bianca tra buoni e cattivi; sono un incontro tra persone orientate a cercare la soluzione migliore per prendersi cura dei minori.

Lo schema binario “allontanamenti sì/allontanamenti no” è perverso perché oscura un modello di presa in carico dei minori basato sull’assunto “tutti insieme per proteggere i bambini”.

La genesi di questa modalità di mobilitazione mite e riservata nasce dal fatto che il gruppo di persone che si è preoccupato fin dal 2019 della gravità della vicenda Val d’Enza è stato costretto a incontrarsi al riparo da riflettori mediatici. L’esercizio di questi incontri catacombali (resi ancor più necessari dalla pandemia) ha prodotto l’intuizione che si stava costruendo uno spazio pubblico nuovo: in presenza, senza l’ossessione della visibilità su social e media.

Un nuovo patto 

Questi cinque anni di rimozione della sostanza della vicenda Bibbiano sono stati anche anni di un’imponente e veloce trasformazione dell’immaginario collettivo. Per questo viene da pensare che le scelte compiute dal gruppo di Abusi zero per tenere viva in un numero il più ampio possibile di persone la comprensione della posta in gioco costituiscano un sentiero per provare ad attraversare questo tempo in modo democratico. Può sembrare molto impolitico. Ma le altre vie stanno accatastando naufragi.

Serve un nuovo patto tra famiglie, istituzioni, servizi, agenzie educative, professionisti. Una nuova alleanza che in questi anni è stata fortemente indebolita.

Si può costruirla solo incontrando fisicamente le persone in gruppi a volte piccoli a volte ampi, lasciando che sia l’evoluzione delle consapevolezze a chiamare in causa di volta in volta, con diverse modalità, diverse tipologie di attori. La diffusione attraverso i social è molto utile se c’è un piede d’appoggio di incontri tra corpi. Non ci sono ladri o derubati di bambini, perché i minori non sono una refurtiva o una merce di scambio.

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