L’Italia consuma più acqua potabile rispetto alla media dei paesi europei e ha una quantità di acqua dispersa molto più alta: il 42 per cento si perde in reti costruite per le necessità degli anni 50. Eppure la sua disponibilità – per usi domestici, agricoli e industriali – è sempre più scarsa e pare destinata a diminuire ancora. La siccità dell’anno scorso ci ha messo di fronte al problema di come ottenere quella che manca. Degli interventi a lungo termine per migliorare la gestione di questa risorsa si è discusso sabato all’evento di Domani a Napoli, in un panel dedicato a “Le vie dell’acqua. Percorsi di crescita per il sud”.

Acqua senza sale

Una delle soluzioni per affrontare l’emergenza prevede la creazione di impianti di dissalazione, come quelli già presenti in Spagna, Australia e Medio Oriente. Tra le aziende che costruiscono strutture di questo tipo c’è Fisia Italimpianti, parte del gruppo Webuild. «Sulle pratiche di dissalazione si tende a sovrastimare i rischi. C’è il tema della salamoia, acqua con un maggior contenuto di sali che viene dispersa in mare, ma ci sono tecniche per abbassare il livello di salinità entro breve distanza dal punto di scarico» ha detto Paola Bertossi, ad di Fisia.

Un’altra possibile soluzione consiste nel riutilizzo, anche se in Italia è ancora bassa la quantità di acqua depurata che viene riciclata. «La normativa europea non consente di riutilizzarla per uso potabile, però si può impiegare in ambito industriale e agricolo. Ma ci sono ancora 300 comuni privi di sistemi di depurazione: sono il 2 per cento dei cittadini e nelle isole la percentuale cresce» ha notato Bertossi. I sistemi di depurazione, comunque, possono essere realizzati in tempi medio-brevi e si possono fare interventi rapidi su quelli esistenti.

Agricoltura sostenibile

Alla Cabina di regia per la crisi idrica, istituita con il decreto Siccità con Nicola Dell’Acqua commissario, sono state presentate 573 proposte di opere per una spesa che supera i 13 miliardi. Ma per ora i progetti sono solo su carta. C’è anche un piano per creare una rete di piccoli invasi per conservare l’acqua piovana, ma da vent’anni è in un cassetto. «Il riuso e lo stoccaggio dell’acqua sono decisivi per le coltivazioni, ma richiedono investimenti di lunga durata e questo è un problema» ha detto Michele Pisante, presidente di Bf, holding con sede nel Ferrarese attiva nel settore agricolo.

«Con il cambiamento climatico c’è una riduzione dei giorni piovosi e meno disponibilità di acqua per le aree agricole. Il nostro gruppo investe sulla conoscenza della genetica, cioè sullo sviluppo di piante e varietà più resistenti alla siccità. Purtroppo le regole europee bloccano il ricorso alle Tecniche di evoluzione assistita: in laboratorio la scienza ha fatto grossi progressi, ma sono tecnologie che non possiamo ancora testare sul campo» ha lamentato Pisante nel dibattito moderato da Vittorio Malagutti.

Negli ultimi tempi Bonifiche ferraresi punta molto sull’internazionalizzazione, con progetti sviluppati in Italia e poi esportati in Africa, anche attraverso il piano Mattei: lo fa tramite accordi istituzionali con i governi locali, per mettere a sistema nuove tecnologie in favore dei paesi dell’area. A ciò si aggiunge Bf Educational, società che si occupa di ricerca e formazione: «Con il centro nazionale Agritech, che ha sede all’Università Federico II di Napoli, abbiamo accordi di collaborazione sulla sostenibilità delle produzioni e il recupero dei terreni marginali».

Matacena e le eco-navi di Caronte

In un paese circondato dal mare, come l’Italia, l’acqua è anche un ottimo mezzo di trasporto. Per i passeggeri e ancor più per le merci. Il trasporto marittimo è un settore in forte sviluppo (all’estero più che da noi) ma, al pari di quello su gomma, può essere molto inquinante. Per ridurre le emissioni nocive si sono studiate varie soluzioni, a partire dall’uso di carburanti alternativi. Un esempio è il gas naturale liquefatto (Lng), che ha il 40 per cento di CO2 in meno.

«Dieci anni fa ordinammo il primo traghetto che funziona a Lng, costruito in un cantiere turco e che dal 2018 naviga nello Stretto di Messina. Ma ancora oggi siamo costretti ad alimentarlo a diesel: mancano le infrastrutture per lo storage del gas liquido e la burocrazia ci impedisce di costruirne una noi stessi» ha spiegato Lorenzo Matacena, ad di Caronte & Tourist, che gestisce collegamenti con le isole minori. «E così fra tre mesi le nostre navi inizieranno a bruciare biometano, che inquina ancora meno: il freno posto al gas liquefatto ci ha spinti a immaginare una soluzione diversa».

In teoria i trasporti navali sono favoriti dal marebonus, un incentivo alle imprese armatrici per spostare i trasferimenti di merci dalle strade alle vie d’acqua. La misura fu introdotta in Italia 25 anni fa e poi adottata con successo nel resto d’Europa, dalla Francia alla Spagna. «Ma poi, durante il Covid, si è deciso di tagliare marebonus e ferrobonus e di aumentare i bonus edilizi, che hanno disastrato i conti pubblici e hanno un’efficacia energetica di gran lunga inferiore» ha detto Matacena.

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