Sul fianco di un carro armato russo distrutto e posizionato dagli ucraini in centro a Kiev, si legge una scritta lasciata con un pennarello: «Gli Azov sono eroi». Quella di Krysposin Lane non è l’unica traccia visibile in città del battaglione nazionalista di estrema destra che si è formato esattamente dieci anni fa a Mariupol, e che oggi è tra le brigate più riconoscibili dell’esercito ucraino.

Gli stencil che incitano all’arruolamento nella brigata sono ovunque su muri e sottopassaggi, i cartelloni di Azov arrivano anche a coprire l’intera facciata di un palazzo di quattro piani. In piazza Maidan tutte le domeniche si leggono cartelli e striscioni per la liberazione dei “difensori di Azovstal” ancora prigionieri dei russi. Sono celebrati anche sui media nazionali, United24 – la maratona ufficiale governativa – in un video ne parla come la «leggendaria unità dell’Ucraina».

Gli Azov vivono oggi all’ombra delle loro origini – il movimento si forma in ambienti neonazisti e rivendica i simboli più radicali dell’estremismo di destra – e in un costante paradosso. Legittimati a un ruolo primario dal loro governo e da chi vive qui per la resistenza all’avanzata dei russi, protagonisti nella propaganda di Putin e della “denazificazione” dell’Ucraina, ma relegati a un ruolo del tutto marginale quando arrivano le armi da Washington.

Negli Stati Uniti dal 2017 i disegni di legge che prevedono gli stanziamenti – gli US Consolidated Appropriations Bills – contengono un emendamento che proibisce che «i fondi resi disponibili da questa legge siano utilizzati per fornire armi, addestramento, o altro tipo di assistenza al battaglione Azov».

Tre righe in più di duemila pagine di documento per stabilire per legge che gli Azov non possono ricevere un Javelin americano, non possono mettere un carrista su un Abrams o ricaricare i mitragliatori con proiettili forniti da Washington. In una nota pubblicata il 19 aprile il colonnello Denys Prokopenko – al comando della brigata Azov – l’ha definito un «nonsense», una situazione «kafkiana» che «poche persone in Ucraina conoscono, e di cui quasi nessuno parla pubblicamente».

La voce di un senatore

«È una richiesta fatta nel 2015 da un senatore americano, con cui Azov è stata inserita nella lista delle unità che non avrebbero dovuto ricevere armamenti e munizioni americane», conferma il giornalista ucraino Mykhaylo Shtekel in un’intervista. Si riferisce al dibattito in Congresso del 10 giugno 2015 con una proposta presentata dal democratico John Conyers Jr, che durante il suo intervento propone l’emendamento e cita le inchieste di Foreign Policy, New York Times, Guardian e Associated Press che «hanno corroborato il dominio del suprematismo bianco e di visioni antisemite all’interno del gruppo».

Concludendo le sue motivazioni Conyers aggiunge come «questi gruppi siano contrari ai valori americani e, una volta finiti i combattimenti, rappresentino una significativa minaccia al governo ucraino e al popolo ucraino». E chiede con urgenza che gli Stati Uniti non equipaggino «questa pericolosa milizia neonazista», richiamando il precedente storico per gli Usa della fornitura d’armi ai Mujahedeen in Afghanistan. L’emendamento verrà poi incluso nella legge due anni dopo, a marzo del 2018 il democratico Ro Khanna si dice «molto soddisfatto» che sia stata proibita l’assistenza militare ad Azov. «Il suprematismo bianco e il neonazismo sono inaccettabili e non hanno spazio nel nostro mondo», dichiara in un’intervista pubblicata anche sul suo sito personale.

Negli anni la struttura e le divisioni dell’esercito ucraino hanno cambiato protagonisti e forma. Questo vale anche per Azov. Che da battaglione formato da volontari è entrato a tutti gli effetti nell’esercito ucraino, come reggimento dal 17 settembre del 2014, per poi trasformarsi ancora. Dal 9 febbraio del 2023 è la 12esima brigata per le operazioni speciali Azov. Veterani Azov hanno formato altre unità militari, la più importante è la terza brigata d’assalto. Fondata da Andriy Biletski – primo comandante di Azov – è una delle unità a oggi con più visibilità in Ucraina. Il giornalista canadese ed esperto di movimenti di estrema destra in Europa Orientale Micheal Colborne ha analizzato l’evoluzione e il cambiamento di Azov «per provare a spingere sé stessi nel mainstream» più possibile.

Questo passa sia dalla normalizzazione di «simboli, slogan, linguaggi» che sono stati «legittimati nel discorso politico», scrive Colborne citando il Black Sun, il Wolfsangel e tutti i richiami all’ideologia e al simbolismo nazista. Ma è interessante – nota Colborne – «come Azov continui a posizionarsi all’interno del discorso politico ucraino: non come estremisti, non come criminali, ma semplicemente come patrioti che hanno difeso e che continuano a difendere l’Ucraina dai propri nemici».

Tutto ciò diventa più forte, scrive Colborne, quando si diventa veterani. «Dopo il 2022, il ruolo della brigata Azov nell’esercito ucraino è cruciale, sono diventati un simbolo della resistenza ucraina, del desiderio ucraino di vittoria, della volontà del paese di combattere nella maniera più dura possibile», conferma anche il giornalista ucraino Mykhaylo Shtekel. Gli 86 giorni di resistenza all’assedio russo dentro l’acciaieria di Azovstal contribuiscono a cambiare la percezione della brigata e dei suoi comandanti. Interviste, collegamenti, partecipazioni a dibattiti e incontri.

Secondo la loro visione – ribadita dal comandante Prokopenko – le accuse sulla natura neonazista di Azov, sui simboli, sui rituali, sulle violazione dei diritti umani ricevute sarebbero senza fondamento, opera di 10 anni di propaganda russa. Prokopenko definisce «umiliante» per l’intero esercito il fatto che i suoi uomini non possano avere le armi statunitensi, e non ne comprende le ragioni, citando il fatto che negli ultimi mesi i rappresentanti di Azov sono stati invitati a parlare nei contesti più svariati.

Delegazioni in posa a Stanford, un reduce di Mariupol in visita al Congresso Usa – con foto postata sui profili ufficiali del ministero della Difesa ucraino – e un altro dei volti noti di Azov – Illia Samoilenko – che tiene un incontro allo Harriman Institute della Columbia University. «Questa è l’assurdità della situazione: Azov è benvenuta ai massimi livelli in tutto il mondo occidentale, ma non gli vengono ancora fornite armi», dice nella sua nota Prokopenko.

Un futuro in politica?

Anche in Ucraina, Azov ha guadagnato legittimità a livello militare e con le più alte cariche del paese. A ottobre del 2022 Prokopenko insieme ad altri cinque Azov riceve da Andrij Jermak – ha la carica di Head of Office del presidente ucraino – la più alta onoreficenza militare, la “Hero of Ukraine”. A luglio del 2023 il presidente Zelensky torna a sorpresa dalla Turchia – dove da accordi erano stati trasferiti gli Azov liberati da Mosca – con cinque comandanti della brigata, tra loro c’è anche Prokopenko, catturato dopo la resa di Azovstal.

Foto, abbracci e strette di mano con il presidente, con la promessa di tornare a riorganizzare la natura operativa di Azov. A oggi ancora 900 soldati che hanno partecipato alla difesa di Azovstal sono sotto custodia dei russi, chi è stato liberato partecipa a interviste tv, mentre al fronte nel frattempo Azov è tornata pienamente operativa. Con operazioni in Donetsk e Lugansk, e documentando le loro azioni sui canali ufficiali.

In un’intervista gli studiosi ed esperti di milizie private ed estremiste Carlos Bodoque e Felip Daza sostengono che al contrario di quanto accaduto in Russia con le milizie comparabili per ideologia ad Azov – come il Russian Imperial Movement e la Rusich Task Force – il potere militare e politico di Azov sia stato fin qui comunque limitato. Questo perché dopo Maidan «il governo ucraino ha integrato questi attori nell’esercito per assicurarsene il controllo», dicono.

Alle ultime elezioni, su 12.000 seggi nei consigli locali, l’estrema destra ne ha presi solo due. «Fin quando sono sotto controllo, non salteranno nell’arena politica», dice Carlos Bodoque in collegamento da Barcellona. Lo scenario resta però imprevedibile, i leader più esposti pubblicamente potrebbero cambiare idea alle prossime elezioni. «Alcuni di loro potrebbero sentirsi legittimati a saltare nell’arena politica, in questo momento c’è un equilibrio, che potrebbe cambiare in qualsiasi momento», sostiene Carlos Bodoque.

Gli scenari politici sono legati inequivocabilmente all’evoluzione di quelli militari. Di fatto la nota del colonnello Prokopenko è il primo appello di questo tipo, dove si rivendica l’esigenza di avere la disponibilità di armi occidentali per «svolgere le missioni di combattimento in modo più efficace». La situazione è nota, ma non è ancora di interesse pubblico.

«Adesso la brigata vuole cambiare questa situazione, non ho visto nessun tipo di dibattito pubblico in Ucraina su questo, al momento, perché fin qui non è stato sul tavolo, è venuto fuori dal nulla», racconta Mykhaylo Shtekel. «Vogliono essere trattati alla stessa condizione di ogni altra unità militare dell’esercito ucraino», aggiunge. C’è solo da capire quando questa situazione diventerà dibattito e come sposterà gli equilibri politici.

Gli Azov sono consapevoli di poter contare – rispetto a due anni fa – su una legittimità popolare dovuta alle circostanze. Come scrive Colborne, «per molti in Ucraina, non importa in cosa Azov creda, se siano di estrema destra, fascisti, neonazisti o cos’altro, quello che importa loro è che stanno combattendo contro l’aggressione russa e che sono dalla loro parte».

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