La complessa ed articolata trama diplomatica del segretario di Stato Usa, Antony Blinken, sta venendo gradualmente allo scoperto. Secondo il New York Times, lo Stato ebraico resterebbe fuori da un'intesa a tre sulla sicurezza a meno che non accetti un percorso che porti a uno Stato palestinese.

Secondo il quotidiano americano, gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita potrebbero firmare un accordo di sicurezza che non include la normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele, ma includerebbe una clausola ad hoc secondo la quale la normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele, all’interno dei cosiddetti Accordi di Abramo, andrebbe avanti quando e solo se Israele acconsentirà ad accettare le condizioni fissate da Washington e Riad.

A spiegare nel dettaglio la complessa operazione di riordino degli equilibri in Medio Oriente, che sta andando in sintonia con gli sforzi del ministro degli Esteri francese, Stéphane Séjourné, giunto a Beirut per far arretrare Hezbollah di 10 chilometri all’interno del confine meridionale libanese, è stato Thomas Friedman, editorialista del New York Times ritenuto molto vicino al presidente americano Joe Biden. Friedman ha riferito le condizioni poste dall'Arabia Saudita nell'ambito dei colloqui tra Washington e Riad riguardo alla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi e la creazione di uno Stato palestinese.

L'Arabia Saudita chiede un «percorso» da tre a cinque anni per la creazione di uno stato palestinese, la cui nascita, secondo il rapporto, sarà subordinata alle riforme che l'Autorità Palestinese dovrà realizzare per diventare un organismo capace di governo che goda della fiducia dei palestinesi e che sia considerato efficace anche da Israele.

La seconda condizione di Riad, riferisce Friedman, è il congelamento degli insediamenti illegali dei coloni da parte di Israele. Terza condizione è il ritiro dell'esercito israeliano dalla Striscia di Gaza.

Sullo sfondo ci sono già analisi secondo cui senza un cessate il fuoco e un accordo sugli ostaggi non sarà possibile completare l'accordo di normalizzazione tra Washington e Riad. Friedman scrive anche che «i paesi arabi non possono permettersi di essere percepiti come difensori senza limiti di Israele» a causa delle loro opinioni pubbliche sempre più critiche davanti alle terribili immagini sui civili della guerra a Gaza.

Secondo fonti egiziane sentite dal Wall Street Journal, Israele ha dato da Hamas una settimana di tempo per accettare l’accordo sul cessate il fuoco, poi procederà all’attacco di Rafah.

Da ultimo, mentre il governo israeliano ha confermato la morte di un ostaggio la Cnn ha parlato di tre esperti di munizioni che hanno esaminato video e foto che mostravano i danni causati da un attacco di due settimane fa e sono giunti indipendentemente alla stessa conclusione: che la carneficina di 11 bambini al campo profughi Al Maghazi di cui l’esercito di Israele ha disconosciuto ogni responsabilità, è stata probabilmente causata da una munizione a guida di precisione schierata dall’esercito israeliano.

Lo status di Gaza

In questo quadro Israele, che teme sempre di più una sentenza della Corte penale internazionale contro la sua dirigenza politica, si rende conto dell’isolamento internazionale crescente e sta considerando un piano per il dopo guerra a Gaza in cui potrebbe condividere la supervisione della Striscia con un'alleanza di stati arabi, quali Egitto, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, oltre che con gli Stati Uniti. Lo riporta il Nyt citando fonti, secondo le quali Israele otterrebbe in cambio una normalizzazione delle relazioni con Riad.

È probabile che l'ipotesi venga, però, bocciata dai membri di destra (come il ministro per la Sicurezza, Itamar Ben-Gvir) del governo del premier Benjamin Netanyahu e dagli stati arabi moderati. Nonostante tutto ciò il piano evidenzia come Israele stia finalmente pensando al futuro dopo guerra per Gaza a una exit strategy e questo - mette in evidenza il Nyt - potrebbe essere un punto di partenza per le trattative.

Anche la decisione della Turchia di interrompere ogni rapporto commerciale con Israele sta provocando qualche reazione preoccupata a Tel Aviv mentre sul fronte delle trattative sulla tregua e sul rilascio degli ostaggi presto una delegazione di Hamas sarà al Cairo per nuovi colloqui con la mediazione del presidente egiziano Al Sisi.

I media palestinesi

In questa situazione convulsa l’Unesco ha assegnato il premio mondiale per la libertà di stampa a tutti i giornalisti palestinesi che seguono la guerra a Gaza. «In questi tempi di oscurità e disperazione, desideriamo condividere un forte messaggio di solidarietà e riconoscimento ai giornalisti palestinesi che stanno coprendo questa crisi in circostanze così drammatiche», ha dichiarato Mauricio Weibel, presidente della giuria internazionale di professionisti dei media.

«Come umanità, abbiamo un enorme debito nei confronti del loro coraggio e del loro impegno per la libertà di espressione», ha detto Weibel. Audrey Azoulay, direttore generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura, ha dichiarato che il premio rende «omaggio al coraggio dei giornalisti che affrontano circostanze difficili e pericolose».

Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), con sede a New York, almeno 97 membri della stampa sono stati uccisi dallo scoppio della guerra in ottobre, 92 dei quali erano palestinesi. Un premio Onu anche come ricompensa morale per il prezzo di vite umane sacrificate per mostrare l’inferno di Gaza al mondo.

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