Nell’ultimo anno gli oceani del Pianeta sono stati più caldi rispetto a qualsiasi altro periodo mai registrato da che si fanno rilevamenti di questo genere. La documentazione strumentale realizzata dagli scienziati copre gli ultimi 150 anni. Ma sulla base di osservazioni proxy, ossia su dati dedotti indirettamente, possiamo dire che i nostri oceani sono ora più caldi di quanto lo fossero prima dell’avvento della civiltà umana, molto probabilmente per almeno 100mila anni.

Le temperature degli oceani sono in costante aumento a causa del riscaldamento globale causato dall’uomo, il che a sua volta significa che gli anni più caldi da record sono diventati sempre più comuni. L’ultimo anno in cui abbiamo vissuto un anno freddo record risale ormai all’inizio del 20°secolo. Ma ciò che allarma gli scienziati è l’enorme aumento della temperatura globale dell’oceano iniziato ad aprile dello scorso anno. Il 2023 infatti, è stato più caldo dell’anno record precedente di ben 0,25°C. Al contrario, i margini degli altri anni record precedenti erano tutti inferiori a 0,1°C.

 I fattori 

Perché? I fattori antropici e non che hanno constribuito a ciò sono senza dubbio più di uno. Il primo, e il più ovvio, è il riscaldamento globale. Anno dopo anno l’oceano sta inglobando calore a causa dell’aumento dell’effetto serra: oltre il 90 per cento dell’energia associata al riscaldamento globale causato dall’uomo è finita negli oceani. Il calore extra che si riversa al loro interno si traduce in un graduale aumento della temperatura, con una tendenza in accelerazione.

Ma questo da solo non spiega perché abbiamo assistito ad un balzo così grande nell’ultimo anno. E per questo dunque, vanno considerati anche i fattori naturali. L’evento El Niño che si è verificato nel giugno dello scorso anno ha sicuramente giocato un ruolo sostanziale. El Niño e il suo partner, La Niña, sono gli estremi opposti di un’oscillazione naturale, la El Niño Southern Oscillation (l’oscillazione meridionale di El Niño), che si verifica nell’oceano Pacifico tropicale.

Questo ciclo sposta il calore verticalmente tra le acque più profonde dell’oceano e la superficie. Quando arriva El Niño, l’acqua più calda risale in superficie. Durante La Niña avviene il contrario. È possibile vedere chiaramente l’impatto di El Niño sui picchi di temperatura a breve termine, anche in un contesto di forte riscaldamento a lungo termine. Ma nemmeno il cambiamento climatico e El Niño messi insieme bastano a spiegare quanto avvenuto e quanto ancora sta avvenendo.

Altre oscillazioni naturali di trasferimento del calore, come l’Indian Ocean Dipole o la North Atlantic Oscillation, potrebbero spiegare appieno la situazione, ma non ci sono modelli ancora in grado di unire tutto ciò. Può anche darsi anche, che gli sforzi fatti per ridurre l’inquinamento da aerosol, derivante dal carburante cui facevano affidamento le navi da trasporto, abbiano avuto un effetto collaterale indesiderato: un maggiore riscaldamento. Con aerosol meno riflettenti nell’atmosfera, più energia solare può raggiungere la superficie.

Ma non è da escludere che possa esserci anche un livello di casualità. I sistemi meteorologici caotici sull’oceano possono ridurre la copertura nuvolosa, che può far entrare più radiazione solare. Oppure i sistemi meteorologici potrebbero indebolire i venti, riducendo l’evaporazione che aiuta a raffreddare la superficie dell’acqua. Per noi uomini, un oceano più caldo potrebbe sembrare piacevole.

Le conseguenze sull’oceano 

Ma il calore extra si manifesta sott’acqua come una serie senza precedenti di grandi ondate di calore marino. Gli organismi dell’oceano sono esigenti riguardo al loro intervallo di temperature preferito. Se il caldo aumenta troppo e per troppo tempo, devono spostarsi o muoiono. Le ondate di calore marino possono portare alla morte o alla migrazione di massa di mammiferi marini, uccelli marini, pesci e invertebrati. Possono causare la morte di foreste di alghe vitali e praterie di alghe, lasciando gli animali che dipendono da loro senza riparo o cibo. E possono distruggere specie importanti per la pesca e il turismo.

Lo stress termico dell’anno scorso ha causato un diffuso sbiancamento dei coralli in tutto il mondo. Lo sbiancamento è stato osservato sulle barriere coralline dei Caraibi, della Florida, dell’Egitto e della Grande Barriera Corallina. Nelle acque più fredde della Tasmania, sono stati messi in atto straordinari sforzi di conservazione per cercare di proteggere dal caldo le specie ittiche in via di estinzione. Considerando che le temperature record derivano da una combinazione di cambiamenti climatici indotti dall’uomo e da fonti naturali, è molto probabile che le temperature dell’oceano tornino nei prossimi mesi a temperature più “normali”.

La normalità ora è, ovviamente, molto più calda rispetto ai decenni precedenti. Nei prossimi mesi, le previsioni suggeriscono che si hanno buone possibilità di andare verso un’altra La Niña. Se ciò dovesse accadere, potremmo vedere temperature leggermente più fresche rispetto alla nuova normalità, ma è ancora troppo presto per averne certezza.

La “quasi luna” terrestre

In “prossimità” della Terra, in termini astronomici, c’è un insolito oggetto roccioso che non è un asteroide fuggitivo dalla fascia degli asteroidi del Sistema Solare (lo si capisce dal tipo di orbita) e dunque da molto tempo ci si è chiesti cosa fosse e da dove provenisse. Ora sembra esserci una risposta: si tratta di un pezzo della Luna scagliato nello spazio eoni fa da un impatto che la Luna stessa ha subìto.

A questa risposta vi è giunto un gruppo di ricercatori che è riuscito a creare un modello del tipo di impatto lunare che avrebbe potuto espellere un tale frammento di Luna e depositarlo su un’orbita stabile e vicina. E la ricerca ha permesso anche di trovare qual è il cratere dal quale è partito l’oggetto, si tratta di uno dei più noti e giovani tra i crateri lunare: Giordano Bruno.

Lo studio è riportato su Nature Astronomy. «Il modo con il quale è stato creato il modello sono solide e ben consolidate», afferma il geofisico Ronald Ballouz della Johns Hopkins University. «È in grado infatti, di dimostrare che i materiali espulsi da un cratere delle dimensioni del Giordano Bruno possono sopravvivere per un periodo di tempo sufficientemente lungo in una zona co-orbitale attorno alla Terra».

Per capire questa affermazione va detto che lo strano asteroide, noto come 469219 Kamo’oalewa, è stato scoperto nel 2016 da Pan-STARRS, un sistema di telescopi alle Hawaii progettato per identificare rocce spaziali potenzialmente minacciose per la Terra. Kamo’oalewa misura tra i 40 e i 100 metri di diametro e ruota su se stesso una volta ogni 28 minuti.

Segue un’orbita ellittica attorno al Sole e si muove in sincronia con la Terra, dando l’impressione che l’asteroide orbiti attorno al nostro Pianeta anche se è al di fuori della sua influenza gravitazionale. La curiosa orbita e le dimensioni ridotte dell’asteroide lo hanno portato a essere scelto come primo obiettivo per la missione cinese Tianwen-2 che partirà nel 2025, la quale ha come scopo quello di portare a Terra campioni dell’asteroide.

Nel 2021 gli studi del Large Binocular Telescope Observatory in Arizona hanno suggerito per la prima volta che la sua composizione somiglia più a una roccia lunare che a un tipico asteroide, in quanto lo spettro della luce riflessa da Kamo’oalewa ha rivelato silicati molto simili ai campioni lunari.

Bin Cheng planetologo dell’università di Tsinghua, tra i ricercatori dello studio, e di un gruppo di colleghi internazionali, hanno dapprima modellato quale tipo di impatto avrebbe potuto espellere una massa di quelle dimensioni alla velocità di fuga della Luna. Lo sforzo ha comportato «l’esplorazione di una enorme quantità di parametri e la simulazione di milioni di particelle su scale temporali lunghe, che spesso richiedono settimane di calcolo sui supercomputer», afferma Cheng.

I ricercatori hanno calcolato che l’espulsione di un frammento di almeno 36 metri di diametro avrebbe richiesto l’impatto con la Luna di un asteroide di dimensioni comprese tra 0,8 e 1,4 chilometri, una collisione che avrebbe lasciato dietro sé un cratere largo da 10 a 20 chilometri. La Luna è punteggiata da decine di migliaia di crateri più grandi di 10 chilometri, ma i ricercatori hanno anche pensato che la collisione dovesse essere relativamente recente e il cratere risultante particolarmente giovane.

Gli asteroidi nell’affollato spazio vicino alla Terra infatti, in genere non durano molto a lungo prima di collidere, essere inghiottiti o espulsi dal Sistema Solare. La durata media della vita è di 10 milioni di anni. Tali considerazioni hanno ridotto i crateri candidati a poche dozzine. Il team si è quindi concentrato su Giordano Bruno, largo 22 chilometri, formatosi dall’impatto di un asteroide largo 1,7 chilometri e di gran lunga il cratere più giovane del lotto.

Giacendo appena oltre il lembo della Luna sul suo lato nascosto, Giordano Bruno deve essere giovane perché da esso si irradiano ancora lunghi “raggi” di colore chiaro, la firma dei detriti dell’esplosione che vengono coperti in tempi relativamente brevi da impatti più piccoli. Le stime collocano l’età del cratere tra un milione e dieci milioni di anni.

Nel 1976, la missione russa Luna 24, un lander robotico sovietico, riportò sulla Terra campioni che si pensava contenessero detriti della formazione di Giordano Bruno. Il team di Cheng ha notato somiglianze spettrali tra i campioni di Luna 24 e Kamo’oalewa. Le osservazioni dei lati e del bordo del cratere mostrano anche che vi è una notevole quantità di pirosseno, un minerale rilevato anche su Kamo’oalewa.

Il gruppo di planetologi infine, ha stimato che la collisione che ha formato il cratere espulse fino a 400 frammenti delle dimensioni di Kamo’oalewa. Modellando le loro traiettorie nel corso di milioni di anni, i ricercatori hanno scoperto che una piccola frazione di essi sarebbe sopravvissuta in orbite vicine alla Terra.

Ma, se l’impatto di Giordano Bruno fosse più vicino a un milione di anni fa che a dieci milioni, potrebbero esserci fino a tre oggetti simili a Kamo’oalewa ancora in orbita vicino alla Terra e ancora da scoprire. Se i ricercatori avessero ragione e Tianwen-2 riportasse parte dell’asteroide sulla Terra, sarebbe la prima volta che gli scienziati sarebbero in grado di studiare un pezzo di materiale espulso dalla Luna, dice Cheng.

Il materiale che costituisce Kamo’oalewa potrebbe provenire da diversi chilometri sotto la superficie, rendendolo l’unico campione relativamente recente di materiale proveniente dall’interno lunare.

© Riproduzione riservata