I membri laici del Csm, siccome (al pari di quelli togati) custodes dei custodes (cioè dei magistrati ordinari e della loro funzione), sono eletti dal Parlamento con la rassicurante maggioranza di tre quinti.

Se particolarmente gravi, eventi sopravvenuti - o scoperti successivamente alla nomina – possono mettere in discussione l’originario affidamento dei parlamentari. A seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 1 del 1981, l’art. 37 della L. n. 195 del 1958 prevede che i componenti elettivi (laici o togati) del Consiglio Superiore ‘possono’ essere sospesi dalla carica se sottoposti a procedimento penale per delitto non colposo (art. 37, 1°) e che la sospensione (non più automatica) ‘può’ essere deliberata dal Csm a scrutinio segreto con la maggioranza dei due terzi dei componenti (art. 37, 6°). Resta confermato l’obbligo per il Csm di accertare la pendenza del procedimento penale (per delitto non colposo), che continua a essere il presupposto di ogni altro effetto.

Ma la sospensione dalla carica di consigliere non è più automatica (come era prima della riforma del 1981), dacché ora il Consiglio la ‘può’ ancora discrezionalmente disporre, ma soltanto con le stringenti modalità introdotte (maggioranza dei due terzi dei consiglieri e votazione a scrutinio segreto). In difetto delle quali è inibita ogni sospensione e il consigliere imputato rimane nella pienezza della carica finché, sopravvenuta condanna penale irrevocabile per delitto non colposo, il Csm – essendovi soltanto allora astretto – non ne pronunci la decadenza.

L’esercizio dell’azione penale

Ma presupposto della facoltativa sospensione è l’iscrizione a mod. 21 ovvero l’esercizio dell’azione penale?

Il quesito merita adeguata risposta, perché trasmessi gli atti dal Csm alla Procura di Roma, essa si è limitata a iscrivere a mod. 21 tanto il (più grave) delitto previsto dall’art. 323 ‘consumato’ a Roma ma abrogato dal 25 agosto 2024, quanto (per connessione) il delitto ex art. 326 c.p., ‘commesso’ a Paternò (circondario di Catania). L’evoluzione dommatica (F. Cordero) del concetto di ‘imputato’ nel Codice Rocco ed in quello vigente suggerisce l’adesione all’opzione più rigorosa (la sospensione presuppone l’esercizio dell’azione penale), siccome avallata sia (sub specie di fondamentale principio coessenziale all’art. 27, 2°Cost.) dalla Riforma Cartabia (art. 335 bis c.p.p.), sia dalla decisione 16 ottobre 2002, n. 103 della Sezione Disciplinare del Csm, con riferimento all’analoga fattispecie della sospensione cautelare disciplinare dei magistrati, ora prevista dall’art. 22 lgs. n. 109 del 2006 («quando il magistrato è sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva...»).

Sul punto la Sezione Disciplinare non aveva per vero mancato di rimarcare che «Certamente non è pensabile poter costruire una valutazione seria, fondata necessariamente sulla conoscenza e gravità dei fatti, sulla base della mera iscrizione ex art.335 c.p.p., ancorché in adempimento all'obbligo di legge, positivamente apprezzato dal P.M.: la mancanza del pur indispensabile capo di imputazione non consente alcuna valutazione, senza dire che - sotto il profilo delle normali possibili evenienze processuali - il P.M. potrebbe, anche subito, chiedere l'archiviazione». In senso conforme si era espresso già il Csm con l’ordinanza n.68/95.

Ciò premesso, (come registrato da Radio Radicale) in data 11 settembre 2024 il Vice Presidente del Csm ha letto la relazione del Comitato di Presidenza, cui ha fatto seguito l’intervento difensivo svolto dalla consigliera Natoli (che ha preannunciato l’impugnazione della sospensione) e infine la votazione a scrutinio segreto nonché la proclamazione del suo effetto sospensivo (favorevoli i due terzi: 22 su 33 componenti del Csm).

Lo scrutinio segreto imposto dal menzionato art. 37 assicura l’anonimato del voto, per garantire la massima libertà di giudizio, ed è incompatibile con qualsiasi dibattito orale (necessariamente personale). Siffatto scrutinio non poteva che articolarsi in due momenti, logicamente distinguibili. Il primo: era stata esercita l’azione penale ex art. 326 c.p. nei confronti della Consigliera, posto che risultava soltanto la sua mera iscrizione a mod. 21, ad opera per altro della Procura della Repubblica capitolina, competente per territorio solo in virtù della connessione del delitto di cui all’art. 326 c.p. con il più grave delitto di abuso d’ufficio successivamente abrogato? Soltanto la positiva risposta implicita, con la rigorosa maggioranza anzidetta, a tale interrogativo, ha potuto consentire al Consiglio di disporre la sospensione della Natoli. Ben vero, invece di disporre due distinte votazioni, il Vice Presidente le ha perciò accorpate, contando sulla forza della logica: se l’effetto x presuppone necessariamente l’accertamento Y, la deliberata opzione per la sospensione della Natoli (l’effetto x) presuppone infatti l’accertamento del suo indefettibile presupposto giuridico y.

l’impugnazione

Per conseguenza il provvedimento di sospensione della Natoli resta ora esposto all’impugnazione in sede propria, perché – contro il vero - esso ha implicitamente ritenuto sussistente il giuridico presupposto della sospensione adottata, e cioè l’accertata pendenza del procedimento penale per delitto non colposo.

Le conseguenze non sono rassicuranti. In forza di questo clamoroso precedente, per sospendere dalla carica qualunque inviso membro elettivo del Csm, sarà sufficiente denunciarlo o querelarlo per delitto non colposo.

Il delicatissimo rimedio della sospensione non deve rivelarsi altrettanto illegittimo dell’abuso oggettivamente intollerabile perpetrato dalla Natoli; la quale ha per altro ammesso, nel corso del dialogo registrato, la violazione del segreto camerale.

Frattanto perfino la legittimità delle successive decisioni del Plenum del Csm (specialmente quelle approvate dalla più risicata maggioranza), rese in composizione necessariamente ridotta (32 membri invece di 33), può essere in ipotesi condizionata dall’esito dell’impugnazione della sospensione, già ventilata dall’avv. Natoli nel corso del suo intervento difensivo?

Non era preferibile dunque, anche per tale ragione, attendere le valutazioni del competente Requirente (che avrebbe potuto disporre forse il giudizio immediato), invece di fare prevalere lo sdegno sul diritto?


 

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