Chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane. È il caso di Olaf Scholz, Robert Habeck e i loro rispettivi partiti, Spd e Verdi: il cancelliere ha già annunciato di volersi ricandidare alle elezioni federali nel 2025, mentre il suo vice sogna la cancelleria fin dal 2021, quando il suo partito in piena fase ascendente decise per la prima volta di far correre un proprio volto. All’epoca, però, l’aveva spuntata Annalena Baerbock.

Oggi affronterebbe uno scenario del tutto diverso, con l’onda green decisamente ridimensionata e un paese in cui il dibattito pubblico è drammaticamente scivolato a destra. Nonostante però non abbia ancora ufficializzato le sue intenzioni, la maggior parte dei commentatori tedeschi parte dall’assunto che il ministro dell’Economia correrà per la cancelleria. E, nonostante un contesto molto meno favorevole di quello che ha affrontato Baerbock, concedono del credito a quello che viene chiamato dai suoi detrattori «l’autore di libri per bambini» (effettivamente il figlio di farmacisti con un dottorato in lettere ha pubblicato insieme a sua moglie una serie di titoli, alcuni anche per lettori più giovani).

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Habeck di per sé è considerato un buon candidato: il suo naturale talento comunicativo l’ha già reso in diverse occasioni il vero volto del governo, molto più di quanto sia riuscito a esserlo Scholz, che non ha mai perso la sua aura professorale e un po’ respingente. Che il ministro voglia buttarsi nella mischia, sfidando il cancelliere e il candidato cristianodemocratico Friedrich Merz, emerge anche dal fatto che sta riorganizzando il suo ministero per far traslocare qualcuno dei suoi collaboratori più fidati verso il team della campagna elettorale. A coordinarla dovrebbe essere la pragmatica sottosegretaria Franziska Brantner, che secondo quanto rivela lo Spiegel prenderà il posto di Emily Büning, che ha curato (con risultati deprimenti) la campagna elettorale dei Verdi alle europee.

Anche l’agenda di Habeck riflette sempre di più le sue ambizioni: ultimamente è stato in Grecia, dove si è mostrato molto più vicecancelliere che ministro, affrontando anche tematiche tradizionalmente appannaggio del capo di governo, come le strategie geopolitiche e la politica commerciale internazionale di Berlino. Nessuno ha fatto una piega.

Lo stesso vale per la crisi dell’automotive, questa sì attinente alle sue competenze ministeriali: Habeck ha visitato impianti produttivi di una Volkswagen in grandissima difficoltà, promettendo di fare tutto il necessario per facilitare la vita a una delle principali aziende del paese. Nonostante la formazione ecologista il ministro rimane credibile per il pubblico anche in un contesto che non sarebbe naturalmente il suo. A pagare è soprattutto l’impegno di muoversi in particolar modo sugli incentivi alla mobilità elettrica che dovrebbero sbloccare innanzitutto il mercato interno.

Insomma, la Germania del futuro nei sogni di Habeck rimarrà un “Autoland”, un paese di macchine, ma elettriche. Resta il fatto che il principale interlocutore del potente settore è diventato lui, che ne difenderà le ragioni anche quando a livello europeo si discuterà di dazi da applicare sui prodotti cinesi. A cui l’automotive e di conseguenza il governo tedesco sono totalmente contrari, sia per evitare contromisure di ritorsione che colpirebbero l’export verso Pechino, sia perché le misure potrebbero riguardare componenti per auto tedesche prodotti in Cina.

Rianimare un partito

Il problema di Habeck è però il suo partito. Nelle ultime tre elezioni regionali, i Verdi sono riusciti a restare rilevanti soltanto in Sassonia. Nei sondaggi nazionali oscillano tra il 9,5 e il 13 per cento: insomma, non proprio consensi con cui si ambisce a guidare un governo. Cosa che invece può fare Dietmar Woidke, che con la sua Spd a Potsdam ha preso il 30 per cento: la polarizzazione del voto, che l’ha trasformato in uno scontro diretto tra il popolare governatore e la AfD, ha pagato, ma è improbabile che l’esperimento possa essere replicato a livello nazionale.

Nella sua campagna elettorale, Woidke di Scholz ha voluto vedere il meno possibile, e il consenso per il cancelliere continua a calare a vista d’occhio. Anche la Spd nei sondaggi non brilla, muovendosi tra il 14 e il 16 per cento, ma il Brandeburgo ha dimostrato che, se si fa per bene, gli oppositori di AfD si possono mobilitare. Se però vuole avere qualche possibilità contro la Cdu di Merz, Scholz ha bisogno di una svolta.

I liberali della Fdp, che bluffano (gli ultimi sondaggi li danno sotto la soglia di sbarramento del 5 per cento, in Brandeburgo erano sotto l’1 per cento) chiedendo un salto di qualità nell’attività di governo, potrebbero essere la chiave per smuovere le acque. Le elezioni anticipate chieste dalle opposizioni sono improbabili, visto che tutti e tre i partner ci andrebbero a perdere, ma in questo ultimo anno il cancelliere deve mostrarsi più competente di Merz – che non è mai stato ministro né governatore – nell’arte del governo.

Per ora, è troppo presto per dire se la sua strategia di chiusura delle frontiere e protezionismo economico nel caso Commerzbank pagherà: resta da vedere più a ridosso del voto se tornerà su una linea più progressista o se lascerà che siano i Verdi a rappresentare quell’intero bacino elettorale.

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