A usare l’aggettivo più appropriato per definire la situazione europea è stato Viktor Orban, fresco di un incontro con Giorgia Meloni: «Fluida». Il gruppo dei Conservatori europei presieduto dalla premier italiana ha fatto il punto della situazione ieri prima del vertice tra i leader europei riuniti a Bruxelles.

L’incognita in vista delle future nomine è su dove cadrà il sostegno di Meloni e dell’Ecr e se l’uscente Ursula von der Leyen, decisa a puntare al secondo mandato con il Ppe, potrà incassare anche il loro sì. In realtà, come ha fatto notare il partito socialista europeo, la maggioranza attuale sarebbe sufficiente con popolari, socialisti e liberali, senza legare la nuova commissione al sostegno di forze considerate «di estrema destra», come le ha definite il tedesco Olaf Scholz.

La strategia di meloni

La premier italiana, reduce dal G7 pugliese, sa di potersi fare forte di un esito elettorale alle europee che ne ha consolidato la solidità, dandole dunque spazio di trattativa per chiedere un commissario europeo di peso e una vicepresidenza. Sa anche che i suoi 25 europarlamentari fanno gola a von der Leyen, che potrebbe aver bisogno di un ulteriore appoggio in parlamento per non finire preda di eventuali franchi tiratori, con una parte dei popolari disposta a ragionare di aprire la maggioranza almeno ad una parte dell’Ecr. La strada sarà accidentata, viste sia il veto di socialisti e liberali che le sue promesse in campagna elettorale, tuttavia la trattativa è ancora lunga e Meloni ed è pronta a fare sponda con il suo vicepremier, Antonio Tajani, per costruire un eventuale accordo.

Nel frattempo, però, la premier ha adempiuto al suo ruolo di presidente dei Conservatori, incontrando informalmente il primo ministro ungherese Viktor Orban e l'ex premier polacco Mateusz Morawiecki. «Hanno valutato i risultati delle elezioni del Parlamento europeo» e hanno discusso di questioni politiche relative alla destra europea, dei compiti che attendono il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo e dei piani della presidenza ungherese dell'Ue», è stato quanto ha riferito un portavoce del governo ungherese. Meloni, invece, ha preferito allontanarsi senza rilasciare dichiarazioni, a riprova che il momento è topico e ogni parola va pesata.

Subito dopo, un appuntamento con la premier italiana è spuntato anche nell’agenda del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. L’incontro bilaterale si è tenuto appena prima della riunione del Consiglio europeo e il tema al centro del tavolo era scontato: il negoziato sulle nomine ai vertici delle istituzioni Ue.

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Il ruolo di Tajani

L’obiettivo del governo, tuttavia, è chiaro e fissato: ottenere un commissario con deleghe importanti e una vicepresidenza. La strategia è quella di una manovra a tenaglia: da dentro il Ppe si sta muovendo Tajani, che ha detto che «l’Italia ne ha diritto», dall’esterno invece Meloni sta tessendo la sua tela nel gioco dei veti incrociati.

Il ruolo di Forza Italia, tuttavia, è fondamentale e il vicepremier in questi giorni non è rimasto in silenzio. Il Ppe deve avere «ampia rappresentanza», perchè ha vinto le elezioni mentre «i socialisti non hanno vinto e i liberali hanno avuto difficoltà», ha detto in una intervista al Corriere della Sera, in cui ha anche iniziato ad aprire un varco per un avvicinamento di Meloni. «Che sia di destra estrema non è vero. Meloni è a capo dei Conservatori, famiglia politica storica che ha già avuto incarichi e ruoli in Europa. Solo Id è rimasta fuori», ha concluso con una frecciata al gruppo in cui siede la Lega di Matteo Salvini. La logica espressa da Tajani, che ha parlato a margine del pre-vertice, è che «non si possano chiudere le porte ai Conservatori perché una realtà così variegata come il parlamento europeo non può chiudersi in una maggioranza a tre: bisogna mantenere il dialogo». Di diverso avviso, invece, il premier polacco ed esponente del Ppe Donald Tusk, secondo cui «una maggioranza c’è già con Ppe, liberali e i socialisti e altri piccoli gruppi, la mia sensazione è che sia già più che sufficiente».

In questo scenario, Meloni è consapevole di avere due grandi avversari pronti a ostacolare ogni sua mossa: da una parte il francese Emmanuel Macron, con cui il rapporto tesissimo è trasparito anche durante il G7 di Borgo Egnazia, e il cancelliere tedesco socialista Scholz, che l’ha bollata come la leader di un partito di estrema destra. Von der Leyen ha ottenuto il via libera di entrambi – vincendone le resistenze – per un suo secondo mandato, e un inserimento in corsa di Meloni potrebbe rischiare di incrinare gli accordi già presi. Il messaggio dei socialisti è stato tranciante: «Nessun negoziato con Ecr, la fiducia a von der Leyen dipende anche da questo». Se così fosse, i nomi di vertice accanto a von der Leyen sarebbero quello dell'ex premier portoghese, il socialista António Costa, come prossimo presidente del Consiglio europeo, e dalla premier estone, la liberale Kaja Kallas, come Alto rappresentante per la politica estera. Eppure è stato proprio Tajani prima del vertice a gettare scompiglio, rivelando le «perplessità dentro il Ppe» nei confronti di entrambi. Segno che anche dentro il Ppe covano due anime e gli scenari oggi dati per scontati potrebbero essere meno blindati di quanto non appaiano al termine del vertice informale di ieri.

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