Israele tira dritto per la sua strada. Malgrado gli appelli di tutti suoi alleati e di vari paesi arabi ad accettare i termini di una tregua delineata mercoledì sera dagli Stati Uniti e dalla Francia, ha continuato a bombardare pesantemente il Libano. «Non ci sarà nessun cessate il fuoco a nord» ha scritto su X il ministro degli Esteri Israel Katz. «Continueremo a combattere contro l’organizzazione terroristica di Hezbollah con tutta la nostra forza fino alla vittoria e al ritorno in sicurezza dei residenti del nord alle proprie case».

La proposta, firmata anche dall’Unione Europea, dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi prevedeva una tregua immediata di 21 giorni applicata alla cosiddetta “linea blu”, la linea di demarcazione tra i due Paesi, per permettere di negoziare una soluzione diplomatica al conflitto. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che era in volo per New York dove parlerà oggi all’Assemblea Generale dell’Onu, ha affidato al suo staff un responso alle notizie che erano iniziate a circolare insistentemente sulla possibile tregua, senza però chiudere completamente la porta a questa ipotesi.

«La notizia di un cessate il fuoco non è vera. È una proposta angloamericana, a cui il premier non ha nemmeno risposto. La notizia di una presunta direttiva di moderare i combattimenti a nord è l’opposto della verità», ha fatto sapere l’ufficio di Netanyahu. Il premier ha invece «ordinato di continuare con gli attacchi in Libano e che anche la guerra a Gaza continuerà fino a quando non saranno raggiunti gli obiettivi stabiliti».

E l’aviazione israeliana ha obbedito, bombardando la scuola al-Faluja nella zona nord della Striscia, accusando Hamas di usarla come zona operativa.

E combattimenti sul fronte nord e nella Striscia hanno continuato a catalizzare l’attenzione dei leader mondiali. Il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin ha dichiarato che malgrado ci sia il rischio di una guerra totale tra Israele ed Hezbollah, una soluzione diplomatica sarebbe ancora praticabile.

«Israele ha detto che il suo obiettivo è il ritorno a casa dei cittadini del nord. Credo che la maniera più rapida per farlo sia attraverso la diplomazia», ha detto Austin, dopo aver incontrato a Londra i suoi omologhi del Regno Unito e dell'Australia.

All’Onu invece il presidente dell’Autorità nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, accolto da un lungo applauso prima che pronunciasse il suo discorso alla 79esima Assemblea Generale, ha chiesto ai leader mondiali di fermare il «genocidio» e di bloccare la vendita di armi ad Israele. «Non ce ne andremo, non ce ne andremo. La Palestina è la nostra terra, non ce ne andremo. Se qualcuno se ne andrà sono coloro che la occupano» ha detto, aggiungendo che «il mondo intero è responsabile di quel che succede alla nostra gente a Gaza».

L’ottantottenne leader palestinese ha poi aspramente criticato gli Stati Uniti per aver messo il veto per tre volte alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza, mentre nel frattempo vende armi ad Israele. Abbas ha detto di volere la sicurezza per il futuro stato palestinese e per Israele, ribadendo la richiesta di un cessate il fuoco immediato e consegna degli aiuti umanitari a Gaza, insieme al ritiro immediato delle truppe israeliane. «Non vogliamo combattere Israele, ma vogliamo che la nostra gente, le nostre famiglie siano protette. Lo stato palestinese deve imporre la sua completa autorità su Gaza e la Cisgiordania. Non chiediamo di più, ma non vogliamo di meno».

Malgrado gli appelli di Abbas, Israele ha annunciato di essersi assicurato un nuovo «pacchetto di aiuti Usa da 8,7 miliardi di dollari per supportare gli sforzi militari in corso». In un messaggio postato su X, il ministero della Difesa dello Stato ebraico ha riferito che «il direttore generale Eyal Zamir ha concluso le trattative a Washington». «Il pacchetto comprende 3,5 miliardi di dollari per gli acquisti essenziali in tempo di guerra e 5,2 miliardi di dollari per i sistemi di difesa aerea», con parte dei fondi da destinarsi ai sistemi di contraerea Iron Dome e David’s Sling, ha detto il ministero.

L’Idf nel frattempo ha bombardato la zona di Dahiyeh a Beirut, roccaforte di Hezbollah, sostenendo di aver ucciso il capo delle forze aeree del gruppo filorianiano. Media israeliani hanno detto che si tratta di Mohammed Srur, conosciuto anche come Abu Saleh. Due persone sono morte e 15 rimaste ferite nell’attacco, secondo il Ministero della Sanità libanese.

Altri bombardamenti hanno poi colpito zone meridionali del Paese, della valle del Beqaa e delle infrastrutture lungo il confine con la Siria, usate, secondo l’Idf, per l’entrata di armi in Libano. Una cittadina francese di 87 anni è morta in seguito ad una forte esplosione nel Libano meridionale, ha fatto sapere Parigi. Le vittime totali degli attacchi di giovedì sarebbero almeno 28, secondo il governo libanese.

L’Idf ha anche condotto un’esercitazione al confine col Libano simulando un attacco di terra, segno che l’ipotesi di invasione del Libano rimane in piedi. «Ho approvato la prossima serie di operazioni che l’Idf eseguirà sul fronte nord. Continueremo a eliminare terroristi di Hezbollah, smantellare infrastrutture di attacco e distruggere razzi e missili» ha dichiarato nel pomeriggio il ministro della Difesa Yoav Gallant.

Parlando con i giornalisti, il ministro dell’Interno libanese Bassam Mawlawi ha detto che da lunedì circa 70.000 persone sono scappate dal sud e sono stati accolte in 533 rifugi nel Paese.

Hezbollah ha attaccato con 80 missili la città israeliana settentrionale di Safed, dove non sono state riportate vittime ma notevoli danni a case della zona, secondo la polizia del Paese ebraico.

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