Con un breve discorso il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha provato a rassicurare i mercati dopo il crac di Silicon Valley Bank, ma senza successo. Il fallimento della banca degli startupper tecnologici non è un incidente di percorso, ma è figlio di problemi strutturali: regole insufficienti e regolatori troppo deboli per far rispettare quelle poche che ci sono
Il breve discorso del presidente americano Joe Biden, intervenuto a rassicurare i cittadini americani dopo il fallimento della Silicon Valley bank, il secondo più grande nella storia delle banche americane, non è servito a placare i mercati e il tracollo dei titoli del settore del credito. E ora anche il percorso di rialzo dei tassi deciso dalla Fed rischia di essere messo in discussione, addirittura ieri le emittenti americane, spiegavano che la probabilità che la Fed non tocchi il costo del denaro era salita di due terzi. Il punto è che se è vero come ha detto Biden che «non è una crisi come quella del 2008», è altrettanto vero che il crac della Svb ha mostrato debolezze strutturali.
Regole ammorbidite
La prima, che il presidente americano ha riassunto nell’appello a regole più restrittive per le banche, sta nel fatto che il settore del credito americano è sottoposto a norme sul rischio meno stringenti di quello europeo. Per anni esperti del settore, come Anat Admati, docente di economia e finanza a Stanford, hanno messo in guardia dalla mancata regolamentazione del settore. Peccato che l’attività di lobbying dei banchieri, compresi i manager della Svb Bank, sia stata efficiente ed efficace.
Già nel 2015, secondo la documentazione depositata al Congresso e riportata dai media americani, il presidente di Svb Bank chiedeva di ridurre il controllo sul suo istituto, definendo attività e modello di business, basato sul finanziamento alle start up e in generale alle nuove aziende tecnologiche, come a «basso profilo di rischio», mentre proprio la natura della banca, con un portafoglio clienti poco diversificati e anche non estesi a livello territoriale doveva mettere in allarme.
La presidenza di Donald Trump, ricordavano ieri gli analisti di Intermonte, nel 2018 ha innalzato di cinque volte, da 50 miliardi di dollari di attivo totale a 250 miliardi, la soglia che divide le banche sistemiche da quelle non sistemiche, cioè le banche che hanno rilevanza per il sistema finanziario nel suo complesso e quindi devono essere sottoposte a maggiori norme precauzionali da quelle considerati non rilevanti. Questo colpo di spugna ha retto fino all’innalzamento dei tassi con cui la Fed ha chiuso la stagione della liquidità facile per combattere il mostro dell’inflazione. Ieri Biden ha detto che i manager dovrebbero essere licenziati, a banca fallita, una magra consolazione. E soprattutto non certo un risposta alla seconda debolezza sistemica: dove sono i regolatori?
Il comitato rischi della Svb Bank si è riunito 18 volte solo nel 2022 e sempre nel 2022 la posizione di chief risk officer è stata vacante per ben otto mesi: da fine aprile a gennaio 2023. Prima di quell’anno, tra 2020 e 2021, la banca era cresciuta moltissimo: in un tempo rapidissimo, gestiva un attivo di 116 miliardi a fine 2020, 221 miliardi a fine 2021: i depositi erano nel frattempo triplicati secondo l’ultima analisi di Algebris.
Nel 2022 iniziano a ridursi per effetto del rialzo dei tassi, mentre le obbligazioni su cui ha investito la banca iniziano parallelamente a perdere valore, fino a innescare la crisi di liquidità che ha portato al fallimento.
La reazione dell’amministrazione americana che ha deciso di tutelare i depositi di Svb Bank anche oltre 250 mila dollari e si è inventata una nuova linea di liquidità per il settore e nuove regole sui collaterali ad alcuni osservatori è sembrata sproporzionata. Gli analisti considerano comunque la possibilità di contagio e di impatto contenuta, al di là delle società tech e di alcuni istituti di venture capital. Ma il caso della banca della Silicon Valley ha mostrato le fragilità di un intero settore nella nuova fase di politica monetaria.
Le banche non sistemiche
Le banche americane non sistemiche, spiegava già nel febbraio scorso il numero uno della Federal Deposit Insurance Corporation, l’agenzia governativa a cui è stato deputato il salvataggio di Svb, hanno investito massicciamente in titoli a lunga scadenza e quindi ora meno redditizi.
Con Signature Bank siamo al secondo fallimento. E un’altra banca regionale, First Republic vacilla e ha già annunciato di aver fatto ricorso ai nuovi prestiti federali. In generale, secondo i dati della Fdic, le perdite non realizzate dalle banche a causa del rialzo dei tassi ammontano a 620 miliardi di dollari.
Le banche europee godono di maggiore liquidità e, come quelle sistemiche Usa, non possono avere titoli in portafoglio con un valore a bilancio troppo diverso da quello di mercato. Il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni ieri ha detto di non vedere rischio contagio nell’Eurozona, ma i rischi potenziali esistono, soprattutto per gli istituti più piccoli. Ieri Piazza Affari ha perso il 4 per cento bruciando 29 miliardi, le borse europee nel loro complesso quasi 300.
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