- È stata la sinistra radicale statunitense di Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez a sostenere la “teoria monetaria moderna” il cui acronimo inglese è Mmt.
- L’accademia internazionale la considera un misto di ovvietà e confusioni, senza costrutto teorico né riscontro empirico.
- Esporre in modo ordinato Mmt è quasi impossibile. Cerca di farlo, senza riuscirci del tutto, il libro di una sua seguace, Stephanie Kelton, ora tradotto per Fazi: Il mito del deficit: la teoria monetaria moderna per un’economia al servizio del popolo.
È stata la sinistra radicale statunitense di Bernie Sanders e Alexandra Ocasio-Cortez a sostenere la “teoria monetaria moderna” il cui acronimo inglese è MMT. L’accademia internazionale la considera un misto di ovvietà e confusioni, senza costrutto teorico né riscontro empirico.
Nel febbraio del 2019 il presidente della Federal Reserve dovette però prenderla in considerazione in una testimonianza al Congresso e criticarne le conclusioni pur confessando di non averla letta a fondo.
Secondo il Financial Times quell’occasione fu «gran vittoria» per MMT che a quel punto divenne imprescindibile. Si tratta di idee che hanno fatto qualche serio danno in Sudamerica e che echeggiano anche politici italiani in odore di populismo, non sempre di sinistra. Che i governi dei Paesi con una loro moneta possano sempre stamparla per finanziare spese in deficit senza limiti è però una caricatura di MMT le cui affermazioni sono un filo più complesse.
Esporre in modo ordinato MMT è quasi impossibile. Cerca di farlo, senza riuscirci del tutto, il libro di una sua seguace, Stephanie Kelton, ora tradotto per Fazi: Il mito del deficit: la teoria monetaria moderna per un’economia al servizio del popolo.
Credo però che alcune affermazioni della “teoria” possono essere messe in fila guardandone gli strafalcioni ma notando anche le debolezze delle politiche economiche ortodosse che in parte spiegano il loro diffondersi. Provo a farlo distinguendo quattro gruppi di proposizioni di MMT.
Il rischio di insolvenza
MMT-1. Non esiste rischio di insolvenza per il debito pubblico di un Paese che lo denomina nella sua moneta. Da un punto di vista finanziario l’entità del deficit pubblico non è quindi un problema: chi si oppone a una spesa pubblica dicendo che col deficit che causerebbe si rischierebbe il default nasconde con un pretesto finanziario la disapprovazione per la sostanza delle spese. Il governo è responsabile della qualità delle sue spese e non deve deciderle in base alla presunta esistenza o mancanza di fondi spendibili.
Si può sempre stampare moneta per spenderla direttamente o per rimborsare i debiti fatti per finanziare la spesa.
Tante obiezioni. Come nelle proposizioni successive, MMT sorvola sulla relazione fra moneta e inflazione.
Se troppa moneta genera inflazione questa toglie potere d’acquisto a redditi e risparmi e redistribuisce dai creditori ai debitori in modo non autorizzato dal legislatore. I detentori di un debito pubblico eccessivo possono temere che il suo rimborso in moneta causerà danni da inflazione e rifiutare i titoli, causando o il default o l’inflazione che temono.
La sovrabbondanza di una moneta può causarne la svalutazione con conseguente inflazione e problemi con i partner commerciali e con chi investite dall’estero nel Paese. Nella misura in cui un Paese deve denominare il debito in moneta estera il rischio di insolvenza è evidente.
MMT dice che i Paesi a moneta debole possono isolarsi da questi inconvenienti con controlli sui movimenti di capitali e protezionismi commerciali ma non valuta i danni dell’isolamento.
C’è però un vizio del modo consueto di fare scelte di bilancio pubblico che rende MMT-1 stimolante: il vincolo finanziario al debito viene spesso usato a sproposito deresponsabilizzando la scelta politica. Se una spesa è dannosa va criticata come tale, non perché aumenta il deficit e non ci sono i soldi. Quota-100 non è un lusso impossibile ma un’ingiustizia e un danno alla crescita indipendentemente dal suo costo.
MMT-2. Se il deficit pubblico non è un problema finanziario può esserlo per l’equilibrio fra domanda e offerta aggregate. Le spese che lo generano non devono richiedere risorse produttive in misura maggiore di quelle disponibili, altrimenti c’è inflazione. L’inflazione va evitata ed è il vero limite alla spesa pubblica in deficit: la tassazione serve per redistribuire redditi e ricchezze ma anche per contenere l’impatto inflazionistico della spesa. Per evitare l’inflazione occorre però un’accurata e disaggregata analisi della spesa e delle imposte: se in piena occupazione finanzio lavori pubblici tassando i ricchi, il deficit non cresce ma genero inflazione perché la spesa alimenta i consumi mentre i ricchi diminuiscono solo il risparmio.
Sono affermazioni meno pericolose di MMT-1, ma si può molto obiettare. Per evitare l’inflazione non si può trascurare la sua relazione con la moneta usata per finanziare il deficit e col conseguente livello dei tassi di interesse che influenzano consumi e investimenti e la loro pressione sulle risorse disponibili.
È per altro vago il metodo con cui MMT decide se un deficit produce inflazione: non c’è una discussione costruttiva dei metodi difettosi oggi in uso, il tasso di disoccupazione non inflazionistico e il “gap” fra Pil potenziale ed effettivo, e l’alternativa indicata è fumosissima.
L’inflazione da shock di offerta e la sua convivenza con la disoccupazione non è considerata. MMT dice che l’inflazione anziché dal deficit può originare da margini monopolistici e speculazioni ma suggerisce allora discutibili controlli dei singoli prezzi.
D’altra parte affidare alla politica di bilancio il controllo dell’inflazione pare un’eterodossa reazione ad almeno tre lustri durante i quali la relazione fra moneta e prezzi si è indebolita e la teoria dell’inflazione non si è evoluta.
Prima del 2008 le politiche di moneta e credito facili di molti Paesi non fecero suonare l’allarme dell’inflazione, finché saltarono banche e governi.
Poi è subentrata la minaccia della deflazione e l’enorme espansione monetaria non ha risolto il problema. Se negli occhi della MMT c’è una trave nei nostri c’è almeno qualche pagliuzza.
MMT-3. Finanziare un deficit pubblico in moneta o in titoli non fa gran differenza. I titoli di Stato, come spiega in poche righe la Kelton “sono una diversa forma di denaro pubblico, che fa guadagnare ai cittadini un po’ di interessi”: bontà sua. Ed è “per sostenere i tassi di interesse, non per finanziare la spesa” che si emettono titoli.
Per rimaner serio uno teme gli sfuggano collegamenti, che so, con la “moneta con cedola” di Milton Friedman o cerca cenni all’anomalia dei tassi negativi di oggi, o altro ancora. Ma per “servire il popolo”, come vuole MMT, non occorre ragionare.
Lo strumento classico della politica monetaria, la regolazione del rapporto fra le quantità di moneta e di titoli presenti sui mercati, viene ridotto all’atto caritatevole di far guadagnar qualcosa a chi detiene moneta.
Ma invece di sorridere dovremmo riflettere umilmente sulla trappola della liquidità in cui il mondo è caduto dopo la crisi del 2008 e sulla crisi di efficacia della politica monetaria.
Al risparmio che si accontentava del rendimento dei BOT oggi farebbe piacere la carità della MMT. Occorre, dice la Kelton, “declassare la politica monetaria ed elevare la politica fiscale”: già fatto; le stesse banche centrali, dopo aver introdotto strumenti con valenza fiscale come i “quantitative easing”, esauste e impotenti, supplicano di poter passare il testimone alle politiche di bilancio. Loro son preoccupate soprattutto dalle crisi finanziarie che possono venire dall’eccesso di moneta e credito ma per evitarle aumentano ancor più la liquidità mentre i loro comunicati continuano a insistere su obiettivi di inflazione cui pochi credono.
C’è confusione nella pratica e nella teoria monetarie: sarà per questo che MMT trova qualche spazio?
MMT-4. Per evitare che le politiche di bilancio provochino disoccupazione o inflazione occorre potenziare gli stabilizzatori automatici che aumentano la domanda aggregata quando è carente e viceversa.
L’ideale è che lo stato si disponga a creare direttamente occupazione in misura variabile a seconda delle necessità del ciclo.
Occorre una “garanzia di lavoro”: chi rimane disoccupato può trovare un impiego statale con un salario minimo dignitoso per compiere lavori utili alla collettività, dalla cura dell’ambiente al doposcuola.
Quando il ciclo migliora, le imprese offrono lavori meglio pagati e i programmi di garanzia si sgonfiano.
Gli adepti della MMT compilano liste infinite di preziosi lavori, pronti per chi altrimenti rimarrebbe disoccupato, non vanno per il sottile nel calcolare le spese, non tengono conto che negli USA la disoccupazione non si allontana molto dal 3 per cento, non si curano di stimare l’impatto della garanzia su prezzi, salari e flessibilità del mercato del lavoro.
Con una proposta vaga e pericolosamente statalista, MMT-4 valorizza però l’importanza di “lavori socialmente utili” e risponde a un’esigenza moderna di sostituire sussidi di disoccupazione e “casse integrazioni” rigide con stabilizzatori automatici più potenti, moderni e capaci di difendere i lavoratori anziché i posti di lavoro.
L’ortodossia predica “politiche attive del lavoro” ma se ne fanno poche e non sempre bene. In Italia c’è il malriuscito misto di reddito di cittadinanza e navigator.
Anche per criticare MMT-4 serve consapevolezza delle carenze delle politiche economiche ortodosse.
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