«Stesso cuore, stessa pelle, questo è il patto tra sorelle», scrivono sui social le gemelle. Alice è campionessa olimpica di ginnastica alla trave, Asia ai Giochi è stata spettatrice forzata per un infortunio. Il racconto del suo dolore, la tentazione di smettere, la voglia di riscatto a Los Angeles 2028
«Stesso cuore, stessa pelle, questo è il patto tra sorelle, anime che non potrà mai dividere la realtà». Una frase, scritta sui loro profili social, racchiude l’unione tra le gemelle D’Amato. Anche se adesso a dividerle c’è una medaglia dal peso enorme. Alice è il personaggio sportivo dell’anno, campionessa olimpica di ginnastica artistica. Asia ai Giochi è stata spettatrice forzata. L’altra faccia di una medaglia.
Dietro l’oro sorprendente e storico conquistato da Alice alla trave c’è un lato di turbolenze emotive. È quello di Asia. Vietato parlare di antagonismo perché le due ventunenni di Genova, entrambe tesserate per le Fiamme Oro della Polizia, sono l’una la forza dell’altra. Non sono caratterialmente uguali, ma si capiscono con uno sguardo.
«La rivalità tra di noi c’è stata, tantissima, ma solo quando eravamo piccole. Poi, andando via prestissimo da casa, abbiamo capito la fortuna e l’importanza di poter crescere l’una a fianco dell’altra, sostenendoci. Io e Alice insieme siamo una squadra. Se vince una è come se vincesse anche l’altra».
L’oro di Alice le lascia un profondo rammarico, pensando magari: avrei potuto esserci io, quando mi ricapita un’occasione del genere?
Più che rabbia è dispiacere. Ma se doveva andare così, un motivo c’è. Non sono fatalista, nemmeno troppo credente, cerco solo di pensare positivo. Io vedo che a volte Alice si dispiace per me, perché le luci dei riflettori sono tutte per lei. Ma io sono felicissima per lei.
In passato però era Asia la gemella più vincente a livello individuale. Il primo risultato storico è stato suo: l’argento mondiale al volteggio in Giappone nel 2021 a 18 anni, poi l’oro europeo 2022 nell’all around. Delle due è sempre stata lei la più determinata, tignosa, la prima ad arrivare agli allenamenti e l’ultima ad uscire. Alice era più scostante, emotiva, è stata lei a trascinarla, a motivarla.
Si, è vero. Io sono sempre stata la più forte, anche in gara ero la più fredda, non me ne fregava di niente e nessuno perché ero competitiva. Alice spesso si lasciava prendere dalle emozioni, mi ripeteva: quanto vorrei avere il tuo carattere in gara. Ecco perché adesso sono molto orgogliosa di lei, negli ultimi anni lei caratterialmente è cresciuta tantissimo, guardate cosa ha fatto a Parigi. Però ci piacerebbe insieme veicolare un messaggio.
Quale?
La maggior parte delle persone segue solo le Olimpiadi e poi si disinteressa a tutto il resto. Ma non è una medaglia d’oro o una di bronzo che determina una ginnasta, o qualsiasi altro sportivo. È tutto quello che c’è prima, che fai durante gli anni, il percorso. Un campione è anche chi deve superare tante battaglie e non riesce ad esprimersi come vorrebbe. Un campione è anche chi cade e si rialza. È la forza che ci metti nel rialzarti da una caduta che vale doppio.
A proposito di cadute, la sfortuna con lei ci è andata giù pesante. Tre gravi infortuni in due anni. Il primo ai legamenti della caviglia nel 2022 subito dopo aver vinto gli Europei, poi la rottura del crociato e del menisco del ginocchio sinistro nel 2023. E nell’aprile 2024 , a ridosso dei Giochi, ancora il crociato dello stesso ginocchio già operato.
Per quest’ultimo infortunio a Rimini lo scorso aprile ho visto un buco nero. Vedere sfumare il sogno olimpico è stato straziante. Ho pensato di smettere, mi ero messa in testa che la mia carriera sarebbe finita lì. Ero già reduce da due anni molto difficili e mi ero rialzata, ma infortunarsi a tre mesi dalle Olimpiadi è stata una batosta, mi è caduto il mondo addosso. Ho pensato: no, il terzo intervento non lo posso sopportare. Questo è un segnale, il mio corpo mi sta dicendo basta. È stato difficile guardare le altre allenarsi, facevo il mio in palestra e poi sgattaiolavo via in silenzio. Sia chiaro, ero felice di vedere Alice e le altre azzurre impegnate a preparare i Giochi, perché so tutto il lavoro che c’è dietro, ma allo stesso tempo io la vivevo molto male.
L’idea di ritirarsi è tramontata. Adesso ha ripreso ad allenarsi.
Mi sono detta: non posso finire in questo modo, posso ancora dare tanto. E mi sono messa subito a lavorare con la rieducazione. Ma prima ho riflettuto molto, mi sono accorta che c’era qualcosa che non andava dentro la mia testa. Dopo i primi due infortuni ero tornata in forma, sembrava tutto risolto, invece avevo proprio paura di gareggiare, non ero più centrata mentalmente. Ho capito di aver bisogno di un sostegno, ho alzato la mano e ho chiesto aiuto. Dall’inizio dell’estate ho intrapreso un percorso con uno psicologo che mi sta dando più sicurezza.
Chiedere aiuto è sinonimo di forza. Forse, dopo i primi due infortuni, combatteva contro i fantasmi mentali di farsi male?
Negli allenamenti ero tranquillissima, poi però durante le gare avevo pensieri brutti. Per farle capire, finivo una gara, l’avevo fatta bene, avrei dovuto essere soddisfatta invece il primo pensiero era: che culo, non mi sono fatta male! Ero entrata in un loop, se finivo un esercizio non era per la mia bravura ma per la fortuna di non essermi infortunata. Adesso voglio tornare, ma senza fretta. Voglio riprendermi sia fisicamente sia mentalmente, riconquistare la tranquillità che avevo perduto, vivere questo quadriennio, da qui a Los Angeles 2028, con serenità.
Non solo gli infortuni. Il dolore straziante per la scomparsa di papà Massimo nel settembre del 2022.
Non si supera mai un trauma del genere, io faccio ancora fatica. Dico una cosa che a molti suonerà magari strana: la malattia di papà è come se ci avesse dato una carica interiore, tanta rabbia che entrambe abbiamo sfogato nella ginnastica, nelle gare abbiamo tirato fuori più carattere. Lui era il nostro tifoso numero uno e quindi noi cercavamo di trasmettergli felicità. Volevamo fare ciò che lui amava vederci fare. Abbiamo scoperto la sua malattia nel maggio del 2021, la situazione era grave fin dall’inizio, un tumore al polmone al quarto stadio, ma papà ha reagito con una forza pazzesca, non so proprio come abbia fatto. Lui andava dal medico e gli diceva: “Mi deve mettere da parte questo tumore perché io ho tante cose da vedere delle mie figlie, non posso permettermi di andarmene proprio adesso”. Era consapevole ma inconsapevole allo stesso tempo. Era lui che rincuorava noi. Penso che…se ce l’ha fatta lui ad affrontare simili difficoltà, sapendo che stava per morire, figuriamoci io se posso lamentarmi di uno stupido infortunio.
Vivete e vi allenate a Brescia, alla Brixia, dove vi siete trasferite a 10 anni. A Genova è rimasta mamma Elena.
Ho una profonda ammirazione per mia madre. È stata tosta per lei vederci andare via quando eravamo piccole, ritrovarsi in una casa svuotata della nostra presenza. All’inizio papà non voleva ma è stata mamma a dirgli: dobbiamo lasciarle fare quello che vogliono loro, perché dobbiamo essere noi ad impedirglielo? Anche se non dovessero arrivare alle Olimpiadi, noi come genitori potremmo sempre dirci di averci provato. A volte sento persone che danno aria alla bocca dicendo: ma come fanno dei genitori a comportarsi così, ad abbandonare i figli così piccoli? Mamma e papà sapevano dove andavamo, eravamo accudite, ogni weekend ci venivano a trovare a Brescia o tornavamo noi a Genova. Per loro è stato un grosso sacrificio. Non è da tutti lasciare andar via le figlie ad inseguire il proprio sogno. Due genitori così dovrebbero averli tutti.
A Genova, nel quartiere Carignano, c’è la polisportiva Andrea Doria dove siete cresciute. E dove adesso è in costruzione un palazzetto dello sport che sarà intitolato a voi due.
I dirigenti ci hanno detto: «Vogliamo ringraziarvi ma vogliamo anche sdebitarci, perché è stata anche colpa nostra: siete dovute andare via da Genova perché non avevate gli spazi necessari per allenarvi». Per me e Alice è una cosa stupenda. Speriamo che questa nuova palestra possa dare un futuro migliore ai bambini che vogliono rimanere a Genova. Noi sappiamo bene il sacrificio di averla dovuta lasciare. È casa nostra. Genova è Genova, non è paragonabile a nessuna altra città.
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