Nel suo libro Martina Micciché accompagna chi legge in un viaggio per la città stimolando una riflessione su chi le città le vive, sugli stereotipi, sui soggetti invisibilizzati e sulla correlazione tra la condizione sociale ed economica di appartenenza e il luogo di residenza
Per noi era casa, per l* altr* era un nome, qualcosa di vago e di poco rilevante. Comasina, Bruzzano, Quarto Oggiaro, Barona, Baggio o Rozzano, nomi che avevano un certo impatto, una certa immagine». Così Martina Micciché, scienziata politica e fotoreporter nata e cresciuta in Comasina, un quartiere nel nord di Milano, introduce il suo libro Femminismo di periferia (Edizioni Sonda, 2024).
Quelle nominate sono periferie, luoghi ai margini che diventano protagonisti solo quando si verifica qualche evento di cronaca. E anche in quei casi sono raccontati spesso con stereotipi e retorica, con gli occhi di persone esterne che guardano dall’alto, senza davvero entrarci dentro.
L’elenco di quartieri periferici è molto più lungo e non si limita ai dintorni di Milano. «Porta Palazzo a Torino, lo Zen di Palermo, il Begato di Genova, Librino a Catania, Forcella a Napoli o Serpentone Corviale a Roma. Periferie, con storie e vite intrecciate al decadimento architettonico, all’invisibile linea che ha il potere di interrompere i servizi. Case popolari come dedali, lo spaccino all’angolo del parco, i giochi in attesa di essere sostituiti da decenni, gli asili nido che rimangono senza acqua calda in inverno».
Micciché accompagna chi legge in un viaggio per la città – in particolare per il capoluogo lombardo, anche se potrebbe tranquillamente essere un altro capoluogo qualsiasi in Italia – stimolando una riflessione su chi le città le vive, sugli stereotipi, sui soggetti invisibilizzati e sulla correlazione tra la condizione sociale ed economica di appartenenza e il luogo di residenza.
L’autrice parte dalla definizione di periferia cittadina, intesa come l’insieme dei quartieri lontani dal centro, e poi va oltre studiando gli attributi che più o meno consapevolmente vengono dati alla periferia: squallida, desolata, inferiore.
Città che escludono
«L’architettura cittadina», scrive Micciché, «è modulata su un’idea di umanità molto ristretta. Un mucchietto di persone, una manciata microscopica. Tutte le altre persone, invece, sono gremite dalle ombre urbane. Cancellate, annaspano, in deficit di spazio. Uno spazio che spetterebbe loro». Le città sono fatte a immagine e somiglianza degli uomini, nel senso di maschile egemone, «ovvero proprietario, bianco ed eterosessuale». Secondo l’autrice, è necessario fare luce sullo spazio urbano e sui soggetti dimenticati, illuminando tutte le persone «attivamente marginalizzate dalla città, osservare chi è espulso dalla città».
Le grandi escluse della città sono le donne. Una donna in gravidanza si accorgerà presto di quanto sia limitata l’accoglienza nei suoi confronti: giusto due sedili riservati sul pullman, la possibilità di saltare la coda in alcuni uffici e di parcheggiare un po’ più vicino all’entrata del supermercato. E anche quando non sono incinte la città per le donne non è un posto ospitale.
Le vie sono per molte un luogo di paura, di violenza, di discriminazione, di «ciao bella» gridati mentre si percorre a passo svelto una strada mal illuminata. «Le città sono costellate di assenze che inceppano i percorsi di vita delle donne», scrive l’autrice. E questo discorso vale anche per le persone non eterosessuali, non cisgender e non binarie.
Le città, spesso piene di strade tortuose, gradini e ostacoli, escludono anche dal punto di vista dell’accessibilità: sono studiate per essere attraversate da corpi abili, che possono schivare con facilità le buche sui marciapiedi o salire un gradino senza troppi sforzi.
Femminismo di periferia non parla solo di città e di corpi che le abitano. È un manifesto di consapevolezze, una presa di coscienza individuale – ma che dovrebbe diventare collettiva – che tocca ambienti che sembrano molto lontani tra loro e invece sono strettamente interconnessi: il lavoro femminile, il carcere, la depressione, ma anche il razzismo urbano e istituzionale, gli stereotipi di genere e i cambiamenti climatici.
La periferia esiste
L’autrice guida chi legge in un percorso lineare e impegnato che tocca temi diversi, e che solo nelle ultime pagine permette di capire cos’è davvero il femminismo di periferia a cui si fa cenno sulla copertina del libro. In generale, è definito come il raggiungimento di una società equa in cui non sia presente nessun tipo di discriminazione, è anche un movimento in cui le varie soggettività e condizioni si uniscono e che per questo fa parte del femminismo intersezionale.
«Il femminismo di periferia è tante cose, una chiave di interpretazione, ma anche una rivendicazione. Rivendica esistenza, spazio e identità. È identitario, di chi abita i margini, siano essi città, corpi, identità o ambienti. Allo stesso tempo è una denuncia contro le disuguaglianze, contro la periferizzazione».
Il metodo del femminismo di periferia è una delle chiavi di cambiamento. «Se il capitalismo e il patriarcato hanno fatto della competizione e della rivalità il centro del loro apparato circolatorio, il femminismo vi ha posto la sorellanza, la cooperazione», scrive l’autrice. «Le sue pratiche condivise creano con la cooperazione ciò che la città non offre: spazi, supporto, mutuo soccorso, ascolto, sostegno e attenzione all’altro sono nella periferia qualcosa di difficile e prezioso.
Il femminismo di periferia, tenace, sovverte gli schemi e agisce, supportando donne, ragazze, persone non binarie e persone trans in situazioni violente, lottando per mantenere aperti o istituire consultori, organizzando club di lettura e mercati solidali, erigendo spazi di accoglienza e abitazioni per quelle soggettività che il sistema invisibilizza più di tutte».
Il femminismo di periferia dà voce a chi è escluso e dimenticato perché proprio in quegli ambienti ai margini della città, secondo Micciché, «ci sono radicali possibilità, ovvero opzioni alternative, futuri da sperimentare così profondamente diversi dal meccanismo di accumulo e dominio da essere una reale, tangibile, proponibile alternativa».
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