Si chiama Football Governance Bill e vuole mettere dei paletti nel calcio inglese. È da settimane al centro della discussione parlamentare, passando dalla Camera dei Comuni a quella dei Lord, con diciannove emendamenti al disegno di legge proposti da Fair Game, organizzazione formata da 34 club maschili per sostenere un approccio più sostenibile alla gestione del calcio.

È l’ultimo puntino su una mappa di interventi sparsi in tutta Europa, manovre statali o governative per disciplinare lo sport più popolare, Dalla Francia all’Italia, adesso la Gran Bretagna. Tutti con gli occhi su quel calcio che, sia dal punto di vista delle regole sia da quello economico, pare non essere in grado di scriversi da solo le riforme.

Mettendo in crisi quell’autonomia tanto sbandierata che già le sentenze della Corte di giustizia europea hanno messo in un angolo, equiparando il football a qualsiasi altra attività economica, contestando i monopoli di Fifa e Uefa, richiamando al rispetto delle regole di concorrenza del mercato comune.

La governance indipendente

Uno dei temi più discussi dal parlamento inglese riguarda il divieto per Stati stranieri – o persone o enti riconducibili a questi – di acquistare i club, insieme con la possibilità di sottoporre i proprietari a test relativi al rispetto dei diritti umani e l’obbligo di rivelare la provenienza dei soldi investiti.

Il progetto di legge prevede, inoltre, che la futura governance indipendente debba considerare gli obiettivi di politica estera del governo in carica, prima di prendere decisioni in merito. Nella discussione parlamentare è stata espressa però la volontà di eliminare questa clausola. Già nel 2020 Amnesty International aveva chiesto alla Premier League di prendere posizione sullo sportswashing e di includere una valutazione sui diritti umani nel test per l’apertura a proprietari e dirigenti dei club.

Il Football Governance Bill è nato perseguendo tre obiettivi fondamentali: migliorare la sostenibilità economica dei club, garantire la solidità finanziaria di tutti i campionati e salvaguardare il patrimonio del calcio inglese. Una legge sulla quale il primo ministro laburista, Keir Starmer, e Lisa Nandy, segretaria di Stato per la Cultura, i Media e lo Sport, puntano molto. Avrebbero voluto approvarla quanto prima, si sono incagliati in una serie di interessi incrociati.

Sul paracadute economico per chi retrocede in Championship, c’è tensione tra le due leghe: da una parte la Premier League che preferirebbe mantenerlo, dall’altra l’English Football League – che sovrintende la seconda, terza e quarta serie della piramide del calcio inglese – che spinge per abolirlo. Ancora non è chiaro se la governance indipendente potrà decidere sul tema oppure no.

Secondo la Premier League una cancellazione renderebbe meno competitivo il sistema, visto che retrocedendo si perdono quei vantaggi economici derivanti dalla distribuzione dei diritti televisivi. Secondo l’EFL, diversamente, si mina la competitività dei campionati minori.

I soldi delle tv

La ripartizione dei diritti televisivi per tutto il calcio britannico è un altro tema di dissidio. I poteri che saranno conferiti all’Independent Football Regulator stanno minando la coesione interna della Premier League sulle modifiche da apportare alle regole che definiscono i limiti della competizione calcistica inglese.

Starmer ha inizialmente respinto le richieste di divieto totale verso i proprietari stranieri per più di un motivo: i club più importanti d’Inghilterra sono tutti in mano a cittadini non britannici. Il calcio inglese, e non solo, dovrebbe rinunciare a investimenti miliardari, gli stessi che lo hanno fatto decollare quando alcun divieto fu posto agli oligarchi dell’Est Europa. Non è questo il momento più adatto.

La febbre interventista ha preso anche l’Italia, dove è idea del governo Meloni, in particolare del ministro dello Sport Andrea Abodi, di istituire un’agenzia governativa, denominata Agenzia per la vigilanza economica e finanziaria sulle società sportive professionistiche, per controllarne i bilanci, una proposta che ha scatenato molte polemiche e introdotto una domanda: non basta la Covisoc?

Evidentemente no, se non è stata in grado di contenere i debiti milionari di molte società. In Francia, dopo gli aiuti al calcio nel post pandemia, il Senato ha istituito una commissione d’inchiesta sulla finanziarizzazione del football per indagare sulle eccessive spese della Ligue che stridono con la crisi economica dei club. In Spagna, dopo gli aiuti di Stato contestati dalla Corte Ue, sulla spinta del caso Rubiales e con il commissariamento della federcalcio per presunti contratti irregolari, anche Pedro Sánchez da l’impressione di voler controllare in maniera sempre più invasiva il calcio.

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