Era il gioco dei dissidenti politici e dell’intellighenzia. Un giorno è arrivata una serie su Netflix e lo streaming ha portato gli scacchi a tutti. La pandemia ci chiuse in casa, davanti ai nostri schermi. Molti cominciarono a giocare online. La stringa «come si gioca a scacchi» toccò il suo record mondiale. A migliaia corsero a registrarsi sulla piattaforma chess.com, altri comprarono scacchiere e pezzi su Amazon.

Hanno iniziato a produrne di ogni tipo e in ogni materiale, in bronzo, in argento, sono usciti dei set a tema, tipo i Galli di Astérix contro i Romani, la battaglia di Waterloo, gli Incas e i Conquistadores. L’ultima cosa che doveva accadere per rendere definitivamente pop questo mondo di nerd è successa l’altro giorno a Singapore, dov’è diventato campione del mondo un ragazzino di diciott’anni, il più giovane di sempre.

Chi è

Si chiama Gukesh Dommaraju, ma fa più fico farsi chiamare Gukesh D, così sembri un rapper e ti smarchi da tutta quella polvere che sta attaccata a nomi come Kasparov, Karpov, Spasskij. Gukesh D per giunta è di Chennai, così può parlare contemporaneamente la lingua delle due nazioni più popolose sulla faccia della Terra, quella dell’India e quella dei Teenager.

Nella classifica dei primi-25 al mondo ci sono tredici Paesi diversi. Gli scacchi non sono mai stati così globali e sembra un bacio del cielo avere come ragazzo del poster il primo campione Under-20 della storia, per uscire ancora di più dagli argini, parlare alle masse, nutrire le schiere dei prossimi bimbi prodigio. Ai preliminari l’Ucraina ha mandato un quasi infante, Ihor Samunenkov, 14 anni, il più bravo di tutti nel suo paese da quando ne aveva 12.

Gukesh è figlio di un chirurgo e di una microbiologa, Rajinikanth e Padma, anche loro appassionati di cavalli e alfieri, ma è stata la scuola a influenzare il cammino del piccolo. Un’ascesa portentosa. Due anni fa aveva solo una classifica da junior. È stato il secondo grande maestro più giovane di sempre, incoronato quando aveva 12 anni, sette mesi e 17 giorni. Oggi al mondo sono meno di duemila.

L’età nuova

Dicono che Gukesh abbia uno stile di gioco aggressivo, ma nel tempo libero guarda Friends. Il suo maestro ha raccontato a The Athletic che da bimbo poneva domande strane, chiedeva come fanno a restare concentrati quelli che non possono distrarsi, gli alpinisti per esempio, uno come Alex Honnold. Risposta del maestro: boh.

Gukesh ha giocato 276 partite in 16 mesi e 14 in queste ultime due settimane, 30 tornei in 13 paesi diversi, con allenamenti infilati qua e là alle cinque del pomeriggio. Un tempo era l’ora della merendina.

Al torneo degli sfidanti di Toronto ha eliminato cinque avversari tutti meglio classificati di lui e si è meritato la chance di battersi contro il detentore, Ding Liren, 32 anni, cinese. Per la prima volta in 138 anni sono stati uno contro l’altro due asiatici. Ding ha avuto un regno turbolento. Si è preso nove mesi di pausa per ritrovare serenità mentale.

Dal trono si era allontanato in precedenza pure Magnus Carlsen, norvegese, tuttora il numero 1 del ranking mondiale. Se n’è andato per stress, forse per noia, o meglio ancora per paranoia. Da un po’ crede che gli avversari vogliano imbrogliarlo, specialmente quando si gioca online. Imbrogliare significa sbirciare su qualche app quale mossa fare. Il Wall Street Journal ha calcolato che tra marzo 2023 e marzo 2024 l’1,1% dei partecipanti ai tornei sulle piattaforme si è visto chiudere l’account.

Le ambizioni dell’India

Sul dorso di Gukesh D, c’è un paese che cerca visibilità e occasioni, compresa la più grande di tutte, un’Olimpiade da organizzare in casa. «È il sogno secolare di un miliardo e mezzo di persone. È la loro aspirazione», ha detto il capo del governo Narendra Modi.

Nei termini del business è un mercato. In termini di diritti tv è un bacino d’utenza. In termini sportivi – in uno sport segnato dal business e dai diritti tv – l’India è un treno che passa. Non lo lasceranno scappare. Con la forza dei suoi numeri giganteschi, quelli suoi ma pure di tutta l’area, ha spinto il comitato olimpico internazionale a inserire la versione breve del cricket nel programma di Los Angeles 2028.

È stato il primo segnale d’attenzione. Neppure ventiquattr’ore dopo, Modi ha parlato al congresso del Cio dei progressi del paese, delle sue infrastrutture così adatte, della sua capacità organizzativa così all’altezza.

Ha citato gli esempi del vertice G-20 e di molti altri eventi tenuti in 60 città del paese. Ha ricordato di aver ospitato le Olimpiadi degli scacchi con 186 nazioni partecipanti, la Coppa del mondo femminile Under-17 di calcio, quella di hockey, i Mondiali femminili di boxe, la Coppa del mondo di tiro, la stessa Coppa del mondo di cricket.

Il Cio ha ricevuto un mese fa la lettera d’intenti, il primo passo formale, con la la proposta di portare la fiaccola in Ahmedabad, la città di Modi, per chiarire sin dall’inizio che di politica stiamo parlando.

Il processo di selezione aiuta. Non ci sono più aste e pacchetti di voto da garantirsi. Una commissione del Cio sceglie a suo insindacabile giudizio, dicono per eliminare la corruzione. Le avversarie sembrano Arabia Saudita, Qatar, Turchia.

Non si decide prima di un anno, chissà che faccia avrà il mondo quel giorno. Di certo l’India ha anticipato di volere sei discipline nuove in programma: insieme al cricket anche lo yoga (ehm), il kabaddi, lo squash e il kho kho (una specie di acchiapparello). Il sesto: gli scacchi. Nella sua ultima versione, il Cio è sensibile agli sport degli young adult. Chi l’avrebbe detto che un gioco nato nel VI secolo sarebbe finito in mano ai diciottenni.

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