Dopo l’attacco squadrista alla sede nazionale della Cgil, avvenuto il 9 ottobre scorso, i sindacati confederati hanno mobilitato migliaia di persone, invitandole a partecipare alla manifestazione «democratica e antifascista» che si è tenuta oggi a Piazza San Giovanni, a Roma.

Da metà mattina, la piazza si riempie di persone arrivate nella capitale da tutta Italia. Sessantamila in tutto, secondo i dati della questura. Davanti alla basilica romana sventolano le bandiere delle delegazioni territoriali dei tre sindacati dei lavoratori: Cgil, Cisl e Uil. Alle 13 e 30, il corteo partito dalla sede della Cgil del quartiere Esquilino, raggiunge la piazza ormai gremita. In testa, il segretario nazionale del sindacato, Maurizio Landini.

Pier Domenico Ciullini è arrivato a Roma, da Firenze, a bordo di uno dei treni speciali organizzati per la giornata. Ad accompagnarlo, sua figlia. «Sono militante, non dico dalla nascita – ironizza – ma sicuramente dagli anni Sessanta», racconta. Pier Domenico prende fiato, dopo aver fatto la scalinata della metropolitana, su uno sgabellino rosso, com’è rosso il suo cappellino del sindacato e il simbolo del partito con cui ha iniziato le sue lotte giovanili, quello comunista. «Quando il Partito comunista italiano si è sciolto, sono passato con il Partito democratico della sinistra, qualche anno dopo con i Democratici di sinistra e alla fine ho fatto un anno con il Partito democratico». Adesso, invece, partecipa alle manifestazioni e, nonostante l’età che avanza, continua a scendere in piazza augurandosi che il fascismo non torni mai più.

Maria Rosaria Villani, invece, ha 58 anni ed è arrivata da Frosinone «innanzitutto in segno di solidarietà alla Cgil e poi per dire no a qualunque forma di fascismo e violenza». Maria Rosaria è un’insegnante e fa parte della Cisl Scuola. Alla domanda su cosa pensa dei colleghi che insistono a non sottoporsi alla somministrazione del vaccino contro il Covid-19, risponde che non è il luogo adatto in cui parlarne. Eppure, la Cgil ha indetto la manifestazione subito dopo un attacco partito proprio da un’altra mobilitazione, quella contro il green pass. Dopo questa considerazione, la professoressa spiega di essere a favore del certificato verde che ha reso le scuole più sicure. Tuttavia, continua, «in democrazia ognuno è libero di avere un proprio pensiero, basta manifestarlo in modo pacifico».

Anche Gabriella Baroni è una docente. È nata a Roma ed è cresciuta nel cuore di Trastevere. Crescendo, però, ha deciso di fare una scelta ambientalista e trasferirsi in un paesello di 900 anime immerso nel verde. «Quando ho iniziato erano gli anni Settanta: ricordo le lotte delle donne, il referendum per l’aborto e mi sembra che oggi la situazione sia peggiorata», dice Gabriella, la quale tuttavia conserva in sé anche una parte ottimista rispetto alle nuove generazioni. Poi torna nel suo ambito, la scuola, a suo avviso troppo poco aggiornata, in particolare nell’approccio che utilizza rispetto alla storia: «L’antifascismo è fondamentale per la formazione degli studenti. Va bene studiare la storia antica, ma le tragedie ci sono ancora, andrebbe spiegata con occhi nuovi».

Un obbligo giusto

In piazza, oltre a sostenere la Cgil contro il fascismo, le delegazioni sindacali erano d’accordo anche su un altro fronte, quello dell’obbligo vaccinale. Sulle proteste operaie dei giorni scorsi contro il green pass sul posto di lavoro, Marco Relli, segretario territoriale della Fiom di Trieste, afferma di credere, come la Cgil, che «l’obbligo vaccinale sia una misura sanitaria; il green pass, un atto politico». Relli difende per questo i suoi colleghi dei porti, «che hanno voluto fare un’azione rivendicativa rispetto al governo». Nella piazza antifascista, dunque, la linea che separa i sindacati dei lavoratori dai dimostranti contro il green pass sembra farsi sempre più sottile. Il motivo per cui i sindacati confederati protendono per l’obbligo vaccinale è semplice: «Sarebbe il governo a rispondere dell’obbligatorietà. In questo momento, invece, tutto il problema gestionale grava sui sindacati e le imprese, a causa di un ricatto che ha lo scopo di incentivare le vaccinazioni, ma che ha causato enormi difficoltà a tutti coloro che poi devono gestire i lavoratori», conclude Relli. Una sorta di ripicca, dunque, nei confronti del governo, che avrebbe soltanto creato «malumori e reazioni». Lecite, anche se a pagarne il prezzo sono loro stessi.

La pensa allo stesso modo il vicesegretario della Unione italiana dei lavoratori agroalimentari (Uila) di Avellino-Benevento, Gianfranco Raffa, secondo il quale il green pass lederebbe il fondamento democratico della libertà. «Noi vaccinati, alla fine proteggiamo anche chi non vuole o non può vaccinarsi, la possibilità è bassissima». Il fatto che il virus possa continuare a circolare sul posto di lavoro, contagiando anche i vaccinati e bloccando le produzioni, dunque, è il male minore.

© Riproduzione riservata