Nel 2020 l’audience tv si era dilatata a causa del lockdown. Finita l’emergenza sanitaria, le cose hanno ripreso il loro corso e il numero degli spettatori dei palinsesti tv ha continuato a raggrinzirsi a favore di altri svaghi come la pizza fuori casa o la caccia ai video sullo smartphone.

La guerra non ha invertito la tendenza, perché l’angoscia è tanta, ma nessuno ti costringe a serrarti in casa. La guerra determina, per altro, due effetti paralleli quanto a domanda di “contenuto” della programmazione.

Contenuti e bombe

Da un lato il “reale romanzato” e il reality, che costituiscono una parte enorme della tv quando il mondo sembra in pace, sembrano ridicoli rispetto alla realtà dell’esperienza estrema della guerra. Vanno in crisi anche le narrazioni distopiche che vogliono spiegare che la normalità corrente non è il regno della luce.

Cresce invece la voglia della favola pura e semplice. Il fenomeno è comparso, chiarissimo, fin dalla prima Guerra del golfo (1991) che di colpo ha cambiato gerarchie d’ascolto in apparenza solidissime.

Da un altro lato cresce la richiesta di “razionalizzazione” rispetto a quanto accade. Durante la pandemia il compito è stato svolto dai virologi; con la guerra tocca alla categoria dei geopolitologi. In risposta al «Fateci capire!», l’audience dei talk d’informazione è cresciuta nell’insieme. Ma non per tutti e non in pari misura.

Audience populista

Abbiamo chiesto allo Studio Frasi di Milano i dati d’audience dei programmi d’informazione di una settimana del marzo 2021 e dell’ultima settimana che nel febbraio 2002 ha preceduto lo scoppio della guerra. Fino alla vigilia del conflitto, i programmi d’informazione, reduci dai trionfi del lockdown, avevano patito la quaresima dell’audience arretrando in misura maggiore del resto della tv tradizionale. Sempre su Rete Quattro, è Nicola Porro (Quarta repubblica), mix di populista e il liberale, che è riuscito persino a migliorare.

Qualcosa di simile è successo a la7. Il cuneo populista di Massimo Giletti (Non è l’Arena) e la passionalità movimentista di Corrado Formigli (Piazza Pulita!) nel 2021 hanno ceduto entrambe un terzo delle loro audience precedenti. Mentre Floris, che incarna da sinistra il talk show politico composto (come Porro sulla destra), è anch’egli riuscito a consolidare ascolti e share.

A completare il panorama, Propaganda Live di Zoro e Maccox  a febbraio mostrava di aver ceduto un punto buono, forse perché la politica di Draghi mal si presta alla presa in giro; Lilli Gruber e Barbara Palombelli erano entrambe sotto di un punto e mezzo rispetto all’anno precedente. Mentre Lucia Annunziata (Mezz’ora in più) e Bianca Berlinguer (Carta bianca) hanno tenuto la quota che avevano, ma con meno spettatori.

Il populismo che soffre

Rispetto a questa situazione misurata fino alla vigilia della guerra, l’ultima settimana di marzo registra, com’è ovvio, una maggiore audience dei programmi informativi, ma con alcuni tratti da sottolineare.

I talk show “di destra” risultano ancor più marginali, come se Putin avesse fatto venire meno la sponda estera del populismo organizzato.

Non a caso già la stampa internazionale (come il New York Times il 17 marzo) si domanda se la guerra scatenata dalla cleptocrazia securitaria della Russia abbia ferito, e quanto a fondo, la carica utopica e di rabbia espressa da trumpismo e salvinismo.

La gara delle all news

Nel confronto dei brand editoriali, la misura delle audience indica Sky Tg24 come il sicuro vincitore rispetto alle altre offerte all news. Frequentato con costanza dal quarto di popolazione che possiede i decoder Sky, Sky Tg24 è cresciuto anche sul canale in chiaro 50, del digitale terrestre.

Sicché se un anno fa era Rai News 24 a guidare la classifica, ora le parti sembrano invertite. Il fenomeno è rilevante perché suggerisce l’idea che le news di Sky siano, in sostanza, non più “vere”, ma di sicuro molto più chiare e strutturalmente indipendenti dal bestiario politico appollaiato a vigilare sulla Rai dal parlamento.

Per Rai News, dovessimo dirla in breve, si pone la questione di farsi prendere sul serio, dimostrando che la Rai stessa è la prima che ci crede. Mentre l’impressione è quella opposta, visto l’esilio sul canale 48, dove devi andartelo a cercare, ammesso che ne ricordi l’esistenza, quando urgono le crisi, le guerre, le catastrofi.

Cambiamenti

Insomma, anche nel caso della informazione televisiva, la guerra, come ci hanno spiegato molte volte, precipita il corso delle cose. Chi pensava di avere più tempo per cambiare se lo trova d’improvviso raccorciato e chi riusciva a malapena a sopravvivere si ritrova sul ciglio del burrone.

Non sappiamo quanto la crisi potrà riflettersi sulle manovre di Mediaset. Intanto fiotti di pubblico e di ricavi pubblicitari sfuggono alle spire del Biscione perché informazione e intrattenimento si spostano in quote sempre maggiori sui siti in piattaforma. Dove vince chi è padrone del prodotto, tant’è vero che Netflix molto ne produce e non s’accontenta di avere un’efficiente piattaforma per distribuire quello altrui.  

Ma l’accelerazione delle dinamiche, la tensione fra emarginazione e prospettive di sviluppo, non è meno pressante per la Rai. Gli equilibri in parlamento, e le inerzie panciafichiste che governano le teste dei singoli parlamentari e dei loro cari in Rai, inchioderebbero, potendo, la lancetta delle ore, per concentrarsi magari, tra bizantinismi e codicilli contrattuali, a ridiscutere, della dolorosa perdita, per loro, del grappolo di mini TgR lanciato da 23 postazioni alle regioni, per far notte. Mentre nel mondo esplodono le bombe.

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