Così negli aeroporti di Fiumicino e Malpensa l’Italia blocca gli stranieri, tenuti a pane e acqua anche per una settimana dalla polizia di frontiera
- È il 28 novembre del 2020, un sabato mattina. Tre uomini congolesi atterrano all’aeroporto di Fiumicino provenienti dal Marocco. Una volta atterrati all’aeroporto di Fiumicino, poi, hanno condiviso in Italia un’altra storia di diritti violati, trattenuti per una settimana a pane e acqua dalla polizia di frontiera.
- Le storie di questo tipo non sono né isolate, né casuali. A spiegarlo nel dettaglio è un report curato dal Progetto “In Limine”: «Le zone di transito aeroportuali come luoghi di privazione arbitraria della libertà e sospensione del diritto».
- Dall’Agenzia Europea della Guardia di Frontiera e Costiera, Frontex, hanno rivelato l’intenzione di dispiegare per la prima volta nell'aeroporto di Fiumicino una squadra di agenti che «offre supporto operativo al personale di Fiumicino, agendo sotto il coordinamento di quest'ultimo». È il confine che si rafforza.
È il 28 novembre del 2020, un sabato mattina. Tre uomini congolesi atterrano all’aeroporto di Fiumicino provenienti dal Marocco. Non si conoscono. Ma non appena scendono dall’aereo fanno amicizia. Condividono lo stesso destino di persecuzione nel paese da cui sono fuggiti: il Congo.
Non avrebbero mai immaginato di diventare i protagonisti di una storia che ricorda il celebre film di Spielberg The Terminal: il cittadino Viktor Navorski, interpretato da Tom Hanks, proveniente da un immaginario stato orientale rimane bloccato nel terminal dello scalo di New York perché non appena mette piede su suolo americano nel suo paese avviene un colpo di stato e il suo passaporto perde validità.
Diventa così un irregolare, Nvorski. Come lo sono Aboubakar, Lusala, Sekou,i nomi di fantasia per tutelarne l’identità di richiedenti asilo): erano scappati qualche anno prima e tutti e tre si erano rifugiati in Marocco.
In seguito, pagando lo stesso mediatore, erano riusciti a procurarsi i biglietti aerei per viaggiare da Rabat verso Roma. Una volta atterrati all’aeroporto di Fiumicino, poi, hanno condiviso in Italia un’altra storia di diritti violati, trattenuti per una settimana dalla polizia di frontiera.
Quel sabato mattina, infatti, scesi dall’aereo vengono fermati da alcuni poliziotti, ai quali mostrano i loro passaporti e i biglietti del volo di linea. Vengono condotti in una ampia stanza con una doccia e un bagno, e privati dei loro effetti personali.
Soltanto in serata i poliziotti che per tutto il giorno li avevano sorvegliati, dopo aver preso loro le impronte digitali, consegnano ai tre uomini un panino, dell’acqua e delle coperte per la notte, che Aboubakar, Lusala, Sekou trascorrono su di una brandina, all’interno di una stanzetta ricavata nell’hangar dell’aeroporto di Fiumicino.
La stessa dove ogni anno più di un migliaio di migranti tra richiedenti asilo, da rimpatriare o da respingere, alloggiano per qualche giorno, in attesa che venga indicato il loro destino dalla polizia di frontiera.
Senza diritti
Ai tre congolesi, nel frattempo, nessuno aveva spiegato perché la loro prima giornata trascorsa in Italia si era conclusa senza nessun chiarimento: perché si trovavano in quel posto, per quali ragioni erano stati sottoposti a quelle procedure, infine, nessuno aveva dato loro la possibilità di spiegare i motivi della presenza in Italia.
Intanto le giornate trascorrevano tutte uguali. Un panino e dell’acqua, tre volte al giorno, senza la possibilità di fare una doccia poiché erano sprovvisti dei loro effetti personali e perché l’acqua era fredda. Questo hanno raccontato Aboubakar, Lusala e Sekou: «In quella stanza dove abbiamo dormito è transitata altra gente straniera.
Alcuni di loro si sono fermati per qualche ora, altri per una notte soltanto. Dormivano sulle sedie o sulle brandine come le nostre. Poi andavano via. Noi tre, invece, siamo rimasti chiusi in quella stanza senza la possibilità di parlare con nessuno che ci spiegasse ciò che stava accadendo, per quattro intere giornate».
Il loro racconto non è finito: «Mercoledì 2 dicembre un poliziotto ci ha comunicato che alle 18 del giorno successivo avremmo preso un aereo diretto verso il Marocco, e ciò nonostante avessimo spiegato che eravamo fuggiti proprio da quel paese, e dunque non potevamo farvi più ritorno».
I tre migranti hanno aggiunto: «Per tutta risposta il poliziotto ed anche un interprete ci hanno detto che a causa della misure adottate per contrastare la pandemia, non potevamo rimanere in Italia e che avremmo dovuto fare ritorno nel paese dal quale provenivamo».
Resistenza
A poche ore dalla partenza verso il Marocco, Aboubakar, Lusala e Sekou, hanno raccontato questa storia di limitazione della propria libertà personale alla quale erano stati sottoposti ad un uomo tunisino che si trovava con loro nella stanza dell’aeroporto di Fiumicino. Il tunisino, grazie all’interessamento dei giuristi del progetto “In Limine”, li aveva messi in contatto con l’avvocata Giulia Crescini, che fa parte del nodo romano dell’Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione.
Crescini ha così preso in mano il caso. Per i tre ragazzi del Congo la situazione cambia decisamente. Hanno trascorso la notte in un ambiente più confortevole, ricevendo gli stessi panini e la stessa acqua, sì, ma all’indomani gli è stata consegnata la domanda per richiedere la protezione internazionale e di conseguenza la convocazione presso la competente commissione territoriale.
Dunque, hanno potuto chiedere asilo politico. Ora sono stati accolti anche nel circuito di accoglienza straordinario, ospiti di un Cas, dopo essere stati ospitati per una settimana in una stanza dell’aeroporto, a pane e acqua, dal 28 novembre al 3 dicembre, e con un aereo che era per pronto per riportarli, di nuovo indietro, in Marocco. Il miracolo del diritto.
Non solo Roma
All’aeroporto di Milano Malpensa, la scorsa estate, lo stesso pretesto della pandemia era stato utilizzato dalla polizia di frontiera, addirittura, per un respingimento collettivo. Un episodio che aveva scatenato le reazioni della stessa Asgi e di Arci, che avevano inviato una lettera ai ministeri degli Esteri e dell’Interno, denunciando che «alcuni cittadini dominicani regolarmente soggiornanti in Italia, arrivati il 20 luglio 2020 all’aeroporto di Milano Malpensa a bordo di un volo organizzato dal ministero degli Affari Esteri, sono stati fermati all’arrivo nella zona di transito e, a seguito di notifica di provvedimenti di respingimento immediato, sono stati imbarcati su un volo che li ha riportati nella Repubblica Dominicana».
Nella lettera che era stata inviata anche al Garante nazionale per le persone private della libertà, Mauro Palma, si riferivano le preoccupazioni delle organizzazioni «per le condizioni materiali cui sono state soggette le persone coinvolte dal respingimento alla frontiera aeroportuale di Milano Malpensa». Costretti a dormire per quattro giorni su brandine da campo, «in condizioni di promiscuità tra uomini, donne e minori, senza alcuna possibilità di uscire e sotto stretta sorveglianza da parte delle autorità di frontiera».
Come del resto racconta la storia vissuta da M.H., un giovane dominicano, appena maggiorenne, arrivato in Italia nel 2018 per ricongiungersi con la madre, regolaremente in Italia e sposata con un italiano. Entrambi vivevano a Perugia, sotto lo stesso tetto, fino a quando M.H. non è tornato per un periodo di vacanza nel suo paese d’origine.
Il 19 luglio del 2020 M.H ritorna in Italia, destinazione Malpensa, deciso a tornare a Perugia dai propri famigliari. Ma all’aeroporto trova una sorpresa ad attenderlo: un decreto di respingimento immediato alla frontiera, motivato dal «divieto di ingresso previsto dall’ordinanza del ministero della Salute per coloro che hanno soggiornato o sono transitati in alcuni Paesi», tra i quali vi erano la Repubblica Dominicana, appunto, senza eccezioni per i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.
Si legge nel ricorso tempestivamente presentato da una altra legale dell’Asgi, Anna Brambillla: «Il Ministero prima (nell’adozione dell’ordinanza) e l’Autorità amministrativa poi (nell’adozione del decreto di respingimento) non ha tenuto in alcuna considerazione la presenza sul territorio italiano dei familiari del ricorrente...la lesione del diritto all’unità familiare del ricorrente è stato - ed è tuttora - fortemente limitato senza che vi sia una ragione che possa legittimare tale limitazione».
Dunque appare perfino scontato osservare che l’uomo, al pari di un qualsiasi cittadino comunitario, poteva essere ammesso sul territorio dello stato italiano per poter ricongiungersi con la madre. Perché gli sarebbe bastato osservare un periodo di isolamento fiduciario.
La strategia del respingimento
In un report curato dal Progetto “In Limine, “le zone di transito aeroportuali come luoghi di privazione arbitraria della libertà e sospensione del diritto”, si legge: «I cittadini stranieri che, provenendo da un paese terzo, si presentano ai valichi di frontiera aeroportuali sono sottoposti ai controlli previsti dall’art. 8 del Codice Frontiere Schengen, i quali prevedono che a seguito di queste verifiche i cittadini stranieri possono essere destinatari di provvedimenti di respingimento immediato senza la convalida dell’autorità giudiziaria… il vettore è tenuto, a sue spese, a prendere immediatamente in carico la persona che deve essere respinta e a riportarla nel paese di provenienza».
I giuristi, anche rispetto alle storie fin qui raccontate, hanno spiegato: «Le persone respinte alle frontiere aeroportuali si trovano costrette ad attendere, nelle aree di sicurezza delle zone di transito, che la compagnia aerea con la quale sono arrivate in Italia le riconduca nel paese di provenienza. In alcuni casi questa attesa può durare diversi giorni».
In questo limbo temporale le persone sono trattenute arbitrariamente in condizioni gravemente inadeguate, all’interno di un condizione che appare di vera e propria detenzione, che avviene «in locali isolati dal mondo esterno, senza accesso all’aria aperta, con scarse possibilità di consultare un legale, in condizioni inadeguate e in aperta violazione del dettato costituzionale».
Il confine che si rafforza
È un confine, quello delle aree di transito negli aeroporti, che una precisa strategia politica vuole rafforzare ancor di più. Come dimostra l’annuncio recente dell’Agenzia Europea della Guardia di Frontiera e Costiera, Frontex: ha intenzione di dispiegare per la prima volta nell'aeroporto di Fiumicino una squadra di Forced Return Escort and Support Officers composta da 10 operatori dello Standing Corps e un coordinatore.
«La squadra offre supporto operativo al personale di Fiumicino, agendo sotto il coordinamento di quest'ultimo, nelle operazioni di transito e rimpatrio degli stranieri destinatari di misure di allontanamento adottate dall'Italia o da altri Stati membri», hanno riferito da Frontex.
Nel frattempo, secondo i dati forniti dalle Autorità di pubblica sicurezza, nel periodo dal primo gennaio del 2019 al 21 gennaio 2020, sono state respinte 2.993 dalla frontiera aerea di Milano Malpensa e 2.505 dalla frontiera aerea di Roma Fiumicino.
Dal 31 gennaio al 15 aprile dello scorso anno, dopo l’inizio dell’emergenza sanitaria, 270 persone sono state respinte da Milano Malpensa e 147 da Roma Fiumicino. Infine, dal 17 aprile al 15 dicembre 2020, 449 persone da Milano Malpensa e 526 da Roma Fiumicino. È il confine che si rafforza.
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