Gli eventi che hanno portato alla capitolazione del regime di Assad sono stati pianificati un anno primo. A rivelarlo al Guardian, nella sua prima intervista a un giornale occidentale, è Abu Hassan al-Hamwi, capo dell'ala militare di Hayat Tahrir al-Sham. Ma in realtà, l’operazione denominata “deterrente all’aggressione” affonda le sue radici in tempi ancora più remoti.

«Dopo l’ultima campagna (agosto 2019), durante la quale abbiamo perso un territorio significativo, tutte le fazioni rivoluzionarie si sono rese conto del pericolo critico: il problema fondamentale era l’assenza di una leadership unificata e di un controllo sulla battaglia», ha detto al-Hamwi.

«Abbiamo studiato a fondo il nemico, analizzando le sue tattiche, sia di giorno che di notte, e abbiamo utilizzato queste intuizioni per sviluppare le nostre forze», ha spiegato il capo militare ribelle, ricostruendo le tappe del cammino che ha portato alla fine del regime. «Avevamo la convinzione, supportata da precedenti storici, che Damasco non può cadere finché non cade Aleppo. La forza della rivoluzione siriana era concentrata nel nord, e credevamo che una volta liberata Aleppo, avremmo potuto muoverci verso sud, verso Damasco».

Ed è così che i jihadisti si sono fatti stato. Ed è con questi ex ribelli che Putin avrebbe aperto un canale di trattative nella speranza di mantenere il controllo delle basi militari siriane, secondo quanto riferisce la Tass, che fino a pochi giorni fa era garantito dal regime di Assad.

Israele

Intanto, secondo un'inchiesta di Channel 12, mentre era ricoverato in ospedale dopo l'impianto di un pacemaker nell'estate del 2023, il primo ministro Benjamin Netanyahu era stato avvertito dai vertici dell'Idf e dello Shin Bet che Israele appariva sempre più vulnerabile agli attacchi, con i nemici del paese che vedevano le profonde tensioni sociali - dovute alla spinta del governo verso una riforma giudiziaria - come un momento opportuno per colpire.

Intanto il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha chiesto al premier israeliano Benjamin Netanyahu di fermare gli attacchi alla Siria. La posizione è sostenuta anche dall'Egitto e dalla Cina di Xi Jinping che hanno chiesto a loro volta la pace e il «rispetto della sovranità» del paese. Ma Tel Aviv sembra ormai sorda a qualsiasi richiamo alla prudenza della comunità internazionale, anzi continua con i raid per colpire le postazioni missilistiche siriane senza le quali si aprirebbe una corsia preferenziale per i caccia israeliani nei cieli di Damasco in direzione della “testa del serpente”, l’Iran degli ayatollah. Distrutti gli alleati dell’Iran ora Tel Aviv pensa alla partita finale prima che Teheran si doti dell’arma atomica.

Abu Mazen a Roma

Venerdì 13 il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha incontrato a Roma il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. «Dopo l'orrore del 7 ottobre si è aperta una spirale inaccettabile di violenza su Gaza che ha colpito i civili, donne e bambini. Ci impegniamo per un reale e definitivo cessate il fuoco e per il rilascio degli ostaggi nelle mani di Hamas. Ci auguriamo che la soluzione due stati due popoli sia immediata. Senza questa prospettiva ci saranno sempre esplosioni di violenze», ha detto il nostro capo dello Stato alla massima autorità palestinese che ha chiesto all’Italia di riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina. «Una volta che sarà avviata la soluzione dei due Stati e due popoli - ha sottolineato il presidente palestinese - chiederò ai paesi arabi e mussulmani di riconoscere lo stato di Israele».

Durante l’incontro a Palazzo Chigi, invece, Giorgia Meloni ha «ribadito l’impegno dell’Italia a lavorare ad una soluzione politica duratura, basata sulla prospettiva dei due Stati, in cui Israele e Palestina co-esistano fianco a fianco in pace, con sicurezza per entrambi. Ha, inoltre, reiterato la volontà del governo di svolgere un ruolo di primo piano nella stabilizzazione e nella ricostruzione della Striscia e di sostenere il processo di riforma e rafforzamento delle Istituzioni palestinesi».

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