Il suino è passato dall’essere un animale da cortile, sinonimo di ricchezza e abbondanza, spesso protagonista nei racconti popolari, a simbolo dello sviluppo sfrenato del Dragone. Che non riesce più a farne a meno
I cani ci guardano dall’alto in basso, i gatti dal basso verso l’alto, mentre i maiali ci trattano da pari». Una delle massime attribuite a Winston Churchill sintetizza bene il rapporto che la Cina aveva con questo animale. Dotati di una grande intelligenza, i maiali selvatici si avvicinavano agli insediamenti umani incuriositi dal cibo in eccesso e da lì è nato un rapporto che ha portato al loro addomesticamento. Migliaia di anni fa veniva considerato alla stregua di uno da cortile, capace non solo di soddisfare l’apporto calorico ma anche utile per il suo letame.
Era simbolo di abbondanza, un pasto da mangiare solo nelle grandi occasioni, tanto che possederne uno era sinonimo di ricchezza e fertilità. Sebbene in alcuni contesti è stato utilizzato per indicare la mancanza di autocontrollo, il maiale era un simbolo positivo, raffigurato in diverse forme. Su di lui sono state narrate diverse leggende, come quella che lo ha consacrato a dodicesimo segno nello zodiaco cinese: non avrebbe dovuto esserci, perché nella gara indetta dall’Imperatore di Giada era arrivato ultimo essendosi a fermato a mangiare e riposare, ma venne premiato per aver rispettato la sua natura.
Con un salto temporale che ci porta nel nostro presente, potete dimenticare tutto questo. Nel corso dei secoli il maiale è diventato l’emblema dello sviluppo sfrenato del Dragone. L’industrializzazione e la conseguente urbanizzazione hanno comportato logici effetti sulla dieta dei cinesi.
Con più renminbi in tasca, è aumentato anche il loro ventaglio di scelta al banco del mercato: se prima trovare della carne in tavola era un evento raro, oggi in termini assoluti la si mangia più in Cina che negli Stati Uniti. Il consumo pro capite di un americano non nemmeno lontanamente comparabile, certo, ma con 1,4 miliardi di persone da sfamare la superpotenza asiatica è seconda al mondo per consumo di carne di bovina. L’aumento in termini di chili pro capite crescerà ancora entro la fine del decennio e quella suina ancor di più, con Pechino che trainerà il 70 per cento del suo consumo da qui al 2030. E questo può essere un problema.
Troppa voglia di maiale
In Cina vivono oltre 450 milioni di maiali, contro i 134 milioni di suini europei e i 74 milioni statunitensi. Ogni anno il paese asiatico ne mangia 700 milioni, ovvero la metà di quanto ne ingerisce complessivamente il resto del mondo. Numeri già di per sé impressionanti, ma la preoccupazione più grande riguarda dove sono tenuti e in che condizioni trascorrono le loro giornate. Lo spopolamento delle campagne, dovuto al desiderio dei suoi abitanti di trovare maggior fortuna nelle grandi città, ha provocato tra il 2007 e il 2020 un crollo del 75 per cento degli allevamenti con meno di cinquecento maiali. Complice anche la peste suina che nel 2018 ha sterminato il 40 per cento della popolazione suina, ma anche delle politiche adottate. L’anno dopo, «al fine di stabilizzare la produzione, promuovere la trasformazione e il miglioramento e aumentare la capacità di garantirne l’approvvigionamento», il Consiglio di Stato ha chiesto uno sforzo per far arrivare più finanziamenti all’industria su larga scala. Tutto per salvaguardare la produzione interna, sebbene i rischi si nascondano dietro l’angolo.
Le sempre meno piccole realtà fanno spazio a grattacieli fatiscenti, dentro cui vengono ammassati i maiali. Un esempio è quello costruito alle porte di Ezhou, città della provincia sud-orientale di Hubei: 26 piani, 24 dei quali destinati solo ai suini (ognuno per una specifica fase della sua vita), che vengono costantemente controllati dagli schermi di un centro di comando. Quando una struttura identica che stanno innalzando al suo fianco sarà operativa, potrà ospitare 1,2 milioni di capi. Altri se ne trovano nell’Henan, nel Guangdong, nel Guangxi, nello Shandong e nel Sichuan. Simili impianti possono essere racchiusi nella parola Cafo, Confined animal feeding operations, pensati nel secondo dopoguerra negli Stati Uniti per incrementare la loro produzione di carne. Ingozzati in modo innaturale, i maiali riescono a raggiungere il peso di macellazione in soli sei mesi.
Vittima sacrificale
D’altronde, l’ordine che arriva dal governo cinese è “stabilità”. Il tasso di autosufficienza deve essere del 95 per cento e la produzione annua di carne suina deve attestarsi sui 55 milioni di tonnellate all’anno, così che possano mangiare più persone, i prezzi si normalizzano e aumentano le riserve strategiche di maiali, un salvagente nei momenti di magra. Tuttavia far vivere gli animali in spazi ristretti, uno appiccicato all’altro, non può che aumentare la diffusione di epidemie. Proprio come accade periodicamente in Cina.
La scorsa primavera è scoppiata una nuova ondata di peste suina, con un impatto minore rispetto a quella del 2018 ma comunque significativo. A novembre, le autorità di Hong Kong hanno deciso per l’abbattimento di 1.900 capi dopo che in un allevamento a Yuen Long, al confine con la Cina, erano stati riscontrati dei casi. Stessa sorte era capitata qualche settimana prima ad altri 5.600 capi. L’esigenza dei Cafo è ad ogni modo facile da spiegare: per saziare tutti è necessario ingegnarsi, anche se questo vuol dire sacrificare le razze autoctone, ridotte ormai un 10 per cento scarso. La sicurezza alimentare è un tema strategico per il Partito Comunista, alla ricerca di una produzione agricola solida. «Se non terremo ferma la nostra ciotola di riso», avvertiva il presidente Xi Jinping in uno dei suoi discorsi, «cadremo sotto il controllo di altri». Con pochi terreni coltivabili a disposizione (9 per cento), Pechino si è per lungo tempo rivolta all’estero per il suo approvvigionamento, prima di capire l’importanza di camminare sulle sue gambe. Lo ha fatto sfruttando la tecnologia, aprendosi ai prodotti geneticamente modificati e, appunto, cambiando il modo di allevare i suoi animali, compreso il tanto amato maiale.
Questo animale è pertanto da sempre presente nella storia cinese. Ha attraversato i millenni e si è trasformato in modo simbiotico con la società. Il suo utilizzo non è esclusivamente di tipo alimentare. Ad esempio, per finanziare la ricerca del microbioma e di nuovi farmaci, avendo una fisiologia simile a quella umana, nel 2015 era stato geneticamente costruito un maialino nano per uso domestico, al prezzo di 1.600 dollari. Insomma, dalle campagne alle città, dai piccoli allevamenti rurali ai grattacieli urbani fino ai laboratori: niente spiega lo l’evoluzione della Cina come il maiale.
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