Arriva il decreto e il governo obbliga le donne a ripresentare la domanda per accedere al reddito di libertà, ma la vita delle donne non può attendere. Antonella Veltri, presidente D.i.Re: «Importante sottolineare che questi fondi sono attesi da quasi un anno dalle donne che ne hanno fatto richiesta»
Dopo quasi un anno di attesa e continui solleciti, è arrivato il decreto che ripartisce in tre anni i 30 milioni di stanziamento per il reddito di libertà. Il “Fondo per il reddito di libertà per le donne vittime di violenza” è stato rifinanziato dall’ultima legge di bilancio con una dote di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026 – per un totale di dieci milioni l’anno – passando da 400 euro a 500 al mese per i primi tre anni.
«Pur sembrando una buona notizia» dichiara Antonella Veltri, presidente D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza, «crediamo sia importante sottolineare che questi fondi sono attesi da quasi un anno dalle donne che ne hanno fatto richiesta». In molti casi, infatti, questo ritardo «ha pregiudicato i percorsi di libertà delle donne, che hanno dovuto rivedere i loro progetti di vita. Quello che non sembra chiaro al Governo è che le vite delle donne non possono aspettare».
Ma oltre alla lunga attesa non giustificata, questo provvedimento presenta un’ulteriore criticità: «Le donne che avevano già presentato domanda dovranno ripetere la procedura, con evidenti e immaginabili difficoltà e pesantezze. Non è questo il sostegno ai percorsi di libertà che auspichiamo per le donne accolte dai centri antiviolenza». Mariangela Zanni, consigliera D.i.Re, spiega a Domani: «Per noi è una cosa che ha impattato molto sulle vite delle donne, perché in questo anno migliaia di donne non hanno potuto accedere a questa misura. Intanto le loro vite sono andate avanti e si sono viste negare, di fatto, un diritto che avrebbero dovuto avere».
I ritardi della pubblica amministrazione «nell’erogazione di altri fondi che riguardano il tema della violenza, hanno un impatto negativo sulle donne». Dall’annuncio del decreto, si pensava che le domande relative al 2024 venissero recuperate, ma così non sarà, come spiega Zanni: «Alcuni centri avevano continuato a presentare le domande, perché c’era questa indicazione da parte di alcuni servizi Inps. Ma in realtà, con questo nuovo decreto, bisognerà ripresentarle. Quelle che lo avevano già fatto avranno la prelazione, però bisognerà rifare la richiesta entro 45 giorni dalla pubblicazione del decreto stesso».
Un tempo che per Zanni è assai breve: «Le donne devono recarsi al centro antiviolenza per fare la richiesta, che deve poi passare ai comuni dove non tutti hanno la stessa celerità nell’inoltrarla all’Inps». Il processo, infatti, richiede un’attenzione e una velocità dal punto di vista burocratico molto importante. E non tutte le amministrazioni sono così spedite in questo tipo di processi, a fronte di un alto numero di istanze.
Zanni, inoltre, afferma: «È una misura che va “a sportello”, chi prima arriva prima ottiene il reddito. Si rischia ancora una volta di vederselo negato per esaurimento fondi. Una situazione che intacca il senso di fiducia delle donne nei confronti delle istituzioni». Zanni ricorda anche che una gran parte di richieste fatte negli scorsi anni, non è stata accolta: «Le donne ci speravano, e tutto questo non è assolutamente un buon segno».
Nessun sostegno
Nel 2024, nessuna donna ha potuto accedere al reddito di libertà, spiega Zanni: «Le domande scadono alla fine di ogni anno solare, quindi entro il 31 dicembre 2023 si sarebbero potute presentare. Ma al 31 dicembre non c’erano più fondi, si esauriscono sempre molto velocemente. Abbiamo fatto un calcolo: con il nuovo criterio dei 500 euro al mese per 12 mesi, ne avranno diritto solo 1.660 donne in tutta Italia».
Ogni regione, poi, avrà la quota suddivisa, perché «il fondo viene ripartito alle regioni sulla base della popolazione femminile di età compresa tra i 18 e i 67 anni. Alcune grandi regioni, come ad esempio Lombardia e Campania, avranno un maggior numero di donne che potranno accedere al reddito». Mentre, invece, le regioni più piccole, ne avranno un numero minore.
Nel 2023, dunque, alcune donne erano riuscite ad accedere al reddito di libertà con i 400 euro al mese stanziati per 12 mesi, mentre nel 2024 sono rimaste completamente prive di sostegni da parte dello stato, come spiega Zanni: «Questi fondi non c’erano ancora materialmente. C’erano indicazioni discordanti: alcune istituzioni dicevano di continuare a inviare le domande, altri dicevano di aspettare, ma anche se si inoltrava il reddito veniva rifiutato, per l’assenza di fondi».
Il ritardo, conclude Zanni, «riguarda l’erogazione stessa del reddito di libertà. In realtà erano già state stanziate le risorse, le stavamo aspettando da un anno». Le donne seguite dai centri antiviolenza, dunque, hanno atteso dodici mesi per dover ricominciare daccapo iniziare tutte le procedure, senza essere certe che vadano a buon fine. Con buona pace degli annunci del governo contro la violenza maschile sulle donne, buoni solo per i proclami elettorali.
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