Nella bozza del decreto legge Aiuti bis, spunta la nuova figura scolastica del “docente esperto”, che in base a criteri stringenti dovrebbe guadagnare 400 euro al mese in più rispetto ai colleghi. I sindacati e l’ordine dei presidi però sottolineano la portata ridotta della misura e il mancato dialogo nel risolvere altre priorità del mondo della scuola
Novità per il mondo della scuola. Nella bozza del decreto legge Aiuti bis, uno degli ultimi provvedimenti previsti del governo Draghi, è stata inserita una norma che introdurrà la nuova figura del “docente esperto” a partire dall’anno scolastico 2023/24. Per chi riuscisse a conseguire il titolo è previsto un compenso di 400 euro in più al mese.
“Il docente esperto”
Nella bozza di decreto è scritto che per “docente esperto” si intende «I docenti di ruolo che abbiano conseguito una valutazione positiva nel superamento di tre percorsi formativi consecutivi e non sovrapponibili». Chi avrà superato i tre percorsi avrà «il diritto ad un assegno annuale ad personam di importo pari a 5.650 euro che si somma al trattamento stipendiale in godimento». Dunque, 400 euro in più al mese.
Si calcola che per superare i tre percorsi formativi siano necessari almeno nove anni di insegnamento e chi avrà superato le prove dovrà comunque «rimanere nella istituzione scolastica per almeno il triennio successivo al conseguimento di suddetta qualifica».
Il decreto prevede inoltre che i professori esperti non possano essere più di 8mila in Italia, circa uno per istituto. Si selezionerà tra i professori di ruolo e chi avrà il titolo non cambierà mansioni.
Forti critiche dal mondo della scuola e sindacati
Dura la posizione dei sindacati contro il provvedimento. Sottolineano che la priorità doveva essere il rinnovo del contratto nazionale piuttosto che un bonus per una piccolissima platea. Nella nota dei segretari generali dei sindacati Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Gilda Unams e Snals Confsal si legge: «Il governo trova nuove risorse per finanziare la figura del docente esperto, un meccanismo selettivo dei prof che riguarderà solo 8mila lavoratori all'anno».
«Si trovano i soldi per tutto tranne che per il rinnovo del contratto nazionale. È un fatto acclarato che le retribuzioni medie dei docenti italiani sono troppo basse, sia rispetto a quelle dei colleghi europei, sia rispetto a quelle degli altri lavoratori del pubblico impiego a parità di titolo di studio. È intollerabile dunque che su questo tema la politica continui a far finta di niente. La responsabilità, se non c’è il rinnovo, è di tutte le forze politiche, nessuna esclusa».
Anche l’associazione dei presidi, Api, si è detta preoccupata. Il presidente nazionale Giannelli ha dichiarato come siano necessari veri investimenti per impattare in maniera positiva su un mondo della scuola sempre più abbandonato. «Le risorse destinate al sistema scolastico diminuiscono nell'indifferenza di tutti. La scuola, invece, deve essere la priorità perché ne va del nostro futuro».
«Lo diciamo da tempo e lo ripetiamo oggi: è necessario pensare una scuola nuova con modelli metodologici e valutativi rivisti in profondità e con una reale personalizzazione dei percorsi. Serve un cambio di passo per garantire pari opportunità e successo formativo a ogni studente. Solo così potremo pensare di dare risposte ai bisogni formativi dei ragazzi che affollano le nostre scuole, preparandoli alle esigenze del mondo, del lavoro e delle università» ha dichiarato.
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