«Come Viareggio». L’incidente avvenuto lunedì mattina al deposito Eni di Calenzano riporta la mente alla strage del 2009, quando un treno merci con 14 vagoni carichi di gpl deragliò provocando un’esplosione incendiaria che uccise 32 persone e ne ferì diverse decine.

Fatti per cui sono stati considerati responsabili in sede processuale anche i vertici del gruppo Ferrovie dello Stato, a partire dall’allora numero uno Mauro Moretti. Ed è per questo che a tre giorni dal disastro i vertici del gruppo petrolifero di Stato sono chiamati a gestire il rischio di un possibile coinvolgimento nell’inchiesta penale aperta dalla procura di Prato guidata da Luca Tescaroli.

«Ipotesi premature»

Martedì, Eni ha pubblicato un comunicato in cui, oltre a sottolineare la volontà di «collaborare strettamente con l’autorità giudiziaria», ha anche spiegato che «è assolutamente prematuro ipotizzare la natura» delle cause dell’incidente.

Per capire cosa succederà dopo Calenzano bisogna però aspettare che venga chiarita la dinamica dell’incidente. Per ora si sa che il mattino di lunedì 9 dicembre un’autobotte è scoppiata all’interno del deposito Eni di Calenzano. Sono morte cinque persone e 26 sono rimaste ferite, tre in modo molto grave. Le vittime sono Vincenzo Martinelli, Gerardo Pepe, Franco Cirelli, Davide Baronti e Carmelo Corso: tutti camionisti che con le loro autobotti si trovavano nel deposito per fare rifornimento.

I carabinieri, su ordine della procura, hanno eseguito perquisizioni nel deposito di Calenzano oltre che nella sede della Sergen, la ditta lucana che stava svolgendo lavori di manutenzione nell’impianto Eni e per la quale lavoravano due delle vittime, Pepe e Cirelli.

Secondo diverse testate, i reati ipotizzati al momento sono quelli di disastro colposo, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. La procura toscana ha anche nominato due consulenti esperti in esplosivo, Roberto Vassale e Renzo Cabrino, che hanno già lavorato con Tescaroli quando quest’ultimo era pm a Caltanissetta e indagava sulla strage di Capaci.

«Tutti questi dati indicano che le indagini sono orientate in una direzione, quella della violazione delle normative sulla sicurezza, proprio come per la strage di Viareggio», dice Massimiliano Gabrielli, avvocato dei parenti delle vittime di quella strage oltre che di quelle di diversi altri disastri italiani (tra cui il naufragio della Costa Concordia, l’incendio del Norman Atlantic e la valanga di Rigopiano) che vede molte similitudini tra il caso di Viareggio e quello di cui si parla in questi giorni.

Similitudini

«Sebbene ancora al vaglio delle autorità», dice il legale a Domani, «la dinamica dell’incidente suggerisce l’ennesima dimostrazione di come il mancato rispetto delle norme di sicurezza possa avere conseguenze devastanti. Similmente al caso di Calenzano, la strage di Viareggio rappresenta un tragico esempio delle conseguenze di una gestione inadeguata dei rischi industriali e di trasporto e gestione di materiali e merce pericolosa. Entrambi gli episodi dimostrano come l’assenza di adeguati protocolli di sicurezza, il rispetto dei tempi di consegna e del risultato a tutti i costi possa mettere in pericolo non solo i lavoratori, ma anche intere comunità. E tutti questi soggetti hanno legittimazione a partecipare al fascicolo penale oltre che ad essere risarciti per i gravi danni subiti, sulle proprietà ed alle persone».

Colpevoli a Viareggio

Spiega l’avvocato Gabrielli: «Per portare a un’eventuale condanna di Eni e dei suoi manager apicali, come avvenuto con Moretti e altri dirigenti del gruppo Ferrovie dello Stato per Viareggio, dovrebbe emergere una violazione delle norme sulla prevenzione degli incidenti, legata a una politica aziendale volta a massimizzare i profitti risparmiando sulla sicurezza, sulla manutenzione e sulla formazione del personale. È proprio quello che è emerso nei processi per la strage di Viareggio: è stato dimostrato che l’incidente non è avvenuto per un’avaria o per la mancata manutenzione di uno specifico carro-merci, ma per via di una politica industriale votata al risparmio, che dedicava quasi tutte le risorse allo sviluppo dell’Alta Velocità a discapito del trasporto su rotaia di materiali pericolosi come il gpl. Per raggiungere gli stessi risultati in questo caso, dovrebbe emergere che quanto accaduto è legato a una politica aziendale dettata dal consiglio d’amministrazione di Eni, non solo alla gestione materiale del deposito di Calenzano».

Le condanne

Si vedrà quali saranno i risultati cui giungerà la procura di Prato. Di certo la strage di Viareggio è uno dei pochi casi italiani di morti su lavoro in cui le responsabilità penali sono state attribuite ai vertici aziendali del gruppo Fs.

Moretti, all’epoca dei fatti amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana e di Fs, è stato condannato in appello a cinque anni per disastro ferroviario, incendio e lesioni mentre (caduta in prescrizione, invece, l’accusa di omicidio colposo).

Nel gennaio scorso la Cassazione ha confermato la condanna, rinviando però alla corte d’appello di Firenze il ricalcolo della pena in base alle attenuanti generiche. Se verrà stabilita una pena inferiore ai quattro anni, è molto probabile che Moretti eviterà di andare in carcere.

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