Nelle pagine che seguono, si dà una esposizione sintetica del diritto dell’amministrazione (come funzione di governo) e delle strutture organizzative (le pubbliche Amministrazioni nelle loro varie forme) che a quella funzione sono deputate. Detto sistema normativo si compone di principi generali, anche di rango costituzionale, di norme legislative e regolamentari, di principi di elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, che vanno tutti a costituire il complesso della nostra esperienza positiva.

Emergono, qua e là, rilievi critici, come nascosti dietro il pesante tendaggio del sistema normativo. Ma invero, siamo tutti consapevoli che la “questione amministrativa” investe il nostro Paese (più incisivamente che altri Paesi dell’area). Nella sensibilità dell’opinione pubblica e dei comuni cittadini, nelle valutazioni degli operatori economici, nella “sfida” europea e internazionale, il funzionamento complessivo dell’amministrazione come funzione di governo appare per molteplici aspetti carente, a fronte del fondamentale ruolo che ad essa è affidato al servizio della collettività.

Amministrazione e covid

Altre “questioni” investono il nostro sistema di governo (si pensi solo alla “questione giustizia”), ma la questione amministrativa ha acquistato una centralità, anche nell’agenda del Governo, prima inusitata, che si è venuta accentuando nell’ultimo periodo, drammaticamente connotato dall’emergenza sanitaria. E’ divenuta un problema politico, nella ricerca di possibili soluzioni. Alcuni degli ultimi provvedimenti (troppi, e appesantiti da troppe norme) adottati a seguito dell’emergenza sanitaria (part., il c.d. decreto semplificazioni, d.l. 16.7.2020 n. 76, conv. l. 11.9.2020 n.120) sono tentativi (spesso incerti e limitati) di affrontare quel problema, di “attaccare” la questione amministrativa.

Il “diritto ad una buona amministrazione” proclamato dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE (18.12.2000; art. 6, Tratt. UE) garantisce a tutti i cittadini europei, nei loro rapporti con le istituzioni, che le loro questioni siano trattate in modo equo e imparziale, che siano risolte entro termini ragionevoli, che essi vengano ascoltati prima dell’adozione di decisioni nei loro confronti, che possano accedere agli atti in possesso dell’Amministrazione, che li riguardano, etc.; al fine di produrre buone decisioni amministrative, cioè dotate dei caratteri individuati dalla norma e adottate con le garanzie dalla stessa prescritte.

Nella nostra Costituzione, questi principi sono riassunti nel principio di “imparzialità” (art. 97), al quale tutti essi sono rapportati nell’elaborazione del sistema (come si mostra nel testo).

Ma nella prassi applicativa, nel concreto dell’esperienza, emergono una serie di disfunzioni che spesso vanificano l’impatto di quei principi sui diritti e sugli interessi dei cittadini, delle imprese, delle formazioni sociali. Il termine “ragionevole” per la conclusione del procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso, pur fissato dalle diverse leggi, troppo spesso non viene rispettato; il diritto ad essere “ascoltati” spesso si riduce a inutile scambio di carte, piuttosto che concretizzarsi in un dialogo costruttivo, tra interlocutori disponibili e responsabili; gli uffici sono difficilmente accessibili alla gente comune; e così via. Il rapporto con i cittadini è ancora dominato da un diffuso formalismo.

Le leggi che disciplinano i diversi procedimenti prevedono adempimenti, a carico rispettivamente dei cittadini e dei pubblici uffici, che potrebbero essere evitati, le Amministrazioni coinvolte nei procedimenti complessi (impianti industriali, grandi infrastrutture, etc.) sono molteplici, spesso in contrasto tra loro, ciò che fa allungare i tempi delle decisioni e dà luogo a situazioni di stallo.

L’abnorme diffusione di contenzioso

In molti casi, il cittadino, per ottenere una decisione (cui pure avrebbe “diritto” secondo le norme in vigore), deve rivolgersi al giudice, con enorme aggravio di tempi e di costi. L’abnorme diffusione del contenzioso con le pubbliche Amministrazioni, è uno degli aspetti più evidenti della “questione amministrativa”. Un’amministrazione contenziosa è per definizione una cattiva amministrazione.

Ma il diritto ad una buona amministrazione non si esaurisce nel diritto ad una buona decisione amministrativa (nei confronti del singolo che la chiede o che la subisce), secondo i principi proclamati in sede europea e declinati da noi intorno al principio di imparzialità.

Buona amministrazione è quella che produce risultati utili per la collettività, ne soddisfa i bisogni, ne promuove lo sviluppo; senza trascurare, ovviamente, i legittimi interessi dei singoli. E la nostra Costituzione, accanto al principio di “imparzialità” pone il principio di “buon andamento”, che si identifica nella buona amministrazione come servizio alla collettività, come cura of the interests of the community at large (Recommendation del Consiglio d’Europa, 2007). Questo fondamentale profilo viene in genere trascurato dalla dottrina, anche per la carenza, nel sistema positivo, di adeguati strumenti che consentano la “misurazione” della buona o cattiva amministrazione, in termini di risultati prodotti.

Il sistema del diritto amministrativo, costruito nei circa 150 anni di storia della relativa scienza, è prevalentemente inteso alla tutela delle situazioni individuali, configurate sul piano sostanziale come situazioni protette nei confronti dell’esercizio del potere, e munite, sul piano processuale, di adeguate azioni a difesa, piuttosto che come un sistema inteso a curare, producendo adeguati risultati, e puntualmente verificabili, gli interessi della collettività at large.

Si tratta ancora di una conseguenza del formalismo: l’azione amministrativa come quella da valutare sotto la lente della legittimità (è conforme alle norme? ha violato o no situazioni protette?) piuttosto che sotto la lente della bontà dei risultati; diciamo pure del buon andamento. Un’azione formalmente legittima può aver prodotto cattivi risultati.

Si riscontra spesso, nel concreto funzionamento degli uffici, una diffusa deresponsabilizzazione degli agenti, che si chiudono nella formale applicazione delle norme, evitando sempre (o rinviando!), laddove possibile, l’assunzione di scelte e quindi di responsabilità.

Su questo punto, presenta importanti rilievi nel funzionamento complessivo del sistema, la presenza di istituti come l’azione penale per il generico reato di abuso d’ufficio (cod. pen., art. 323) e l’azione di responsabilità per danni erariali (art.1, l. 14.1.1994 n. 20) di competenza delle Procure della Corte dei conti, che colpiscono il pubblico agente per violazioni spesso opinabili o per diversa valutazione dei fini perseguiti attraverso le decisioni adottate (sempre discutibili nel merito, ma nel rispetto della discrezionalità delle scelte). Anziché spingere il pubblico funzionario ad operare, ad agire, facendo fronte con azioni concrete agli interessi della collettività, spesso lo si spinge piuttosto all’inazione laddove le norme lasciano aperti spazi di  discrezionalità, che implicano assunzione di responsabilità.

Le liberalizzazioni

E ancora, troppe attività private che potrebbero essere del tutto “liberalizzate”, sono soggette ad autorizzazioni, nulla osta, etc., cioè a regime amministrativo, senza che esse abbiano un rilevante impatto su preminenti interessi pubblici. Anche questo dato vìola il principio di buona amministrazione, laddove comporta, sul versante degli uffici, un aggravio di inutile lavoro, sottraendo risorse ad attività più necessarie; e sul versante dei cittadini, una compressione superflua del loro ambito di libertà e il carico di tutti gli adempimenti necessari per ottenere (a pena di sanzioni) le autorizzazioni, i nulla osta, etc., previsti dalle diverse leggi.

La scienza del diritto amministrativo, nella sua grande opera costruttiva dei rapporti con le pubbliche Amministrazioni, come rapporti giuridici, e dei relativi strumenti di tutela giurisdizionale (tra i più efficaci nel panorama europeo), ha trascurato l’analisi delle disfunzioni e la messa a punto dei necessari rilievi; sul versante procedimentale (buona decisione amministrativa), da cui il costante ricorso al giudice per ottenere quel che avrebbe dovuto essere ottenuto sul piano sostanziale; sul piano della scarsa capacità dell’azione amministrativa, in molteplici sue manifestazioni, a curare gli interessi della collettività con efficacia di risultati (buona amministrazione, buon andamento).

I rimedi sono di varia specie. E soltanto alcuni attengono alla funzionalità del sistema normativo (e perciò, alla responsabilità del giurista). La semplificazione normativa dei procedimenti, nell’eccessivo carico di adempimenti per tutte le parti, e segnatamente per il cittadino, nel coinvolgimento di una pluralità spesso esagerata di pubbliche Amministrazioni, portatrici di interessi spesso confliggenti; la soppressione di procedimenti “autorizzativi” superflui, l’individuazione delle attività private da “liberalizzare” effettivamente, non attraverso ambigui rimedi che conservano in capo all’Amministrazione poteri di intervento (“silenzio”, “SCIA”)

I timidi tentativi via via affacciati dal legislatore (da ult., con il cit. decreto semplificazioni) non hanno prodotto significativi impatti (percepibili dal comune cittadino). I giuristi devono farsi carico di elaborare adeguate proposte, hanno il dovere di trasformarsi in giuristi politici, di assumere come proprio principale scopo, segnatamente in questo momento, di collaborare al funzionamento del sistema nel suo complesso.

Le riforme necessarie

Occorre la riforma di istituti, pur consolidati, che si rivelano come ostacoli o freni al corretto funzionamento del sistema, dalla disciplina dell’invalidità degli atti amministrativi, eccessivamente pervasiva, che dà peso determinante a violazioni anche marginali, alla disciplina delle responsabilità amministrative e penali che limitano la responsabilizzazione dei funzionari, all’assenza di adeguati strumenti di risoluzione delle controversie (componimenti bonari) alternativi alla giurisdizione, facilmente accessibili e non costosi. E così via. Tutto ciò necessita di un diverso approccio della dottrina al “fenomeno amministrativo” e dell’impegno organico del legislatore a prendere di petto la “questione amministrativa”.

Altri rimedi attengono solo marginalmente all’assetto del sistema normativo e perciò alla responsabilità del giurista. Si tratta dell’educazione e della preparazione adeguata del personale (con l’esigenza di disporre di adeguate Scuole), da incentrare piuttosto su discipline aziendalistiche che su discipline giuridiche (come è oggi nella gran parte dei settori); di modalità di selezione fondate sull’accertamento delle capacità manageriali piuttosto che sul possesso di nozioni relative a singole discipline; di progressioni in carriera basate sul merito (adeguatamente valutato); della previsione di differenze stipendiali ancorate al merito; e così via.

Ma ancora, si tratta dell’introduzione di procedure contabili più snelle, utilizzando schemi di contabilità economica sul modello privatistico; di strumenti più flessibili di organizzazione degli uffici, superando il carattere dell’eccessiva rigidità propria delle organizzazioni pubbliche (uno dei fattori che ha spinto alla trasformazione di molte organizzazioni pubbliche in società per azioni, fenomeno questo che presenta a sua volta elementi di anomalia).

Per questi aspetti (e molti altri se ne potrebbero aggiungere) occorre (oltre, ovviamente, all’impegno politico) l’apporto di discipline non giuridiche (accomunate nella scienza dell’amministrazione, nelle sue componenti sociologiche, aziendalistiche, ragionieristiche, etc.) purtroppo trascurate nel nostro approccio, strettamente giuridico, al “fenomeno amministrativo”. Sempre più si avverte l’esigenza di un approccio multidisciplinare a detto fenomeno, abbattendo gli steccati che la nostra Scuola per lungo tempo ha eretto.

L’oggetto è unico, l’amministrazione come funzione di governo, e lo scopo è unico, quello di assicurare una buona amministrazione, cioè servizi efficienti per la collettività, nel rispetto dei “diritti” dei singoli. Perché la “questione amministrativa” possa essere avviata efficacemente a soluzione, occorre l’apporto di diverse discipline, e una rimodulazione della scienza del diritto amministrativo. Ma occorre, innanzitutto, una strategia politica consapevole e determinata.

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