Per Enrico Letta non c’è solo l’enigma Roma o il rompicapo Napoli. C’è anche Torino: sembra il dossier più complicato perché nel capoluogo piemontese il centrosinistra può facilmente perdere. La destra, infatti, ha trovato un ottimo candidato: l’imprenditore Paolo Damilano, che ha tutte le caratteristiche per battere sinistra e Cinque stelle, alleati o divisi che siano. Tanto che (rilevante per le altre comunali) Azione di Carlo Calenda avrebbe deciso di schierarsi a destra, trascinando con sé un’irresoluta Italia viva e i moderati di Giacomo Portas. Se ciò avverrà potrà produrre un bradisismo con impatto a livello nazionale.
Mentre ciò accade il centrosinistra è ancora in alto mare. Nel Pd la sconfitta di Fassino del 2016 brucia ancora, ma non evita le ostilità dentro una classe dirigente cittadina con ben 20 anni di buona amministrazione alle spalle, ma che cinque anni fa si è rivelata insufficiente a convincere l’elettorato. Forse ciò che manca è un tentativo di riavvicinarsi ai problemi reali della città che la giunta Appendino non ha saputo risolvere, come l’amplificarsi delle diseguaglianze, una mancata attenzione allo sviluppo sostenibile, la carente reazione emergenziale alla crisi sociale provocata dalla pandemia.
Mesi fa, la possibile candidatura del rettore del politecnico Guido Saracco avrebbe potuto mettere tutti d'accordo (da Leu alle componenti più centriste), ma la sua indisponibilità per motivi personali ha fatto da sponda ai tentativi del noto medico ultrasettantenne Salizzoni, che non hanno avuto successo perché appoggiato solo dalla sinistra radicale. Ne è scaturita una lotta intestina tra le varie anime Pd arroccate su veti incrociati che di fatto tengono la situazione in stallo con addirittura cinque autocandidature che andranno a scontrarsi probabilmente alle primarie.
Lo spauracchio di un possibile accordo già dal primo turno con i Cinque stelle, apparentemente caldeggiato da Roma, e una carente lettura dei processi politici in atto a livello nazionale, ha offerto tutte le giustificazioni del caso a Calenda per tagliare i ponti con il centrosinistra e rivolgersi al candidato Damilano. In realtà quest’ultimo corrisponde perfettamente al profilo di imprenditore tecnocrate e pragmatico che Azione predilige e che vorrebbe imporre al Pd anche altrove. Così, Azione è formalmente uscita dal patto di coalizione torinese (mentre a Roma ancora rimane). Per non farsi anticipare, Italia viva ha spedito la parlamentare torinese Silvia Fregolent a incontrare pubblicamente Paolo Damilano (l’ormai famoso caffè insieme): «ha un programma interessante...», ha commentato in seguito la deputata. D’altronde alle elezioni amministrative di Moncalieri nell'autunno scorso, i Moderati di Portas (il terzo soggetto coinvolto nell’operazione) avevano già sostenuto fin dall'inizio la destra, dopo anni di alleanza con il Pd.
Sono ora in atto difficili tentativi da parte dell’ex sindaco Castellani per far ritornare tutti all’ovile del centrosinistra. La reale aspirazione torinese delle tre formazioni politiche (Italia viva, Azione e moderati) sembrerebbe lo sganciamento da ogni coalizione per tentare di creare quel «terzo polo» liberale-riformista, che era già nei piani di +Europa ma che la sua implosione non permette più. Non si tratterebbe di un terzo polo centrista che segua la politica dei due forni, né di operazioni puntate solo alla rielezione dei loro leader (questo semmai è l’obiettivo di Portas). Nell’idea di Calenda si guarda oltre: si vorrebbe di spaccare l’attuale bipolarismo, ai suoi occhi fallimentare. Il primo passo è raggiungere e superare i Cinque stelle per renderli irrilevanti: di conseguenza, nessuna alleanza mai. In secondo luogo, sfidare il Pd sul terreno della governance, togliendogli il primato della serietà di governo a cui tanto tiene. In terzo luogo, aggregare tutti i liberal-riformisti, anche moderati. A tale processo una tappa a destra nella seriosa Torino sarebbe alquanto utile. Resta da vedere se Renzi asseconderà tale piano.
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