La scelta di molti media italiani di dare risalto in gran parte, se non esclusivamente, alle notizie apparentemente negative associate al vaccino AstraZeneca può avere effetti disastrosi sulla campagna di vaccinazione.
- Gli studi psicologici ed economici sui comportamenti umani hanno da tempo identificato numerose fallacie che possono spiegare l’apparente “irrazionalità” di queste ore.
- Perché mettiamo in dubbio o rifiutiamo un trattamento che, in base alle statistiche ufficiali delle sperimentazioni precedenti alla vaccinazione di massa, riduce drasticamente la probabilità di ammalarsi di Covid?
- Innanzitutto dipende dall’incapacità di saper distinguere tra correlazione e rapporto di causa-effetto.
La recente decisione dell’Aifa di sospendere la somministrazione delle fiale AstraZeneca ha stupito molti osservatori e sta alimentando una crescente diffidenza nella popolazione italiana a vaccinarsi. Nel frattempo, il numero di segnalazioni di morti sospette dovute a trombosi o altre complicanze legate al sistema cardiocircolatorio continua ad aumentare.
Il sospetto è cresciuto ancora di più ieri, in seguito alla sospensione delle vaccinazioni da parte dei principali paesi europei, capitanati da Germania e Francia.
Tuttavia, la narrazione mediatica di questo panico collettivo stride, e non poco, con le evidenze scientifiche che hanno portato all’approvazione da parte dell’Ema del vaccino anglo-svedese.
Il senso delle coincidenze
.Al momento, esperti indipendenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che stanno valutando il caso concludono che il numero di casi di trombosi riportati tra i vaccinati sia addirittura inferiore a quello osservato nella popolazione generale.
In altre parole, si tratta di coincidenze più che rapporti di causa-effetto, poiché questi eventi avversi sarebbero avvenuti comunque. Perché, dunque, la popolazione è spaventata?
Gli studi psicologici ed economici sui comportamenti umani hanno da tempo identificato numerose fallacie che possono spiegare questa apparente “irrazionalità” che si manifesta con il dubitare o addirittura rifiutare un trattamento che, in base alle statistiche ufficiali delle sperimentazioni precedenti alla vaccinazione di massa, riduce drasticamente la probabilità di ammalarsi di Covid.
Innanzitutto l’incapacità di saper distinguere tra correlazione e rapporto di causa-effetto.
Non sarebbe né il primo né, purtroppo, l’ultimo caso in cui due eventi che si susseguono nel tempo vengono scambiati l’uno per la conseguenza dell’altro (come, ad esempio, il noto caso dei disturbi dello spettro autistico come conseguenza delle vaccinazioni in età pediatrica).
Per stabilire una relazione di causa-effetto, invece, è necessaria la costruzione di uno specifico protocollo di analisi.
Durante la fase di test del vaccino, i volontari che partecipano alla sperimentazione vengono divisi in modo casuale e anonimo in due gruppi distinti, a seconda di caratteristiche individuali come fascia d’età o situazione clinica pregressa.
A un gruppo, cosiddetto dei “trattati”, viene somministrato il vero farmaco. L’altro, il gruppo “di controllo”, riceve invece un trattamento “placebo”, che ovviamente e volutamente non ha alcun effetto sull’individuo che lo riceve.
Soltanto se in seguito alla somministrazione del trattamento si osserva che nel gruppo dei trattati la probabilità di incorrere in una reazione avversa, come una trombosi, è sensibilmente più alta rispetto al gruppo di controllo, allora possiamo ragionevolmente concludere che il vaccino ha causato la reazione avversa. Ma, ovviamente, i dati pubblicati sulle sperimentazioni di AstraZeneca non riportano questa evidenza, altrimenti il vaccino non sarebbe mai stato approvato.
Anzi, sembrerebbe che anche chi ha ricevuto l’iniziezione placebo abbia riportato effetti avversi in seguito alla somministrazione, a conferma del fatto che reazioni avverse, più o meno moderate, sono statisticamente sempre presenti nella popolazione generale.
Un altro aspetto che potrebbe spiegare diffidenza dei cittadini nei confronti del preparato della Oxford University, sembrerebbe la diversa percezione individuale del rischio.
Amanti del rischio?
È stato ampiamente riconosciuto dalla letteratura accademica sperimentale, sia psicologica che economico-comportamentale, che gli individui tendono ad essere amanti del rischio quando la prospettiva di un evento è presentata con connotazioni positive (es. un’operazione che ha successo nel 90 per cento dei casi), ma sono avversi al rischio quando lo stesso evento è presentato con accezione negativa (per esempio la stessa operazione fallisce nel 10 per cento dei casi).
Si tratta del cosiddetto framing effect, che si manifesta nel comportamento asimmetrico a seconda del contesto con cui viene presentata una possibilità di scelta.
A sua volta, l’effetto è una manifestazione della più generale prospect theory, il cui sviluppo ha permesso a Daniel Kahneman di ricevere nel 2002 il premio Nobel. Secondo questa teoria, gli individui valutano le proprie scelte in condizioni di incertezza (es. di investimento, sanitarie, di assicurazione) con metodi “euristici”, cioè utilizzando valori di riferimento conosciuti piuttosto che sulla base del calcolo oggettivo della probabilità di un evento.
Nell’ambito di questa teoria, gli individui che oggi temono di vaccinarsi con AstraZeneca semplicemente danno molto più peso ai possibili eventi avversi ascrivibili alla vaccinazione rispetto a quelli, statisticamente molto più probabili, conseguibili in seguito all’infezione da SarsCov2 e al possibile sviluppo della malattia associata al virus.
Le responsabilità dei media
In questo contesto, le recenti scelte di molti media italiani di dare risalto (salience) in gran parte, se non esclusivamente, alle notizie apparentemente negative associate al vaccino AstraZeneca può avere effetti disastrosi in termini di adesione alla campagna di vaccinazione.
La libertà di informazione è un elemento fondante delle democrazie occidentali. Tuttavia, l’eccesso della disponibilità di informazioni può avere effetti avversi sulle capacità cognitive degli individui (c.d. cognitive overload), portandoli razionalmente a dedicare soltanto parte della propria limitata attenzione alle notizie più negative, proprio in virtù della propensione di essere più avversi al rischio in un contesto informativo negativo.
Sarebbe quindi auspicabile che la narrativa nei confronti delle recenti vicende riguardanti il vaccino AstraZeneca si focalizzasse anche sugli aspetti ampiamente positivi o fosse, quantomeno, più neutra.
Sebbene gran parte dei guadagni dell’industria dell’informazione derivi soprattutto dalla quantità di attenzione dedicata dagli individui alle notizie, scatenata e indirizzata soprattutto dalle loro reazioni emotive, in questo momento storico abbiamo tutti bisogno di calma, accuratezza, e fiducia nelle istituzioni, per sperare di tornare a vivere il prima possibile.
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