- Conte ha informato il Parlamento circa il prossimo Dpcm, che arriverà prima dei 14 giorni necessari per vedere gli impatti di quello precedente. Ma se non si sa quali sono stati gli effetti delle restrizioni già adottate, non ci sono le basi per capire se e quanto ne servano di più severe.
- Al ministro della Salute spetterà inserire ogni Regione in una certa area di rischio, con conseguente applicazione automatica delle relative misure. Ma l’inserimento avverrà su dati “oggettivi”, quindi alla fine la responsabilità sarà solo della scienza.
- Alcuni passaggi del discorso di Conte lasciano perplessi. E, ancora una volta, manca qualunque cenno agli errori commessi, arrivando impreparati alla seconda ondata.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha informato il parlamento circa il prossimo Dpcm, che arriverà, immancabile. In realtà, si sarebbero dovute attendere almeno due settimane per apprezzare gli impatti del Dpcm precedente, come chiarito anche dal Comitato tecnico scientifico. Ma pure questa volta Conte è voluto intervenire prima, «per mettere in salvezza la nazione».
Il presidente del Consiglio ha riconosciuto che il nuovo provvedimento non tiene conto degli effetti del Dpcm precedente, cioè l’«impatto sulla curva di crescita». Ciò significa che si procede alla cieca: se non si sa quali sono stati gli effetti delle restrizioni già adottate, non ci sono le basi per capire se e quanto servano restrizioni ancora più severe.
Di conseguenza, non si può valutare se le nuove misure risultino proporzionate rispetto alla gravità della situazione, nonostante Conte continui ad affermare che lo sono: senza evidenze misurabili, che permettano di verificare adeguatezza e necessarietà di un provvedimento a confronto di quello precedente, qualunque vaglio di proporzionalità circa quello nuovo è privo di fondamento.
Forse Conte intendeva dire che il virus galoppa, e non ci sono alternative a maggiori restrizioni. Ma questa non è l’evidenza che serve a un’effettiva valutazione.
Il Presidente del Consiglio ha spiegato che «il prossimo Dpcsm individuerà tre aree, corrispondenti ad altrettanti scenari di rischio, per ciascuno dei quali sono previste misure via via più restrittive»: l’inserimento di una regione nell’una o nell’altra area avverrà in base a «21 differenti parametri» di rischiosità (numero di casi sintomatici notificati per mese; percentuale di tamponi positivi ecc.).
Tale inserimento - ha precisato Conte - «con la conseguente, automatica applicazione delle misure previste per quella specifica fascia, avverrà con ordinanza del ministro della Salute e dipenderà esclusivamente e oggettivamente dal coefficiente di rischio raggiunto dalla Regione».
Riguardo a questo passaggio, va premesso che, in un primo momento, si era ipotizzato che ogni decisione dovesse spettare ai Presidenti di regione: essi sono già titolari di poteri in tema di salute pubblica (legge 833/1978). Ma pare vi sia stato un deciso dissenso da parte di questi ultimi, e ciò è paradossale: mentre nei mesi scorsi essi si erano distinti per iniziative spesso non in linea con i provvedimenti del governo, nel momento in cui il governo ha rimesso loro facoltà di decisione se ne sono lamentati.
È più facile essere protagonisti agendo in contrasto con il governo che autori di scelte impopolari.
Va notato anche che Conte ha finalmente dato al ministro della Salute Roberto Speranza il ruolo rilevante che egli avrebbe dovuto avere sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, potendo emanare ordinanze a tutela della salute pubblica, che sarebbero state probabilmente più appropriate dei Dpcm di Conte.
Dunque, la responsabilità dell’inclusione in un’area a rischio non sarà del presidente del Consiglio o dei presidenti di regione, ma del ministro della Salute. Di fatto, si tratterà una responsabilità solo formale, considerato che la collocazione in una certa area scatterà “oggettivamente” – matematicamente, si potrebbe dire - sia pure con apposito provvedimento, al raggiungimento delle soglie previste. Insomma, alla fine la responsabilità sarà solo della scienza.
A cosa serve il parlamento
Nel discorso alle Camere ci sono poi alcuni altri passaggi alquanto singolari. Conte ha evidenziato che «l’interlocuzione con il Parlamento e il pieno coinvolgimento e di tutte le forze politiche» sono «fondamentali».
Molti si erano lamentati del fatto che, nei mesi scorsi, egli non si fosse confrontato con soggetti rilevanti. Oggi, quando la situazione pare precipitare, Conte scopre l’importanza della «interlocuzione»: forte è il sospetto che oggi voglia condividere il calo di gradimento a seguito di decisioni impopolari.
Il vertice dell’esecutivo ha pure precisato che «l’aumento dei contagi è anche il risultato di una accresciuta capacità di screening» rispetto ai mesi scorsi.
Questa affermazione lascia perplessi, e di certo è stata espressa male: più tamponi di certo non accrescono i contagi.
Il presidente del Consiglio ha vantato l'efficace azione del governo, nonché magnificato l'opera che il commissario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri, sta svolgendo. Quindi se siamo in piena seconda ondata, con una impreparazione palese, è colpa del destino cinico e baro?
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