In Romania stiamo assistendo a uno scontro tra le forze atlantiste che ribadiscono la necessità di contrastare il «pericolo russo in Europa» e le forze sovraniste. Dinamiche di politica interna si intrecciano con questioni di politica estera, e il rischio è che ne escano rinvigoriti nazionalismi e questioni geopolitiche irrisolte da tempo
Il ciclo elettorale di queste settimane in Romania ha determinato un vero terremoto politico. Le elezioni parlamentari dello scorso 1° dicembre hanno consentito all’insieme dei partiti di matrice sovranista di ottenere una rappresentanza parlamentare di quasi il 30 per cento, grazie al superamento della soglia di sbarramento del 5 per cento di due formazioni di ultradestra: il partito Sos Romania, guidato dalla filorussa Diana Sosoaca, attestato al 7,3 per cento e la nuova formazione giovanile Pot con il 6,4 per cento.
Nonostante questo clamoroso risultato elettorale, il Partito socialdemocratico (Psd) che, negli ultimi 35 anni con poche eccezioni ha guidato il paese, potrebbe, con il 23 per cento dei voti, formare un governo di unità nazionale con altri tre partiti – Unione democratica degli ungheresi di Romania (UdmR), Unione “Salvate la Romania”, Partito nazional liberale (Pnl) – confermando la natura atlantista ed europeista del governo.
Tuttavia, l’emiciclo parlamentare è alquanto frammentato con una netta divisione tra forze sovraniste filorusse e partiti europeisti che non faciliterà la formazione di un governo stabile e una dialettica costruttiva e priva di conflittualità.
Le presidenziali
A fomentare ancor di più questa frattura politica, posto che spetta al presidente della Romania nominare il capo del governo, vi è stato l’esito del primo turno delle elezioni presidenziali dello scorso 24 novembre con l’affermazione a sorpresa di due candidati: Elena Lasconi, presidente dell’unione “Salvate la Romania”, e l’indipendente filorusso, Călin Georgescu, sostenuto da tutti partiti sovranisti.
La campagna elettorale si è contraddistinta per una serie di accuse che i partiti atlantisti hanno rivolto a Georgescu relative all’ingerenza della disinformazione russa attraverso i social media, con particolare riferimento alla piattaforma TikTok.
La candidata Lasconi ha dichiarato: «Uniti possiamo fare miracoli. Se siamo uniti, i bot russi su TikTok non potranno distruggere la nostra democrazia». Aggiungendo che «non abbiamo dimenticato i loro carri armati quando hanno occupato il nostro paese e non abbiamo dimenticato quanta sofferenza hanno portato».
Anche la Commissione europea ha rilasciato un comunicato nel quale esprime una forte preoccupazione «per i crescenti indizi di un'operazione coordinata di influenza online straniera che ha come obiettivo le elezioni rumene in corso, in particolare su TikTok», prendendo provvedimenti ai sensi del Digital Services Act nei confronti di TikTok.
In questa situazione politico-elettorale, domenica 8 dicembre era previsto il ballottaggio tra Georgescu e Lasconi ma, come un fulmine a ciel sereno e ribaltando un precedente pronunciamento, la Corte costituzionale ha annullato l’esito del primo turno dopo la desecretazione di documenti riservati sulla sicurezza che confermerebbero presunte ingerenze straniere, in primis della Russia, sulla campagna elettorale di Georgescu condotta su Tik tok a condizioni vantaggiose.
Una netta dicotomia
Le dichiarazioni anti-Ue e anti-Nato di Georgescu hanno suscitato reazioni da parte di migliaia di cittadini che si sono recati in una piazza del centro di Bucarest per ribadire che indietro non si torna, gridando parole come «libertà» e «Europa».
In Romania stiamo assistendo a uno scontro tra le forze atlantiste che ribadiscono la necessità di contrastare il «pericolo russo in Europa» e, a tal riguardo, la sentenza della Corte costituzionale costituisce un rilevante precedente di natura giuridica e storica nei contesti di guerra ibrida; dall’altro lato, le forze sovraniste rappresentano istanze nazionalistiche, attaccano la comunità Lgbt e cercano di fare leva sulla componente ortodossa dei rumeni, ma anche sulla diffusa insoddisfazione delle condizioni economiche del paese.
Dinamiche di politica interna si intrecciano con questioni di politica estera, riproponendo ormai tra i Balcani e il Caucaso scenari a “effetto Maidan”, caratterizzati da una netta dicotomia tra “pulsione occidentale” e “filorussa” che rischia di destabilizzare la coesione europea, rinvigorendo nazionalismi e questioni geopolitiche irrisolte da tempo.
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