L’Italia continua a declinare, anche rispetto alla media europea, ora insieme a quel grande malato che è diventata la Germania; in sostanza, perché si ostina a seguire un modello di sviluppo ormai fallimentare che la politica, specie delle destre, anziché correggere asseconda. Nel 2024, il paese campione di crescita in Europa sarà la Spagna che ha scelto politiche economiche opposte a quelle di Meloni
Dopo un buon andamento dovuto in sostanza al Pnrr (cui Giorgia Meloni era contraria), i nuovi dati Istat, dimezzando la crescita per il 2024 (0,5 per cento) rispetto alle stime del governo, ci riportano alla realtà: l’Italia continua a declinare, anche rispetto alla media europea, ora insieme a quel grande malato che è diventata la Germania; in sostanza, perché si ostina a seguire un modello di sviluppo ormai fallimentare che la politica, specie delle destre, anziché correggere asseconda.
Nel 2024, il paese campione di crescita in Europa sarà la Spagna di Pedro Sánchez: con oltre il 3 per cento, meglio anche rispetto alle previsioni. Sánchez ha scelto politiche economiche opposte a quelle di Meloni: puntare sugli investimenti per la transizione energetica, a partire dal solare su cui la Spagna (ma anche l’Italia) ha un vantaggio comparato rispetto al Nord Europa, e sul sostegno dei consumi interni grazie al salario minimo e alle politiche di tutele del lavoro; il tutto mantenendo i conti in ordine, non con i tagli ma grazie all’equità fiscale (cioè con tasse più elevate sui grandi capitali e sui redditi maggiori). Di recente, i socialisti spagnoli hanno lanciato un grande piano di edilizia pubblica, con abitazioni ad alta qualità energetica.
Misure spot
E l’Italia di Meloni? Si caratterizza in sostanza per l’assenza di una politica economica. Nella vecchia illusione che bastino un po’ di misure spot a fare andare avanti una barca, peraltro malandata, in un mare sempre più tempestoso.
Da un lato vi sono i consueti tagli al bilancio, cioè l’austerità. In particolare su due settori che sono invece fondamentali sia per il benessere e i diritti dei cittadini, sia per il futuro dell’Italia: la sanità e l’istruzione. Dall’altro, questo governo continua ad alimentare un assurdo regime di disuguaglianza fiscale: in cui gli autonomi pagano molte meno tasse dei lavoratori dipendenti e sono pure incentivati a evadere; e in cui il 5 per cento più ricco paga un’aliquota media più bassa del restante 95 per cento degli italiani, grazie alle flat tax (sui redditi da capitale) e alle numerose detrazioni di cui gode: la progressività al contrario!
Questo regime, oltre a essere ingiusto, favorisce la rendita e incentiva gli imprenditori a rimanere piccoli anziché a crescere: è quindi non solo eticamente socialmente sbagliato, ma aggrava i mali della nostra economia. E correggendolo si potrebbero recuperare decine di miliardi ogni anno.
Accanto a questo, risalta la gestione errata di alcune poste fondamentali. L’investimento più significativo che il governo ha messo in cantiere è il ponte di Messina. Un’opera faraonica di dubbia fattibilità e ancor più dubbia utilità: non servirà a molto fino a quando non si risolveranno i problemi strutturali del Sud che, in teoria, sono ben più semplici da affrontare, e urgenti (dalla viabilità ordinaria alle ferrovie, alle reti idriche). Il governo invece comincia dalla testa e mina la base, dato che per costruire il ponte sottrae risorse alle altre infrastrutture.
Le spese per la difesa
C’è poi la questione delle spese per la difesa. Si tratta di un settore che, se rimane a livello nazionale, per l’Italia come per gli altri paesi europei è largamente inefficiente, date le enormi economie di scale e di scopo che lo caratterizzano. Quello che occorre fare, ed è l’unica scelta sensata, è la creazione di una difesa comune europea: cioè la messa in comune degli attuali eserciti e degli apparati nazionali; senza ulteriori soldi perché quelli che vi sono oggi, in comune, se bene utilizzati, sarebbero ampiamente superiori, per esempio, a quanto stanzia la Russia (ed è enormemente superiore anche la disponibilità di uomini).
Ovviamente, la difesa comune europea sarebbe una parte fondamentale di una nuova Europa federale: è questo che l’Italia deve chiedere, ma è proprio quello che il governo Meloni non può fare per sua stessa natura. Perché nazionalista e, quindi, contrario a rinunciare al diritto di veto.
Superare le ingiustizie fiscali, equiparando autonomi e lavoratori dipendenti e facendo pagare il giusto anche a chi finora è stato privilegiato; cancellare gli aumenti per la difesa e battersi invece per creare una difesa europea, senza aggravio di spese; eliminare opere faraoniche e inutili come il ponte di Messina: e destinare queste risorse alla sanità, all’istruzione, alle infrastrutture di prossimità e alla cura del territorio, a una politica per l’innovazione che parta dall’ambiente (come in Spagna). Ecco semplici punti di un programma alternativo alle destre, che contribuirebbero a creare benessere e a rilanciare l’economia.
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