Al Rinascimento del Fumetto Italiano, guidato da Zerocalcare, uno degli autori più interessanti della scena culturale contemporanea, (ora a Milano con una grande mostra, Dopo il botto, alla Fabbrica del Vapore fino al 23 aprile con oltre 500 tavole originali, video, bozzetti, illustrazioni e un’opera site specific per raccontare la frammentazione sociale all'indomani della pandemia) non corrisponde un adeguato rilancio della gloriosa animazione italiana. È ancora Zerocalcare a segnare la scena con l’unicum di Strappare lungo i bordi, la bella serie animata per Netflix tratta lo scorso anno dai suoi fumetti. L’ ha scritta, diretta e ha prestato la voce al suo personaggio. Autofiction di un fumettista romano, la cui coscienza prende le forme di un armadillo, che riflette sulla sua vita e su un amore mancato mentre con due amici si reca fuori città.

E poi le animazioni stupende, poetiche e satiriche, di Makkox a Propaganda live. Non molto altro. Ed è proprio con Makkox che qualche tempo fa rievocavamo le invenzioni archetipiche di Guido De Maria. Dei suoi programmi, Gulp! E Supergulp! Programmi di culto per una generazione.

E l’ultimo chiuda la porta.

Gulp! I 50 anni dei fumetti in tivù, programma cult di Guido De Maria

Perchè De Maria è stato l’apripista. Il fondatore di un nuovo linguaggio: il fumetto in tv. Il fumetto diventa così popolare, fino ad allora era osteggiato da mamme, preti e maestre, anche se Oreste del Buono, Umberto Eco e Fruttero & Lucentini se n’erano già occupati in riviste, giornali e libri.

Assieme a Giancarlo Governi inventano Gulp!. La prima puntata di Gulp! trasmessa il giovedì 14 settembre 1972 alle 21,15 su Rai 2 (allora Secondo Canale) si apre con una presentazione di Cochi e Renato, che fanno da padrini alla trasmissione. Al programma collaborarono importanti autori del fumetto e del cartone animato italiano del periodo come Bonvi, Bruno Bozzetto, Hugo Pratt, Silver e Sergio Bonelli. In scaletta: Nick Carter di Bonvi e De Maria ed il Signor Rossi di Bruno Bozzetto, che costituiscono l'asse portante dell'intero programma. Altri protagonisti: Le ciccione volanti di Walter Faccini, La secchia rapita di Pino Zac, L'incontro de li sovrani di Paolo Di Girolamo, La famiglia Spaccabue di Jacovitti. Gulp! chiude i battenti il 7 dicembre 1972, l’ultima puntata ha per protagonista Corto Maltese di Pratt.

Ne parlo non solo perché son cinquant’anni da Gulp!, ma perché Guido De Maria ha compiuto il 20 dicembre novant’anni. Spesi divertendosi a disegnare prima vignette che sottoponeva a Enzo Biagi, mentre studiava matematica all’università, e Biagi gliene pubblicava una ogni esame sostenuto, poi aprendo una importante agenzia di pubblicità a Bologna. Che faceva caroselli bellissimi. «Capitano, lo possiamo torturare?». Ricorderanno i boomer il suo Salomone pirata pacioccone dell’amarena Fabbri. Il punto è che in quell’agenzia lavorava per lui come creativo un giovane Francesco Guccini, quando certo non pensava di diventare il più importante cantautore italiano.

Guccini

Foto Stefano Colarieti/LaPresse Roma, 9/12/2022, STUDI LA7 TRASMISSIONE “PROPAGANDA LIVE” FRANCESCO GUCCINI OSPITE DELLA TRASMISSIONE Nella foto: FRANCESCO GUCCINI,

De Maria aveva sentito cantare Francesco in una piola bolognese. Sul palco c’era questo lungagnone magro e barbuto con la chitarra, che cantava tutto ingobbito. La voce roca e profonda, arrotata dalla “erre” pareva incastrarglisi nel diaframma ripiegato dietro la cassa dello strumento. L’impianto era quello che era, la melodia era semplice e di quello che diceva non ci si capiva niente.

De Maria però voleva capire. Gli avevano detto che il lungagnone, un Francesco Guccini fresco di servizio militare, era bravo soprattutto a scrivere i testi e a lui quelli bravi interessavano. Quindi si avvicinò al palco. Guccini cantava e De Maria tendeva le orecchie. De Maria si sporgeva in avanti per sentirci meglio e Guccini si accartocciava sempre di più su sé stesso masticando le parole. Alla seconda canzone senza aver capito nulla, De Maria cominciò a suggerire, prima discretamente e poi sempre più prepotentemente, in direzione di Guccini: «Voce! Voce!».

Approfittando di una pausa, il pubblicitario si avvicinò al cantautore. «La musica è anche bella», gli disse, «e si capisce che stai dicendo cose importanti, ma devi scandire meglio perché sennò sotto il palco non arriva niente». Guccini, lì per lì, parve aver capito, ma quando tornò a cantare, vuoi per l’imbarazzo, vuoi per l’emozione, vuoi perché si stava ripiegando ancora di più su sé stesso, si capiva meno di prima. Allora De Maria ricominciò a incitarlo, «Voce! Voce!», e fargli segno di tirarsi su col petto. Finito anche il terzo pezzo, Guccini si alzò in piedi, guardò il pubblico, guardò alla sua sinistra dove c’ era incistato De Maria, tornò sul pubblico e con una voce piena, cristallina, roboante e senza nemmeno più traccia della su notissima erre arrotata disse: «Qualcuno vuole cortesemente uccidere questo rompicoglioni?».

Bonvi

Un giorno Guccini gli portò un suo amico, il giovane Bonvi, un geometra bravo a disegnare in cerca di lavoro. Bonvi si sedette davanti a De Maria, lo guardò serio e accigliato e poi rifiutò l’offerta: «Non insista, non posso lavorare per lei, perché sono molto impegnato con le colture idroponiche dei pomodori su Marte».

Si capirono al volo. Nacque una factory emiliana in cui De Maria scriveva le sceneggiature dei caroselli, Guccini scriveva le strofette dei jingle, Bonvi disegnava, Franco Godi faceva le musiche, mentre Ebro Arletti che veniva dalla scuola di Paul Campani animava. Nacquero caroselli meravigliosi. De Maria iscrisse un renitente Guccini alla Siae perché ne aveva intuito il talento, Francesco aveva già scritto Auschwitz, ma non poteva firmarla, e la firmò per lui Maurizio Vandelli dell’Equipe 84. Hanno litigato per i diritti tutta la vita.

Mentre Bonvi, il più bravo discepolo del segno jacovittiano, inventò le Sturmtruppen e Cattivik che a un certo punto regalò al suo ragazzo di bottega, Silver di Lupo Alberto. Il cui segno è stato sicuramente studiato da Zerocalcare. E qui il cerchio si potrebbe chiudere. Ma c’è molto altro da raccontare. «Ebbene sì, maledetto Carter!»

Perché dopo una pausa di oltre quattro anni, il programma riprende martedì 15 marzo 1977 alle 20,40 con il titolo SuperGulp! Fumetti in TV. Nick Carter ed i suoi aiutanti sono elevati al rango di presentatori della trasmissione. E l’ultimo chiuda la porta.

Protagonisti della serie diventano: Nick Carter, Tintin, Alan Ford, Sturmtruppen, Corto Maltese, i Fantastici Quattro, L'uomo ragno, Jak Mandolino, Jonny Logan. Inoltre vengono trasmesse due interviste: Stan Lee (ideatore dei personaggi della Marvel) e Hugo Pratt.

La prima serie di SuperGulp! Fumetti in TV si chiude il 21 luglio 1977 per un totale di 15 puntate. Il programma ha grande successo e viene replicato nella stagione successiva dal 4 ottobre al 28 ottobre 1977. Una nuova serie inizia il 4 maggio 1978. Ai protagonisti si aggiungono: Cocco Bill, Mandrake il mago, Cino e Franco, Lupo Alberto, Thor (tratto dal contenitore The Marvel Superheroes), Uomo mascherato, Rip Kirby. 15 puntate fino al 28 settembre 1978.

Il 20 dicembre De Maria è stato festeggiato e premiato dal Sindaco con la Bonissima per il suo novantesimo compleanno. Mentre il Dondolo, la casa editrice digitale del Comune di Modena, pubblica un ebook di Giulio D’Antona, - scrittore e sceneggiatore di fumetti - che ricostruisce e analizza la mitica e struggente storia di Gulp e Supergulp. Si scarica gratis sulla piattaforma della biblioteca digitale Mlol.

«Non c’è mai più stato un programma come Gulp! e SuperGulp!, - chiosa D’Antona - forse perché non ci sono più state persone immerse nella propria arte e consapevoli dei propri tempi come furono De Maria, Bonvi, Governi e i loro collaboratori. Però il fumetto italiano, forte anche del beneficio che quella incredibile vetrina appena meno che decennale ha fornito, è vivo e vegeto, lotta e si arrabatta, degno del suo successo e della sua, intramontabile, leggenda.»

Comix, il giornale dei fumetti e dei comici, da Jacovitti a Luttazzi

Ora dobbiamo fare un salto negli anni Novanta. Perché per Franco Cosimo, uno dei fratelli Panini delle figurine, tra casa mia e casa di Guido De Maria, gran cuoco di gnocco e tigelle, tra prosciutti, salami e fumi di lambrusco versato a fiumi, inventiamo a Modena Comix, il giornale dei fumetti. Io direttore, lui condirettore. Lui sceglie i fumetti, io i testi comici. Modello più Il mago di Fruttero & Lucentini, che Linus di OdB, Oreste del Buono. Settimanale. Arriviamo a 80mila copie. Panini, come negli album, non la vuole e rifiuta la pubblicità.

Lungo la via Emilia, a Bologna Michele Serra coi suoi faceva Cuore. Che vendeva ancora di più. Ma, mi disse Grandi, il loro editore, li spaventammo. Loro satira politica, noi umorismo. Anche cattivo. Debuttano Daniele Luttazzi e Walter Fontana. Poi Luciana Littizzetto, Alessandro Bergonzoni, Daria Bignardi, Aldo Giovanni e Giacomo, Fabio Fazio, Paolo Hendel, Riccardo Cassini, Giobbe Covatta, Enzo Iacchetti, Fabio De Luigi, Natalino Balasso. Ma anche Guccini, Roberto Freak Antoni, Vinicio Capossela. Scrivono racconti per noi scrittori come Niccolò Ammaniti, Simona Vinci, Giuseppe Culicchia, Gabriele Romagnoli, Ugo Cornia. Mentre Severino Cesari e Paolo Repetti colgono lo Spirito del Tempo e pubblicano da Einaudi l’antologia dei Cannibali per lanciare la neonata collana Stile Libero.

Con noi ovviamente, assieme a Guccini, Bonvi. Gli antichi sodali di De Maria. Ma anche Giampaolo Dossena, Stefano Bartezzaghi, addirittura Umberto Eco. Roberto Benigni. Edmondo Berselli. Col fax ci mandano i disegni Altan, Quino e Mordillo. Magnus disegna le ultime tavolo di un capolavoro come Lo sconosciuto. Jacovitti ci dà i suoi ultimi disegni. Disegni e Caviglia inventano un’esilarante coppia di gemelli siamesi, Franco II e Franco III, intermedi dei due cantanti del duo beat di Ho scritto t’ amo sulla sabbia. Disegna fumetti Silvia Ziche, che diventerà la più brava della scuola dei disneyani italiani, in redazione con noi un giovanissimo Tito Faraci, pure lui predestinato a diventare il più importante sceneggiatore italiano di fumetti.

La nascita del moderno e delle arti minori. La canzone, il fumetto, la pubblicità

Insomma tra la Modena delle figurine e la Bologna del Dams succedeva parecchia roba.

Come sempre accade, c’era un motivo. Flashback.

Il moderno nasce nella Modena beat degli anni Sessanta perché Paolo (Paul) Campani (Modena 1923-1991) e Giorgio (Max) Massimino Garnier (Torino 1924-Roma 1985), avevano seminato arte e disegni animati nei Cinquanta. Veri Mad men a Modena.

Con i soldi guadagnati grazie al fumetto, a soli 31 anni Campani fondò a Modena la Paul Film. Il 2 settembre del 1954: il ricordo della guerra era ancora fresco ma iniziava la ripresa economica e tutti volgevano lo sguardo verso l’America. La prima sede della casa di produzione fu nella sua soffitta, in piazza Marconi, oggi piazza XX settembre: cento gradini per arrivare dove Paul Campani, Max Massimino Garnier, Secondo Bignardi, Angelo Benevelli e pochissimi altri, in uno studio di due stanze che aveva il tavolo proprio all’ingresso, iniziarono a fare le prime animazioni.

Qualche anno addietro, sempre lì presero vita L’Asino e la pelle del Leone e Alì Califfo di Bagdad e dintorni che furono tra i primi cortometraggi del dopoguerra. Alla loro porta bussò la Permaflex e Campani creò il suo primo spot pubblicitario animato, con musica originale composta per lui da Luciano Berio, che in quel periodo si occupava di musica elettronica per la Rai e nel giro di qualche anno sarebbe diventato uno dei più importanti compositori dell’avanguardia europea. Nello spot cinematografico, avanguardia della satira moderna, Paul creò un materasso che richiamava, nell’aspetto, nella voce e nell’uso del balcone da cui parlava, un grottesco Mussolini.

Paul Campani e Carosello. L’Omino coi baffi e Agelino, Mina e Armstrong

©LAPRESSE ARCHIVIO STORICO TRASMISSIONE "LASCIA O RADDOPPIA" MILANO, 26/11/59 NELLA FOTO: MIKE BONGIORNO

Alla fine degli anni Cinquanta la Paul Film traslocò in via Circonvallazione Sud, oggi via Amendola angolo via Agnini, ingrandendosi e aumentando la produzione.

Domenica 3 febbraio 1957, alle 20.50 nasceva Carosello: era una raccolta di storielle animate, trasmesse in tv, che si concludevano ognuna con un breve “codino” pubblicitario. Ogni spot durava 2 minuti e 15 secondi, cronometrati al millesimo dalla Rai che ne vagliava anche i contenuti. Paul Campani fu uno dei padri di questa atipica forma di spot pubblicitario che funzionava solo in Italia: all’estero era impensabile sprecare tutto quel tempo senza parlare del prodotto da reclamizzare, così che ai concorsi internazionali gli italiani era accolti da un misto di incredulità, divertimento e ammirazione.

Nascono uno dopo l’altro tanti memorabili personaggi i tra cui l ’Omino coi baffi, Toto e Tata, Angelino, Svanitella e Riccardone, Fido Bau, gli amici di Gioele e Miguel-son-sempre-mi, solo per citarne alcuni. Li si può ammirare ora a Modena sulle facciate della storica sede, lì in via Amendola,  come fossero graffiti di writers contemporanei.

A cavallo dei Sessanta la modenese Paul Film, che produceva prevalentemente pubblicità animata, contava una novantina di dipendenti ed era tra le maggiori case di produzioni europee. La sua fama raggiunse ancora una volta l’America e sui tavoli da disegno di via Agnini comparve Braccio di Ferro (Popeye) allora distribuito dalla Paramount Pictures.

La dolce vita era nell’aria: attori, musicisti, i nuovi personaggi televisivi – come i concorrenti di Lascia o raddoppia, programma condotto da un giovanissimo Mike Bongiorno – e veri e propri divi come Mina e Louis Armstrong, che venivano a cantare i jingles, si potevano incontrare in quelle strade e in quegli studi della periferia di Modena. Quando nel 1968 Louis Armstrong partecipò al Festival di Sanremo, passò alla Paul Film dove registrò alcuni brani per Carosello che però non vennero mai utilizzati. Giunto in treno a Modena, con una valigia e l’inseparabile tromba, nonostante fosse già una leggenda del jazz, nessuno lo riconobbe. Alla Paul Film fu accolto da Campani e si esibì nel teatro di posa per ore, sotto lo sguardo ammirato dei tecnici e del regista. La sera tutto lo staff andò a ballare al Mocambo, un night sulla via Emila Est, come si fosse in una canzone di Paolo Conte, dove Armostrong improvvisò una jam session con un gruppo di musicisti locali. Fino all’alba. L’aria fredda di febbraio non era mai sembrata così dolce.

In via Agnini fece capolino anche un giovanissimo Franco Bonvicini, in arte Bonvi (poco tempo dopo avrebbe creato le Sturmtruppen) che, come tanti, portava i suoi disegni sperando di entrare alla Paul Film. Campani ne aveva intuito il talento; rimasero a parlare un pomeriggio intero e si salutarono con una stretta di mano. Corre voce che quando Bonvi se ne andò, Paul disse: «Questo è troppo bravo, prima o poi mi scavalca. Qui non ci mette piede!».

Nel 1967 Paul Campani collaborò con lo scrittore Giovannino Guareschi, autore di Don Camillo e Peppone, illustrando il libro La calda estate di Gigino Pestifero, un personaggio diventato virale (allora si diceva famoso) grazie ai Caroselli dei gelati Tanara. I due ebbero accese discussioni perché Paul tagliò il testo senza consultare Guareschi che, furioso, sbattè la porta urlando «io non mi sarei mai permesso di toccare i tuoi disegni!». Il libro, un capolavoro frutto della collaborazione di due fuoriclasse, non ebbe un gran successo di vendite, perché l’incazzato Guareschi ne fece ritirare le copie dalle librerie.

Il primo gennaio 1977 cala il sipario su Carosello. E chiude la meravigliosa storia di Paul Campani che non sa adattarsi alle nuove regole degli spot della tv commerciale.

Eppure Campani era stato il primo a capire e a irrompere direttamente nel moderno, anticipando il passaggio da cultura ancora agricola a civiltà industriale. Perché doveva fare parlare gli oggetti. Quegli oggetti dell’industria che sono i protagonisti del boom economico che si sta per realizzare. Nella sua produzione animata, nelle foto e nei documenti che sono rimasti si parla una lingua nuova. Non c’è mai un riferimento localistico o provinciale: il disegno di una Ghirlandina, per esempio, o uno scorcio di città. C’è invece il campo di pallavolo e il ping pong per le pause da un lavoro forsennato. Anticipando lo stile della Silicon Valley.

Campani porta l’America a Modena e la sua lingua: quella della pubblicità.

Sedimenta il terreno per cui Modena può diventare immediatamente il genius loci dei linguaggi del moderno: la canzone, il fumetto, la pubblicità.

Insomma, a Modena nasce la modernità.

Quel gran pezzo dell’Emilia. Un weekend postmoderno da Tondelli a Berselli

Poi la storia è nota e corre veloce come una Ferrari. L’ Equipe 84 e i Nomadi, Francesco Guccini, Pier Farri e Dodo Veroli. Caterina Caselli, tutti seduti a quel caffè, il bar Grand’ Italia.

E questo spiega anche perché durante il «week end post moderno» raccontato da Tondelli per essere una rock star devi essere nato tra Modena e Reggio Emilia. Come accade a Vasco, a Zucchero, a Ligabue.

Pier Vittorio Tondelli racconta in diretta gli anni Ottanta nel suo libro capolavoro Un weekend postmoderno scritto a pezzi su «Il resto del Carlino» e pubblicato da Bompiani nel 1990. È la migliore mappatura culturale dell’epoca e del territorio. Muovendosi curioso, Tondelli cartografa e mitografa un mondo giovane, festivo, weekendistico. Ci fa scorrere davanti agli occhi questo film raccontato come un romanzo la cui scrittura disinibita, narrativa e speculativa, è la migliore della sua epoca.

Nel frattempo si svolge ed esplode nel bel canto la carriera di Luciano Pavarotti che proprio a Modena codificherà più tardi la fusion tra musica colta e musica pop.

Nel 2004 Edmondo Berselli pubblica con Mondadori un libro memorabile, Quel gran pezzo dell’Emilia, la terra dai confini indefiniti che è il Sud del Nord e il Nord del Sud. Forse è un laboratorio politico dove ancora si aggirano vecchi comunisti pragmatici per i quali, nonostante Renzi, il socialismo è il capitalismo fatto da noi. Una terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe. Ferrari, Pavarotti, Vasco Rossi, Ligabue, Zucchero, Prodi, Bottura.

C’erano i comunisti che sembravano eterni e quindi si poteva vivere, e bene, senza la politica e pensando ad altro. Cioè creare un complesso beat a Modena o tirare su dal niente una radio libera Zocca, mettersi a cantare come Caterina, l’Equipe, Francesco, Augusto, Pierangelo, Vasco, Ligabue, Adelmo. Oppure dedicarsi ferocemente al piacere satanico dei motori, tra le Ferrari, le Maserati, le Lamborghini, le De Tomaso, le motociclette Ducati e Morini e l’odore di benzina combusta.

Una terra di lunatici e di teste balzane. «Non modenesus erit cui non fantastica testa», scriveva nel Cinquecento Teofilo Folengo, alias Merlin Cocai, l'autore del Baldus. Di scrittori come Antonio Delfini, Gianni Celati, Piervittorio Tondelli, Ugo Cornia, Ermanno Cavazzoni, Daniele Benati. Di creatori di illusioni come i registi poeti: Federico Fellini, da Rimini; Valerio Zurlini, da Bologna; Vittorio Cottafavi, da Modena. Di nichilisti ed empirici, balzani e creativi.

Come qui lo sono tutti gli ingegneri. Quelli della Ferrari.

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