Non esiste modo migliore di capire un movimento musicale che assistere dal vivo alle sue rappresentazioni, perché la musica richiede sensibilità emotiva e immaginazione creativa da parte di chi la fruisce
Da quando il popolo del jazz ha iniziato a riempire le piste dei club dediti all’elettronica? Da quando i dj hanno iniziato a suonare il jazz, facendo ballare i clubbers più appassionati? Tutto è partito dalla nascita di un genere che ha unito i mille linguaggi del jazz semplificandoli e diventato cool grazie anche a un nome perfetto: l’acid jazz. È l’incontro del jazz con le derive più moderne del funk, soul, hip hop, disco e house.
Quanto tutto è iniziato
Nasce negli anni Ottanta, quando una delle declinazioni più popolari della house music veniva definita acid house. Durante una serata al Dingwalls di Londra il dj e radiofonico Gilles Peterson e il collega Eddie Piller coniarono il termine «acid jazz» con una frase che è passata alla storia: «Finora avete ballato acid house? E adesso ascoltate acid jazz!». Piller creò un’etichetta discografica, la Acid Jazz Records, lanciando artisti come Brand New Heavies e lo stesso Jamiroquai.
Gilles poi fondò la Talking Loud, scoprendo tra gli altri i Galliano, e vinse un Grammy Award con il disco di Roni Size New Forms. Un album capolavoro che sintetizzava il jazz, l’elettronica (jungle), l’hip hop e l’acid jazz in un mix che racchiudeva trent’anni di percorso delle musiche nere urbane. La Talking Loud è stata sostituita dalla Brownswood Recordings e il genere ha preso la denominazione di Uk jazz, che abbraccia afrobeat, ritmi caraibici, tradizione jazz inglese e tutto il mondo musicale sviluppato in quei prolifici laboratori della cultura urbana europea che sono i club sotterranei di Londra: i basement.
Broken beat, breakbeat, drum’n’bass, dubstep, grime e tante altre micro derive. Tutti generi che le nuove generazioni di jazzisti inglesi hanno ballato di notte nei club e interiorizzato nel loro modo di studiare il jazz di giorno. Un processo di sintesi che li ha portati a mettere da parte i virtuosismi per una maggiore ballabilità, lavorando anche sull’aspetto estetico, sul suono, il mix, i sintetizzatori e la loro agilità timbrica. Shabaka Hutchings, Moses Boyd, Joe Armon-Jones, Nubya Garcia, Kokoroko: la lista è infinita.
Il tutto è supportato da diversi programmi radiofonici, il megafono con cui si diffondono le idee di questi movimenti musicali. Su tutti il “WorldWide radio show” di Gilles Peterson su BBC6.
In Italia
Nel nostro paese, che è formato da una società ancora poco ibrida, il processo è iniziato ma avrà bisogno di almeno altri trent’anni. Nel frattempo, non esiste modo migliore di capire un movimento musicale che assistere dal vivo alle sue rappresentazioni, perché la musica richiede sensibilità emotiva e immaginazione creativa da parte di chi la fruisce.
Usate quindi la vostra immaginazione per visualizzare un luogo in mezzo ai vigneti del Monferrato dove una tribù proveniente da tutta Europa si incontra per ascoltare, ballare e scoprire le più interessanti evoluzioni dei vari generi nati dal jazz. Un festival, Jazz:Re:Found, concepito come strumento di organizzazione di un pensiero ancora poco comune in Italia, ma in continua crescita e per questo molto affascinante.
Dal 2 al 5 settembre torna a Cella Monte (Monferrato) Jazz:Re:Found, il boutique festival che, da oltre 10 anni, esplora gli orizzonti del jazz – nelle sue innumerevoli contaminazioni – e della black music tra passato e presente. Domani è media partner dell’iniziativa. Per info e biglietti https://jazzrefound.it/
© Riproduzione riservata