Circonvenzione d’ingenui su Instagram o risposta a una domanda latente di vanità? Non dobbiamo aver paura dei cialtroni, ma imparare come fanno a fregarci
- Mirko Scarcella si era creato, dopo un apprendistato da Fabrizio Corona a inizio anni duemila, una mezza fama nel sottobosco dello spettacolo nostrano di serie Z, era un po’ un agente, un po’ un impresario, un po’ un sensale per quasi famosi - quasi famosi non proprio scafatissimi, ammettiamolo - in cerca di fama.
- Questa settimana Scarcella è definitivamente riuscito in quel che probabilmente sognava da sempre e non riusciva a fare: uscire dal sottobosco dei bot indiani su Instagram
- Quel genere di attenzione del pubblico permette poi, se si è bravi, di giocarsi oltre a quella della vittima un’altra carta vincente. La carta del pentimento, della redenzione.
L’operazione della Guardia di Finanza che nel 2002 portò all’arresto di Wanna Marchi e Stefania Nobile si chiamava “Tapiro salato”: la cosa migliore - oltre al nome dell’indagine - è che si dice l’inchiesta partì perché un militare delle fiamme gialle guardandosi una replica notturna di Striscia la Notizia notò dei reati commessi dalle due teleimbonitrici.
Chissà se accadrà qualcosa del genere anche con Mirko Scarcella, il presunto guru di Instagram che ha catturato le nostre attenzioni questa settimana: tra una puntata speciale de Le Iene durata circa tre ore e una replica di Scarcella pressoché in tempo reale tra IG Stories e Non è l’Arena da Giletti. Ma chi è Mirko Scarcella?
Dato in passato come artefice del successo da influencer di Gianluca Vacchi - però lo stesso Vacchi a Le Iene ha preso le distanze dall’ex sodale; distanze che poi Scarcella ha riaccorciato pubblicando chat WhatsApp col Vacchi… - vista la non straordinaria comprensione delle dinamiche social dei giornalisti italiani, era riuscito a portarsi a casa una rassegna che lo qualificava come una specie di re Mida di Instagram: con clienti che andavano da Donald J. Trump, a Cristiano Ronaldo o al clan Kardashian (tutta gente che ha bisogno di un consulente per avere l’attenzione altrui). Ma ovviamente, mica era vero.
Mezza fama
Scarcella però qualcosa era, sì. Si era creato, dopo un apprendistato da Fabrizio Corona a inizio anni duemila, una mezza fama nel sottobosco dello spettacolo nostrano di serie Z, era un po’ un agente, un po’ un impresario, un po’ un sensale per quasi famosi - quasi famosi non proprio scafatissimi, ammettiamolo - in cerca di fama.
Pian piano deve aver capito che i soldi erano da un’altra parte e che la strada giusta era quella nuova: quindi Instagram, i corsi, le consulenze, i libri che svelano i segreti del suo successo, un successo che vuole assolutamente condividere con tutti. Scarcella vede giusto e imbocca così una strada lastricata di mattonelle luccicanti, la cui doratura è composta da due elementi che non scarseggiano mai: gli ingenui e i loro soldi.
Ha funzionato bene per Scarcella - meno per chi si affidava a lui: ma allora mettiamo in galera tutti i consulenti che presentano PowerPoint irrealizzabili al cliente… - come funziona bene per tanti altri venerabili maestri del successo e del self help che promettono di svelare segreti miracolosi e redditizi.
È pieno là fuori, anzi, là dentro lo schermo del nostro smartphone di gente che propone roba del genere, e la propone a strascico. Funziona un po’ come il telemarketing: su 100.000 telefonate, qualcuno cambierà operatore; allo stesso modo su 100.000 contatti di una inserzione sponsorizzata su Facebook, di sicuro qualcuno avrà comprato La bibbia - Successo, fama, soldi pagandola 97 euro. È ancora in vendita sul sito di Scarcella con tanto di prefazione del pugile Floyd Mayweather, e visti i precedenti, speriamo Mayweather sappia della prefazione, non sembra uno a cui tirare sòle. Ma di questo, insomma, ci importa il giusto.
La fama vera
E ormai, anche se non ci importa, lo sappiamo già. Perché? Perché in una via di mezzo tra il colpo di culo, l’eterogenesi dei fini e la torsione narrativa (involontaria) questa settimana Scarcella è definitivamente riuscito in quel che probabilmente sognava da sempre e non riusciva a fare: uscire dal sottobosco dei bot indiani su Instagram e delle celebrità native social per avere la fama vera, che in Italia resta ancora saldamente quella elargita dalla televisione. Alla faccia del 2020 infatti a parte la Ferragni e altri tre, i “famosi” partiti dai social si sentono ancora figli di un Dio minore rispetto ai televisivi. I famosi social non vedono l’ora di passare sul piccolo schermo - piccolo sì, ma comunque più grande di quello di uno smartphone - nei salotti degli italiani.
Nel caso di Scarcella poi c’è da questa settimana la combinazione perfetta: non solo indicato come colpevole da tre ore di j’accuse de Le Iene, è anche entrato nella ristretta cerchia dei cattivi che vanno da Giletti a difendersi - la sera prima da Giletti c’era Salvatore Buzzi - e ancora di più, dei cattivi che dividono.
È fortunatissimo Scarcella, dicevamo, perché quella dei presunti colpevoli - seppur chiaramente indiziati del reato di cialtroneria - è una categoria molto amata dagli italiani, che si sa, amano la polarizzazione tra innocentisti e colpevolisti, e gli regalano attenzione. Un’attenzione che i più abili poi sanno tramutare poi in fatturato; e sul fatturato fatto sugli ingenui temo Scarcella possa dare lezioni a molti di noi.
Quel genere di attenzione del pubblico permette poi, se si è bravi, di giocarsi oltre a quella della vittima un’altra carta vincente. La carta del pentimento, della redenzione: l’ho intravista quella carta, Scarcella l’ha già pescata, ce l’aveva nella manica da Giletti. È solo questione di tempo perché se la giochi: nessuno resiste alla redenzione in Italia. Figuriamoci alla redenzione di Scarcella.
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