- Con lo stanziamento di 900mila euro si conclude dopo due anni il contenzioso che aveva opposto la Casa delle donne al comune di Roma
- Ma per l’associazione femminista la battaglia con la sindaca Virginia Raggi non è conclusa
- Oggi chiedono il ripristino della convenzione con il comune e che venga riconosciuto il comodato gratuito dell’edificio
Il voto del Senato per la conversione in legge del decreto-legge 14 agosto 2020 con cui è stato approvato l’emendamento che finanzia con 900mila euro la Casa internazionale delle donne per estinguere il debito pregresso nei confronti di Roma Capitale è un primo riconoscimento del valore dei luoghi delle donne. È un riconoscimento delle nostre ragioni e, con le nostre, anche delle ragioni di tutti i luoghi delle donne e di tutte le donne che li fanno vivere.
Novecentomila euro alla Casa internazionale delle donne non è, come sostiene una cattiva propaganda, un regalo “delle amiche delle amiche”. È un atto politico che da tempo avevamo chiesto. Abbiamo sempre detto che la questione della Casa e di tutti i luoghi di donne è e deve essere una grande questione della politica, della politica nazionale.
Abbiamo sempre detto che invece delle logiche asfittiche contabilistiche dobbiamo cambiare paradigma: dalla valutazione del danno erariale alla valutazione del danno sociale. Quanto costerebbe alla comunità, alla città, la chiusura di questi spazi? Sono spazi di partecipazione ma anche di erogazione di servizi, alle donne e alla città. Sono soprattutto spazi di costruzione di libertà e di empowerment delle donne.
La Casa delle donne di Roma, come la casa Lucha y Siesta sono unite, con tutti gli altri luoghi, per una comune battaglia: riconoscere il valore sociale di queste esperienze, quello che noi chiamiamo veri beni comuni femministi.
Il Parlamento italiano lo ha riconosciuto, da oggi riconosce e afferma con il suo voto che le attività, i servizi prestati, il ruolo nelle battaglie di libertà delle donne valgono e possono e devono essere assunti da tutta la comunità.
Siamo soddisfatte, certo, perché da oggi la Casa chiude il contenzioso con il comune di Roma, che si è sempre rifiutato di accogliere le nostre proposte di transazione, assolutamente congrue per la pubblica amministrazione. Ma non ci basta.
Serve subito che la sindaca Virginia Raggi ripristini la convenzione, revocata da agosto 2018, con una decisione che ci ha impedito di avere finanziamenti, partecipare a progetti con bandi pubblici, che ci ha lasciate sempre con la spada di Damocle di essere sgomberate perché ormai «occupanti senza titolo».
Non ci basta, perché manca il riconoscimento del valore di tutti i luoghi delle donne, chiediamo una casa delle donne in ogni quartiere.
Non ci basta, perché chiediamo il comodato gratuito e più in generale l’utilizzo dei beni immobili non disponibili del comune per usi sociali e non per produrre reddito, e da assegnare garantendo la continuazione di realtà, esperienze, pratiche, radicamento con il territorio.
La Casa difende tutte le altre battaglie degli spazi sociali occupati di Roma, che proprio durante la pandemia hanno svolto una funzione importantissima: mantenere una rete, un tessuto sociale proprio fra chi è più fragile. I Cinque Stelle sono alla deriva, hanno sposato l’ideologia della legalità senza giustizia, la logica dei bandi, come se questo fosse l’unico strumento di vera trasparenza. In realtà i bandi “ciechi” cancellano soggettività, memoria, futuro di esperienze fondamentali per la vita democratica. La rimozione della storia del Novecento, la rimozione del pensiero costituzionale, la rimozione del femminismo. E invece il femminismo è più che mai attuale e necessario, per garantire un effettivo cambio di paradigma per il rilancio del paese; è necessario per costruire anticorpi contro il fascismo e il sessismo, radici della cultura patriarcale che giustifica la violenza contro le donne; è necessario per le battaglie di ieri che sono ancora aperte, come per il diritto all’interruzione di gravidanza e alla libertà di scelta delle donne.
Il voto del Senato per noi è una prima tappa, ma di un impegno a continuare un percorso comune di mobilitazione, per il riconoscimento dei luoghi delle donne, dei beni comuni femministi, di tutti gli spazi sociali autogestiti che grandissimo lavoro hanno svolto durante nel contagio, e prima di esso.
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