Le persone con disabilità, non potendo rappresentarsi da sole, fanno parte della fascia più fragile della popolazione, che non ha mezzi per difendersi in maniera adeguata. Così è per i loro caregiver. Racconto in prima persona
- Mi chiamo Marina Morelli e sono mamma e caregiver familiare di due ragazze con autismo con le quali vivo a Roma.
- Le persone con disabilità, non potendo rappresentarsi da sole, fanno parte della fascia più fragile della popolazione, che non ha mezzi per difendersi in maniera adeguata.
- Così è per i loro caregiver, che oltre a non avere una normativa che li tuteli sono in maggioranza ridotti a non avere una loro indipendenza economica dovendo occuparsi dei loro cari a tempo pieno. È forse questa dipendenza in condizioni di fragilità estrema un modello familiare sicuro?
Mi chiamo Marina Morelli e sono mamma e caregiver familiare di due ragazze con autismo con le quali vivo a Roma. In occasione della Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo, condivido una riflessione sui diritti delle persone con disabilità in termini di sicurezza.
Non c’è sempre certezza dei diritti sui territori e anche quando si riesce a ottenerli ci si trova spesso di fronte alla difficoltà di vederseli riconoscere in sicurezza. I servizi, i trasporti, i ricoveri, la difficoltà di curarsi, gli ausili, il personale non adeguatamente formato e retribuito, sono solo alcune tra le tante voci. Tutto ciò porta a convincersi che il posto più sicuro e decoroso per una persona con disabilità sia la casa familiare accanto al proprio caregiver. Non è giusto, né un modo sicuro di proiettarsi verso il “dopo di noi”.
Dopo di noi
La convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità stabilisce il loro diritto a una vita autonoma che si attui attraverso l’inclusione sociale. In tempo di pandemia siamo tutti più isolati, ma noi siamo più esclusi che mai, anche per l’impossibilità di usufruire in sicurezza dei servizi, come il trasporto disabili e l’assistenza domiciliare, che dovrebbero sostenere l’accesso autonomo della persona non autosufficiente nel mondo. Eppure gli operatori non vengono vaccinati, essendo l’assistenza domiciliare un servizio socio-assistenziale considerato non essenziale. Il covid-19 ha portato al pettine tanti nodi, tra cui l’improba e poco sicura distinzione tra Servizi Sanitari e Sociali nella cura alla persona fragile. L’approccio di presa in carico più consapevole e sicuro sarebbe, a mio avviso, quello olistico.
Ma anche in tempi non pandemici il problema sociale è sempre stato enorme. All’interno delle stesse famiglie, a scuola, nei luoghi di lavoro e della socialità, la storiella della solidarietà cozza con la realtà di un mondo che va di corsa e non vuole essere rallentato, ma anche con un’accessibilità continuamente ostacolata da barriere architettoniche e spesso da insormontabili barriere culturali. Se non s’incontrano, nel pubblico e nel privato, persone sensibili e corrette, o ci si associa a chi vive le stesse situazioni si rischia di restare isolati e di non venire a conoscenza dei propri diritti. È forse questo modello di scarsissime relazioni e accessibilità una vita sicura per una persona con disabilità? È forse questa per uno Stato civile la solida base dell’uguaglianza?
La diversità è la realtà delle cose e realizzare l’uguaglianza è complicato. Così, come fossero utopie su carta, alla conquista dei diritti seguono spesso battaglie per il loro riconoscimento, che includono la narrazione drammatica delle condizioni di vita in cui si è costretti a vivere, anche a colpi di azioni legali, ma le persone con disabilità, non potendo rappresentarsi da sole, fanno parte della fascia più fragile della popolazione, che non ha mezzi per difendersi in maniera adeguata. Così è per i loro caregiver, che oltre a non avere una normativa che li tuteli sono in maggioranza ridotti a non avere una loro indipendenza economica dovendo occuparsi dei loro cari a tempo pieno. È forse questa dipendenza in condizioni di fragilità estrema un modello familiare sicuro?
Diritti per tutti
Circa l’inclusione sociale, per tutti il vero debutto in società è rappresentato dall’entrata a scuola. Istituto educativo per eccellenza, la scuola fa però tanta fatica sul piano educativo ad attuare la scuola per tutti: il luogo dell’incontro e del confronto nel quale si dovrebbe imparare a stare con gli altri rimanendo sé stessi. Invece, tanta programmazione didattica sin da subito, e questo è un modello che non può che lasciare indietro i più fragili, oltre al fatto che la persona con disabilità grave è per sua propria alterità un irriducibile poco o affatto formabile. Ciò non fa della scuola il luogo più sicuro per tutti di questa terra.
In realtà, chiunque conosca il mondo della disabilità impara a riconoscersi in esso. Perché in quelle fragilità conclamate non può non riconoscere la propria fragilità in potenza. Perché in quella miriade di sfumature umane che rendono la normalità della diversità evidente non ci si può non chiedere quale sia la propria sfumatura. Siamo tutti unici e irripetibili e non speciali, al pari delle persone con disabilità, che hanno pregi e difetti come tutti, ma con maggiori difficoltà sul piano fisico e o psichico, per questo bisognosi di maggiore tutela per la loro sicurezza.
Ogni volta che una persona fragile si vede negato un diritto, ossia l’accesso alla propria vita nel mondo in sicurezza, viene commessa un’ingiustizia verso l’umanità. Si fa di fatto una discriminazione tra chi per sue proprie abilità può farcela a muoversi in una qualche sicurezza anche in presenza di barriere e chi per sua propria diversa-abilità viene ostacolato a vivere una vita sicura e soddisfacente al massimo delle sue possibilità e del supporto che sarebbe riconosciuto dai diritti troppo spesso negati.
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