Non avrei invitato a Più Libri Più Liberi una persona accusata di violenza e ritengo sballata la gestione della crisi. Ma le scuse dovrebbero chiudere una vicenda. Resta il tema di come si affronta un dibattito duro e spigoloso. Gli attacchi a Chiara Valerio e il tentativo di demolire una persona non contrastano gli errori commessi e non decostruiscono le diverse linee del potere che continuano a oscurare il cuore del problema
Ho conosciuto Chiara Valerio qualche ora prima dell’esplosione del caso, alla conferenza stampa di Più libri più liberi. Non ho con lei legami di amicizia, frequentiamo ambienti diversi. Non ho condiviso, per evidenti questioni di opportunità, l’invito a una persona accusata di violenza, soprattutto quando si dedica l’edizione in corso a Giulia Cecchettin e si realizzano corner di riflessione sul pensiero di Michela Murgia. Soprattutto ritengo del tutto sballata la gestione della crisi, almeno fino alle scuse, arrivate con ritardo e tirate un po’ per la giacca. E non c’entra nulla il garantismo che dovrebbe valere per vittime e carnefici, per gli avversari più che per gli amici, per i colpevoli più che per gli innocenti. Perché se a processo ci fosse stato un maschilista conclamato, magari di destra, la storia sarebbe andata diversamente.
Dovrebbe, il garantismo, essere la mozione di Caino, invece, spesso, risulta essere impastato da vincoli, relazioni, prossimità, in ultima analisi legami di potere che fanno premio su tutto il resto. Il particulare di Giucciardini che vince sulla dimensione generale, sul genere e sulla militanza femminista e che porta a dire «sorella io ti credo a seconda».
Ancora più insidioso il potere delle parole che creano emozioni e possono mutare il nostro modo di guardare i fatti. Accade spesso quando ci sono di mezzo intellettuali e artisti radical. E i fatti in Italia sono chiari: una donna che porta a processo un uomo per violenza deve affrontare un calvario e una asimmetria gigantesca, prima, durante e dopo il processo.
In ogni caso le scuse dovrebbero chiudere la vicenda, senza ulteriori strascichi. Comprendo, anche se me ne dispiace, la decisione di molti autori di fare un passo indietro o di lato. E considero un altro inciampo la scelta posticcia, e per questo poco credibile, di inserire nel programma pillole di riflessione femminista, forse bisognava pensarci prima.
Resta il tema di come si affronta un dibattito duro e spigoloso che chiama in causa meccanismi patriarcali incistati nel cuore della società contemporanea.
Il patriarcato è la forma specifica di controllo sociale che rafforza le gerarchie. Esattamente come il linciaggio. Perché non vi è dubbio che contro Chiara Valerio sia andato in onda un vero e proprio accanimento. Alla fine, è più importante colpire lei facendo sfoggio di sé, usare la visibilità altrui per alimentare la propria. E non importa se lei in fondo avrebbe fatto la medesima cosa. Bighellonando impertinente tra le cadute altrui.
È la logica della sopraffazione che dobbiamo combattere. Oltre la leziosa dimensione autoriferita che fa strage di illusioni e progetti collettivi. Una cosa indegna che ci racconta meglio di qualsiasi saggio cosa siamo diventati noi progressisti, gonfi di verità scolpite, rancorosi, pieni di invidie, capaci di accanirci su di una persona quando barcolla. L’errore è sempre fuori di noi. Tronfi e dissacranti dietro una tastiera che intossica ogni relazione. Uno spettacolo che fa paura. Come ci ha spiegato Ida B. Wells, attivista afroamericana di inizio 900: il linciaggio è la forma di protezione dell’ordine costituito e della violenza sistemica.
Gli attacchi e il tentativo di demolire una persona non contrastano gli errori commessi e non decostruiscono le diverse linee del potere che continuano a oscurare il cuore del problema: distruggere l’interlocutrice, gli insulti, le minacce, la lapidazione social non fanno che mantenere il dominio del patriarcato, del suo linguaggio e delle sue pratiche e non spostano di una virgola i rapporti di forza. Tutto resta immobile.
Costruire gli strumenti culturali e sociali per comprendere gli stereotipi e la matrice della violenza di genere dovrebbe essere un obiettivo, soprattutto tra gli intellettuali. Senza mostrificare l’interlocutore, senza accanirsi sul corpo di chi soccombe, dando vita a una vera discontinuità semantica.
Magari la prossima edizione potremmo dedicarla proprio alla decostruzione del potere patriarcale, alla sua pervasività, al suo eterno ritorno, affrontando quegli spigoli su cui Michela Murgia ci ha obbligati a sbattere. Senza fare sconti a nessuno. Soprattutto a noi stessi. Senza cerchi magici perché, in definitiva, se chiudi un cerchio il mondo, la sua straordinaria pluralità, resta semplicemente fuori.
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