Bombardati da avvertenze, ammonimenti, prescrizioni e sempre nuove regole, spesso confuse e a volte contraddittorie, tutti noi scegliamo di declinare un personale catalogo di comportamento, ridefinendo priorità, preferenze e abitudini quotidiane, inventando e componendo un nuovo Kamasutra di posture comportamentali e relazionali. Ho l’impressione che, fra paura e confusione, ciascuno si dia delle proprie regole all’interno di un universo che va dall’accettazione di ciò che sta accadendo alla sua negazione completa e quindi dalla prudenza al menefreghismo.

Ciascuno inventa per sé ciò che si può o non si può fare spostando di volta in volta il confine dei propri autodivieti. Insomma, è come se ognuno chiudesse e aprisse le porte della propria disponibilità verso gli altri e della propria autoassoluzione in una continua transazione con se stessi e con l’altro. La confusione e la paura generano o fanno venire alla luce la nostra flessibilità? Cosi si sente dire “niente più cene con gli amici, al massimo in 4 persone”, per poi scegliere il giorno dopo un bel festeggiamento di gruppo perché è il compleanno della più cara amica. Autoassoluzione, spostamento del limite vengono spiegati, in questo caso, con la mozione degli affetti.

Morire per uno spritz

Qualcun altro individua nei ristoranti il rifugio preferito degli untori e la culla naturale del virus, ma va volentieri a farsi un aperitivo in bar affollati, perché “bisogna pur vivere” e “per uno spritz si può anche morire”. C’è chi definisce le proprie frequentazioni e la propria esposizione al rischio attraverso limiti geografici: “niente cene con quelli che vengono da questa o quella regione” (e qui la discrezionalità è alla sua massima potenza).

Che si fa se arriva il cugino da un paese messo al bando dalla nostra fantasia? Si sposta il limite e si esclude un’altra regione in base a criteri del tutto personali.

Limiti diversi

Altri invece hanno stabilito dei confini molto rigidi fra luoghi chiusi e luoghi aperti. Al chiuso mai e poi mai dice quello che la sa lunga: è li che si annida il virus, all’aperto invece ci si può incontrare anche con il freddo e la pioggia, incuranti di influenze, raffreddori e polmoniti. Tant’è che qualcuno più caritatevole verso se stesso e verso gli amici, e con più mezzi, sta già pensando di istallare sulla propria terrazza quei funghi riscaldanti, come nei ristoranti.

Altri ancora si danno dei limiti generazionali: “niente bambini, veri killer inconsapevoli e soprattutto in guardia da adolescenti e da chi sta sotto i cinquanta”. Ma poi c’è il giovane nipote che chiede ospitalità, quell’altro vuole essere aiutato per un esame e poi “basta con tutti questi vecchi”. E si sposta il limite e si cercano nuovi pericoli in nuovi e diversi “untori”.

Chi va invece solo al cinema, ma ritiene i film d’autore meno pericolosi dei film di cassetta. Chi invece trova salvifiche solo le commedie che con una bella risata scacciano via tutti i morbi, ma non andrebbe mai a teatro dove insieme agli intellettuali milioni di virus e batteri viaggiano indisturbati.

Chi non frequenta quasi più nessuno ma va volentieri al cinema o al teatro “perché in quei loghi nessuno parla, tutti stanno a bocca chiusa e quindi non c’è pericolo” e poi si può vivere senza un cinema e senza spettacoli? Qualcun altro è pronto a contrattare con sé stesso la frequentazione di riunioni numerose ma si tiene in disparte e guarda sospettoso chiunque si avvicini.

Posizioni mutevoli

Le posizioni sono infinite e mutano fantasiosamente di giorno in giorno, mettendo in evidenza tutte le personali idiosincrasie, le preferenze di ciascuno. Di scientifico ovviamente non c’è nulla nelle scelte delle posizioni, delle regole e dei limiti, ma c’è molto di ognuno di noi.

Nello scegliere cosa possiamo fare o meno, sempre all’interno dell’universo accettazione o negazione della pandemia, c’è però dell’altro: ci autonominiamo sovrani di noi stessi e regalmente con una bacchetta indichiamo chi possiamo incontrare e chi no, con chi si può cenare e con chi no, cosa è ammesso al chiuso e cosa solo all’ aperto solo sulla base di nostre indiscutibili preferenze del momento o preferenze radicate che vengono finalmente alla luce.

Selezione di amici

Gli amici e conoscenti che ci annoiano o che poco amiamo ricadranno sotto il sospetto di poter essere possibili veicoli di contagio e cosi li eliminiamo senza sensi di colpa anzi con una certa allegria: cancellati dalla lista delle preferenze; chi abbiamo sempre amato consapevolmente o meno è ammesso nella nostra casa tutt’al più timidamente ma con sollecitudine gli si porge un gel disinfettante.

In questo caso però bisogna essere pronti a correre il rischio del rifiuto dell’altro che potrebbe ritenere noi poco interessanti e quindi sospetti di contagio e non meritevoli di correre alcun rischio.

Inquisitori

In questo fantasioso catalogo di divieti e autolimiti c’è però una costante: diventiamo tutti inquisitori e con maggiore o minor discrezione cerchiamo di sapere che vita fa chi vogliamo incontrare. Chi frequenta? Viaggia molto? Vive a stretto contatto con giovani scanzonati? Indossa sempre la mascherina? Non sarà andato a qualche festa?

E anche qui il perdono, l’assoluzione o la condanna è del tutto imprevedibile. Nella confusione e nella proclamata autoregolazione e sovranità individuale mutano anche le regole del saper vivere e agli inviti si risponde con la domanda “quanti siamo? Chi c’è?”. Domande inammissibili prima della pandemia.

Narcisismo fragile

Paura, diffidenza, sospetto mentre ridefiniscono qualità e quantità delle relazioni legittimano la nostra affermazione individuale. E diviene evidente quanto ognuno di noi abbia bisogno per rassicurarsi, di creare un proprio personale nemico che si ritiene alleato o emissario del grande nemico di tutti: il Coronavirus. E quindi chi lo trova negli spazi chiusi, chi nei runner, chi nei ristoranti e chi in questa o quella città o in quello lì. Chi sa perché.

In questo odierno Kamasutra insomma vengono fuori molte più cose di noi di quanto vorremmo, ingenuamente certi di star solo difendendo la nostra salute. Ma mi pare che emerga anche una confusione di criteri di scelta e di orientamento, una soggettività frammentata e arrogante al tempo stesso, un narcisismo fragile, un’identità contemporaneamente rigida e flessibile, ma soprattutto sola soletta.

Questa confusione, questa incertezza paradossalmente rendono più facile governare la propria vita, perché basta spostare limiti e confini e scegliere oggi questo domani quello andando “dove ti porta il cuore” o l’umore del momento, e per un po' si sta tranquilli mentre si canticchia una vecchia canzone di Battiato: «cerco un centro di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente».

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