«La sola strada percorribile – che finirà per essere percorsa – non è un governo espresso da una parte contro un’altra parte, ma è la creazione di una squadra di unione nazionale per affrontare i gravi problemi del nostro paese, del mondo e del pianeta».

Sono queste le parole con cui nell’agosto scorso, durante i frenetici tentativi di Emmanuel Macron di trovare la quadra del cerchio nella ricerca di un primo ministro, François Bayrou indicava un metodo per uscire dall’impasse creata dal presidente con lo scioglimento delle camere. Con la scelta di Michel Barnier, invece, Macron aveva provato ad evitare che si rimettessero in questione le scelte politiche dei suoi sette anni al potere, allo stesso tempo cercando di garantire la sopravvivenza di un governo di minoranza con un irrigidimento sui temi della sicurezza e dell’immigrazione che placasse l’estrema destra di Marine Le Pen.

Il governo Bayrou partirà

L’esperimento Barnier, come era prevedibile, si è infranto sul primo scoglio sostanziale, vittima del potere di ricatto che lo stesso Macron, con la scelta di un governo che guardava a destra, aveva consegnato su un piatto d’argento a Le Pen. Il centrista François Bayrou è ora chiamato a Matignon, cui aspira da anni, ad applicare quel metodo di compromesso e di responsabilità condivisa che mesi fa vedeva come l’unica strada possibile.

Dal punto di vista numerico, al momento non cambia nulla. Bayrou formerà un governo di minoranza, come Barnier e come i due primi ministri che si sono succeduti dopo le elezioni del 2022 (già perdute dal presidente, ricordiamolo ancora), Elizabeth Borne e Gabriel Attal. La costituzione francese, infatti, non richiede un voto di fiducia perché un governo sia pienamente operativo, per cui Bayrou potrà andare avanti fin tanto che una maggioranza non deciderà di votare una mozione di censura.

E, come per Barnier in settembre, il Rassemblement National (Rn) di Le Pen e quasi tutti i partiti di sinistra non voteranno la censura immediatamente. I socialisti si sono addirittura spinti ad impegnarsi a non votare nessuna sfiducia/censura se Bayrou dal canto suo si impegna a non far ricorso all’articolo 49,3 della costituzione che consente di far passare una legge senza voto del parlamento (e che nelle settimane scorse è costato la poltrona a Barnier). Insomma, il governo Bayrou partirà. La domanda a questo punto è: con chi? Soprattutto, per fare cosa?

In linea di principio dovremmo assistere ad un ribilanciamento, dopo l’apertura a destra fallita con Barnier. Bayrou in questi mesi ha sempre militato per una compagine di governo che andasse dalla sinistra moderata fino alla destra moderata, ed è quindi probabile che provi ad allargare il blocco che ha sostenuto Barnier (macronisti, centristi e la destra dei sarkozysti) includendo dei ministri di area socialista. Il partito socialista ha nei giorni scorsi detto che non avrebbe fatto parte di un governo il cui primo ministro non venisse dalle fila della sinistra, per cui è probabile che Bayrou cerchi dei tecnici d’area.

Sul cosa fare, le cose si complicano enormemente. Da buon centrista, Bayrou ha dei possibili punti di contatto con tutti i potenziali alleati e addirittura con il Rn. Per esempio, milita da tempo per la proporzionale ed è contrario a politiche troppo feroci sull’immigrazione, cosa che lo avvicina ai socialisti. Allo stesso tempo, come la destra, è un fautore della disciplina di bilancio e della riduzione della spesa.

Quello che rimane però inesorabilmente vuoto è l’insieme delle politiche che metterebbero d’accordo i tre gruppi (centristi/macronisti, destra e sinistra moderata), per cui è a oggi difficile prevedere se e quanto Bayrou sarà in grado di imprimere una direzione al paese o se il prezzo della sua sopravvivenza sarà di fatto un galleggiamento senza squilli.

Un ruolo fondamentale nel determinare il fato del governo sarà svolto della sinistra moderata: il partito socialista, gli ecologisti e i comunisti. Quali saranno le linee rosse che Bayrou non dovrà superare perché la sinistra non stacchi la spina?

Secondo chi scrive ci sono diversi punti programmatici del Nuovo Fronte Popolare su cui si possono accettare compromessi. Ad esempio, sarebbe ragionevole se la sinistra si accontentasse di un congelamento delle misure più controverse della riforma delle pensioni, impegnandosi di fronte agli elettori per una riforma più radicale in occasione di un futuro governo a maggioranza di sinistra.

Le linee rosse 

Il tema dirimente, per la sinistra, dovrebbe essere quello della fiscalità. La filosofia di fondo dei sette anni di macronismo è stata quella di una politica dell’offerta che avrebbe dovuto, tramite misure favorevoli alle imprese, portare ad una crescita impetuosa, a benefici per tutti (la teoria dello “sgocciolamento” per cui i regali fiscali a ricchi e imprese portano a crescita e quindi reddito più elevato per tutti), e a un risanamento delle finanze pubbliche dopate dalla crescita. Per questo, in questi mesi complicati, il centro macronista ha eretto muri contro qualunque proposta di riorientare la fiscalità verso i più benestanti.

Ma è proprio la politica dell’offerta del “presidente dei ricchi” che è stata ormai a più riprese sconfessata dagli elettori, che hanno visto poca crescita, niente “sgocciolamento” (un fenomeno spesso invocato dai politici di destra per giustificare i regali fiscali ai ricchi ma ampiamente smentito dai dati) e una voragine nei conti pubblici che oggi si chiede loro di colmare facendo dei sacrifici.

Barnier ha fatto cadere il tabù macronista dell’aumento delle entrate, ma non ne ha rimesso in questione la filosofia. Nella legge di bilancio su cui si è discusso fino alla settimana scorsa non si trattava di riorientare la fiscalità ma solo di un contributo limitato e una tantum chiesto ai più benestanti.

La sinistra dovrebbe condizionare la propria “non sfiducia” al governo Bayrou proprio ad un riorientamento della fiscalità che rompa con i sette anni di macronismo. Ancora una volta, si potrebbero accettare compromessi sull’entità di questo riorientamento, ma in nessun modo si dovrebbe accettare che esso non avvenga.

I macronisti rompano con il macronismo

È sicuro, nelle prossime settimane si moltiplicheranno gli appelli alla responsabilità; si chiederà alla sinistra di cedere per il bene del paese. È un film già visto mille volte, anche in casa nostra. Ma, per una volta, chi ha veramente a cuore la stabilità e l’uscita dall’impasse, non potrebbe rivolgere questo appello ai macronisti?

Non sono le loro politiche che non hanno funzionato e che oggi fanno di Macron il presidente più impopolare della storia? Non sono loro a dover fare un passo indietro e accettare una distribuzione più equa del peso fiscale? Forse, per una volta, l’appello ad essere responsabili dovrebbe essere rivolto al campo le cui proposte politiche sono state inequivocabilmente bocciate dagli elettori ogni volta che è stato chiesto loro di esprimersi.

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