Il governo greco nega la distribuzione di pasti caldi a chi ha ottenuto la protezione internazionale. Diverse organizzazioni sono intervenute: «Ma è la risposta a un’emergenza, le cose devono cambiare»
L’ultimo recipiente pieno di riso fumante viene impilato sul banco da lavoro insieme ad altre dozzine di contenitori. «Abbiamo bollito 120 chili di riso», dice passandosi soddisfatto una mano sulla fronte Ahmad, 26 anni, originario dell’Afghanistan, «prepariamo pasti per 2000 persone».
Siamo sull’isola di Lesbo nella cucina di Zaporeak, organizzazione basca attiva qui dal 2019, quando aveva iniziato a fornire 1200 pasti caldi ai rifugiati nella situazione disastrosa del famigerato campo di Moria. In questa palazzina sulla strada per Kalloni, non lontano da Mitilene, ogni giorno si cucina, e una squadra provvede alla distribuzione con un furgone, un impegno diventato sempre più gravoso negli ultimi due mesi e mezzo.
Dal 23 maggio infatti a Lesbo sono stati privati del diritto a ricevere pasti coloro che hanno ricevuto un rifiuto definitivo alla domanda di asilo o, al contrario, hanno visto riconosciuta la propria condizione di rifugiati ottenendo la protezione internazionale.
Esclusi
Una politica di deprivazione che già da tempo veniva applicata nella Grecia continentale. È dall’ottobre 2021 infatti che il governo greco aveva iniziato ad escludere dalla distribuzione di cibo queste persone, anche se ancora abitavano nei centri e dipendevano quindi dalle autorità. Una politica che ha messo a serio rischio la salute, affamando migliaia di persone, in una situazione critica in cui le Ong già denunciavano l’inadeguatezza del programma governativo che avrebbe dovuto fornire tre pasti al giorno e acqua potabile a tutti i richiedenti asilo.
A fine giugno le persone escluse dall’accesso al cibo a Lesbo erano oltre 500, un quarto di coloro che vivevano nel centro di Mavrovouni, l’unico al momento attivo, aperto come temporaneo nell’autunno 2020 dopo l’incendio di Moria. Ma considerando che in un mese la popolazione del centro è passata da 2000 a 3000 persone e rischia di continuare a crescere almeno per tutta l’estate, la situazione non potrà che essere sempre più critica.
«Cerchiamo di raggiungere nella distribuzione innanzitutto coloro che non hanno più accesso al cibo», spiega Jacob, field coordinator di Zaporeak, mentre dispone sul lungo tavolo di metallo al centro della sala una grande pentola piena di fagioli al pomodoro, «eseguiamo anche consegne presso altre strutture come palestre o centri comunitari, per raggiungere più persone possibile».
Nella struttura di Zaporeak si prepara ogni giorno anche il pane, che viene distribuito ancora caldo assieme alle porzioni di cibo. Il menù varia ogni giorno: «Ieri avevamo pasta al ragù, oggi riso con fagioli e carne» spiega Ahmad. È arrivato sull’isola lo scorso anno dalla Turchia, le cui coste sono così vicine che dal porto di Mitilene si distinguono i profili dei palazzi e i minareti delle città dall’altra parte del mare. Ahmad vive al centro di Mavrovouni da nove mesi e da gennaio lavora con Zaporeak insieme ad un amico: «Mi piace questa attività e soprattutto è importante in questa situazione assicurare cibo a tutti». È dopotutto anche un modo per uscire dalla realtà del centro «non sicura e terribile».
Per togliere il riso rimasto attaccato al fondo bisogna entrare con le braccia e con la testa nel grande pentolone e grattare, grattare finché non è tutto pulito. La mattinata si sta per concludere, tutti i volontari si dispongono lungo il tavolo per confezionare, scherzano mentre lavorano rapidamente riempendo i contenitori con movimenti rapidi e coordinati. «Guarda!» esclama Ahmad «uno di noi è un disegnatore, ha decorato i coperchi». Mostra un cuore, una figura buffa, una carota che salta: «Questi li consegnamo alle famiglie».
Un aiuto per l’autonomia
In una stretta strada assolata che sbocca sul mare, a pochi passi dalla fortezza di Mitilene, si apre la porta di Siniparxi. Nella grande sala fresca vi sono numerosi tavoli e un lungo bancone. «Qui offriamo una abbondante colazione», spiega Villy Tendoma Zervou, presidente dell’associazione, «vengono molte famiglie e singoli richiedenti asilo, ma è anche un’occasione per conoscersi».
Dopotutto l’associazione è nata nel 1997 proprio per favorire lo scambio e l’incontro tra culture diverse. Nel suo stesso nome – Convivenza e comunicazione nell’Egeo – è racchiusa la storia di chi nei decenni ha cercato di abbattere le barriere tra le popolazioni di lingua greca e di lingua turca, divise dalle minacce di guerra dei governi di Atene e Ankara.
L’associazione ha in fasi diverse cercato di sostenere i migranti e rifugiati che arrivavano sull’isola. Siniparxi, a differenza di molte altre associazioni attive a Lesbo, è stata creata e animata da abitanti dell’isola, e su questa terra ha forti radici. Questo la ha resa in diverse fasi un punto di riferimento, e anche nella recente crisi del cibo ha giocato un ruolo centrale.
«A fine maggio quando abbiamo saputo che centinaia di persone erano escluse dall’accesso al cibo abbiamo convocato un’assemblea per far fronte all’emergenza – spiega Villy – gran parte delle ong hanno partecipato, e abbiamo deciso di unire le forze per fare fronte alla situazione, organizzando la consegna di generi alimentari che le persone possono poi cucinare. È stato un passaggio importante perché molte organizzazioni spesso lavorano isolate, ma in questa situazione ognuno dà il proprio contributo, c’è chi si occupa della parte amministrativa, chi di reperire i prodotti, chi della distribuzione».
Dai tavolini all’ombra, oltre gli alberi, si vedono più in basso le strutture del centro di Mavrovouni, tende, container e moduli, chiuse da un’alta recinzione, in parte da un muro, strette a ridosso del mare.
«Per noi è una scelta politica quella di non lavorare all’interno dei centri», spiega Silvia Lucibello, field coordinator di Paréa, centro comunitario che a Lesbo offre spazio e supporto a numerose piccole Ong e progetti, ed è uno dei principali riferimenti per i rifugiati quando arrivano sull’isola. Le persone qui vengono per distrarsi e prendere un caffè, per seguire lezioni di inglese, per giocare a basket, per una visita all’infermeria.
Da maggio Paréa è diventato anche punto di consegna per la distribuzione dei generi alimentari promossa da Siniparxi. «Si tratta di un bisogno primario», dice Silvia, «non si possono lasciare centinaia di persone senza cibo. Consegnando prodotti alimentari cerchiamo anche di sostenere l’autonomia delle persone, che possono cucinare quello che desiderano. Ma la nostra iniziativa è una risposta a un’emergenza, non può diventare la normalità. Le cose devono cambiare».
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