Nel 2007 Veltroni aveva promesso un partito ambientalista, Zingaretti ha dedicato la sua vittoria a Greta Thunberg. Ma il Pd ha espulso le voci ecologiste e adesso è senza linea
- Enrico Letta ha in mano la chiave per rilanciare il Partito Democratico: mettere l’ecologia al centro del progetto di rifondazione permetterebbe di ristrutturarsi e motivarsi, restituirebbe identità e consenso al partito.
- Al Pd è mancata una visione: nessuno sa quale sia la sua idea per la transizione ecologica. E sono mancate le persone, gli ecologisti sono sempre stati marginalizzati. La conseguenza è la disattenzione sul territorio a questi temi.
- Le amministrative saranno il primo banco di prova per un rilancio ecologista: mentre cerca candidati, il Pd dovrebbe anche concepire un manifesto su come vede le città in un futuro decarbonizzato.
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Enrico Letta è un uomo fortunato. L'ex presidente del Consiglio è la persona chiamata d'urgenza ad aprire la porta dietro la quale si spera ci sia il Partito democratico del futuro, quello promesso da Walter Veltroni nel 2007, innovativo, inclusivo e competitivo. La sua fortuna è affrontare un rebus con la soluzione scritta sotto: l'ecologia è l'unico modo per rifondare il Pd. Non è una risposta nuova, al Lingotto già si parlava di rinnovabili e cambiamenti climatici.
«Alla fine di una Festa dell'Unità a Firenze, Veltroni ottenne l'applauso più forte quando disse che il Pd doveva diventare il più grande partito ambientalista d'Europa», ricorda Ermete Realacci, oggi presidente della Fondazione Symbola, uno dei tanti ecologisti persi per strada. Per miopia, opportunismo e mancanza di cultura il Pd non ci è andato nemmeno vicino.
Oggi è diverso: il tema non è più di retroguardia o minoritario, porta soldi, sviluppo, lavoro. L'ecologia permetterebbe da un lato di dare identità e galvanizzare una base esausta dall'idea del voto come argine alla destra e dall'altro di parlare a un pezzo di società e di economia non presidiato politicamente.
L'Italia delle imprese e dei cittadini sta cambiando, è un consenso che chiede solo di essere intercettato. I Verdi cresceranno ma sono troppo piccoli, il Movimento 5 Stelle non è abbastanza credibile.
Il Pd ha perso quest'occasione ogni volta che l'ha avuta, le circostanze gliela offrono di nuovo. Letta può riscrivere questa storia, partendo da tre cose: visione, persone, territorio.
La vaghezza di Zingaretti
Il fatto che il sindaco di Milano Giuseppe Sala sia dovuto andare dai Verdi europei a certificare il sua rilancio ambientalista è stato il sigillo del fallimento. Oggi nessuno sa con chiarezza quale sia la visione del partito sulla transizione ecologica.
Il Pd nella versione di Nicola Zingaretti ha spinto sul tema con forza e vaghezza in dosi uguali, aveva dedicato a Greta Thunberg la vittoria alle primarie, ha messo il tema in agenda ma non lo ha riempito di contenuti. «L'energia del Pd è sempre andata a cercare la sintesi di due chiese politiche, comunista e democristiana, che non avevano l'ambientalismo nel Dna», spiega Roberto Della Seta, ex responsabile Ambiente del Pd, un'altra voce smarrita in questi anni.
Il gioco delle correnti si è mangiato l'ecologia. Spinse molti ambientalisti a sostenere il Matteo Renzi innovativo della prima ora, per finire prima epurati da Pier Luigi Bersani e poi traditi da Renzi, che ambientalista non era.
Il contesto non ha aiutato la maturazione. «I partiti tradizionali riescono ad affrontare la contraddizione ambientale solo se sono costretti, Cdu e Spd in Germania sono più avanti di qualsiasi partito italiano perché hanno dovuto rispondere alla concorrenza di Grünen». Da questo punto di vista, i Verdi italiani non sono stati utili né come alleato né come pungolo, mentre in Baden-Württemberg, il grande länder industriale dove si vota oggi, governano da un decennio.
Senza più ambientalisti
Nel Pd oggi non c'è nessuna figura autorevole che possa prendere la parola sull'ambiente. Le voci ambientaliste sono state marginalizzate, ne sono la prova Della Seta e Realacci, esclusi dalle liste nel 2013 con Bersani e nel 2018 con Renzi. Stagioni diverse, stessa tendenza a non coltivare una classe dirigente ecologista.
Se il Pd non ha voce sulla transizione ecologica del governo Draghi è anche per questo motivo: non ci sono storie, profili, nomi, il Pd è ecologicamente afono.
«Devono cambiare i cervelli, non è solo un fatto generazionale», dice Della Seta, «la prima sfida di Letta è costruire un gruppo dirigente capace di esprimere un punto di vista originale e innovativo».
Non avere persone che sappiano guardare la realtà con quegli occhiali porta disfatte. Il punto di rottura sull'ambiente è il referendum sulle trivelle del 2016, quello del «ciaone» di Ernesto Carbone per il mancato raggiungimento del quorum, capolavoro di autolesionismo e mancanza di lungimiranza.
Senza dirigenti ecologisti, nessuno ha visto l'iceberg in arrivo. «Renzi si spese per farlo fallire credendo di accreditarsi con un settore dell'economia che già guardava altrove», ricorda Realacci. Renzi e Carbone sono in Italia Viva, ma in parlamento il Pd è erede di quella posizione e gli ex dem ecologisti continuano le loro battaglie altrove.
Il territorio perduto
Il terzo pezzo del discorso è il territorio. Secondo Della Seta «il primo banco di prova per Letta non è lontano: alle amministrative vedremo se la questione ambientale sarà al centro del Pd». La mancanza di una visione omogenea e di una catena di comando che facesse capo a persone autorevoli ha portato a un Pd locale disattento - per usare un eufemismo - su temi centrali, come trasporto pubblico e consumo di suolo.
Ancora una volta, non è un caso che il più attento degli amministratori locali, Sala, faccia crescere la sua visione lontano. Futuro della città, mobilità sostenibile, adattamento climatico: una gran parte della transizione ecologica si gioca sul campo urbano. Mentre cerca candidati, il Pd dovrebbe anche trovare un manifesto che dica come vede le città italiane in un futuro decarbonizzato.
«Il Letta che torna da Parigi è più avanzato di quello che lasciava il governo», ragiona Realacci. «La distanza dalle limitatezze del dibattito interno gli ha permesso di guardare con una prospettiva più ampia il mondo».
È la stessa dinamica di Draghi: non è una persona con una storia ambientalista di base, ma un uomo di mondo che non può non vedere che il mondo sta andando in quella direzione, che rimanere indietro è perdere terreno competitivo. Vale per l'Italia, vale per il Pd.
L'ambientalismo offre le due cose di cui il partito in declino ha bisogno: consenso e identità. Come dimostra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, l'ambizione climatica è un ponte tra anime diverse dentro partiti vasti e complicati, l'urgenza del tema permette di tenere insieme moderati e radicali. È un'identità per ricomporsi, ristrutturarsi e motivarsi.
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