Una legge del 1975 aveva già previsto che la contraccezione in Italia fosse gratuita, ma non è mai stata applicata. Ora l’Aifa ha proposto di farlo solo per le under 26. Così però non si colmerebbe il gap italiano rispetto ai paesi più virtuosi in Europa
In Italia le donne spendono 230 milioni di euro all’anno in pillole anticoncezionali. Il costo al mese oscilla tra i 15 e i 20 euro, pari quindi a una spesa di 180-240 euro annui a persona. Eppure, la contraccezione dovrebbe essere gratuita. Lo stabilisce la legge 405 del 1975, delegando ai consultori il compito di distribuire gratuitamente i mezzi di controllo delle nascite. Di fatto però questa legge non è mai stata applicata.
Lo scorso aprile si pensava che la situazione sarebbe cambiata. L’Aifa, infatti, aveva deciso che il Servizio sanitario nazionale avrebbe rimborsato totalmente le spese per la pillola contraccettiva, rendendola quindi, di fatto, gratuita. La decisione prevedeva un investimento di 140 milioni di euro all’anno, ma già il 24 maggio è arrivato il primo stop per motivi economici.
E qualche giorno fa il cda dell’Aifa – composto da cinque uomini – ha stabilito che la pillola sarà gratuita solo per le donne che hanno meno di 26 anni e unicamente nei consultori o in strutture pubbliche. Manca solo la ratifica finale con una delibera dello stesso cda per rendere la norma definitiva, ma la decisione ha già ricevuto il parere positivo da parte della conferenza delle regioni.
Oltre a ridurre drasticamente il numero di donne che possono beneficiare dell’incentivo, sussistono anche problemi legati ai luoghi in cui sarà possibile reperire il medicinale gratuitamente.
Inizialmente, infatti, il progetto coinvolgeva le farmacie. Ma con la controproposta saranno solo i consultori e le strutture pubbliche a occuparsi della distribuzione. Questo aspetto rappresenta un limite se si considera che in Italia, secondo l’Indagine nazionale sui consultori familiari 2018-2019, c’è un consultorio ogni 35mila residenti, il 60 per cento in meno di quanti ne servirebbero e un numero al di sotto della legge 34 del 1996, che ne prevede uno ogni 20mila abitanti.
Negli anni c’è stato un forte depotenziamento. Secondo l’organizzazione non governativa Aidos, nel 1993 se ne contavano 2.735, mentre nel 2016 erano appena 1.944. Inoltre, nei consultori spesso si registrano alte percentuali di personale obiettore di coscienza, che in alcuni casi rende più difficile l’accesso alla contraccezione.
La situazione in Italia
In alcune regioni italiane la pillola contraccettiva è già gratuita per alcune fasce della popolazione. La Puglia è stata la prima, nel 2008, a dare la possibilità di accesso gratuito ai contraccettivi ormonali sulla base del reddito o di determinate caratteristiche, ad esempio alle donne che hanno effettuato un’interruzione di gravidanza.
Poi sono arrivate Emilia-Romagna, Piemonte, Toscana, Lombardia, Marche, provincia autonoma di Trento e, più recentemente, Lazio. In tutti i casi, può accedere alla convenzione solo chi rientra in specifiche categorie, solitamente stabilite dall’età, dal reddito o da condizioni particolari come stato di disoccupazione, cassa integrazione, richiedenti asilo, donne arrivate dall’Ucraina, studentesse universitarie.
È sicuramente un incentivo che favorisce l’uso degli anticoncezionali, tanto che tre di queste regioni occupano i primi posti per l’accesso ai contraccettivi in Italia. In testa alla classifica, stando ai dati dell’Atlas italiano sull’accesso alla contraccezione del 2020, ci sono Emilia-Romagna, Toscana e Puglia, che registrano indici dell’88, 81 e 72 per cento. Al fondo, invece, ci sono Abruzzo, Molise e Sicilia, con valori pari al 41, 34 e 33 per cento.
La situazione in Europa
Se paragonato agli altri stati d’Europa, l’accesso alla contraccezione in Italia incontra molti ostacoli. Secondo il Contraception policy atlas Europe 2023, l’Italia si colloca esattamente a metà della classifica europea, al 23esimo posto, con un punteggio pari al 57,3 per cento, in compagnia di Serbia, Kosovo e Lituania e nettamente distante dagli altri stati dell’Europa occidentale.
La classifica è stilata sulla base della possibilità di accesso ai metodi contraccettivi, incentivi, rimborsi e disponibilità di informazioni online. Il risultato italiano è peggiorato rispetto al 2020, quando aveva ricevuto un punteggio complessivo di 59,3 per cento. La posizione dell’Italia è determinata dalla mancanza di forme di distribuzione gratuita o di rimborso esteso a livello nazionale. Inoltre, le informazioni sul costo dei contraccettivi sono insufficienti e i costi sono molto elevati rispetto alla media.
Il prezzo della contraccezione orale varia da paese a paese. In Francia una donna per un blister mensile spende 1 o 2 euro, un decimo della spesa in Italia per un medicinale equivalente. In Spagna il costo medio si aggira intorno ai 6 euro al mese, che diventano circa 8 nel Regno Unito, 7 in Lettonia e tra i 4 e i 10 euro in Polonia.
Oltre alla spesa decisamente più bassa di quella italiana, la differenza sta anche nelle convenzioni e nei rimborsi. In Francia i contraccettivi ormonali sono gratuiti fino ai 25 anni e alle donne che non rientrano in questa fascia d’età viene rimborsato circa il 65 per cento del costo della contraccezione. Non stupisce che il paese si trovi al secondo posto su 46 stati europei nel Contraception policy atlas Europe 2023.
In testa alla classifica c’è il Regno Unito, che a luglio 2021 ha reso disponibili alcune pillole contraccettive anche senza prescrizione medica. Inoltre, prevede rimborsi per le donne sotto i 26 anni e per chi appartiene a categorie ritenute fragili, come le disoccupate.
Dopo Regno Unito e Francia, ci sono Belgio, Lussemburgo, Svezia e Irlanda. I primi tredici paesi della classifica prevedono convenzioni sulla base dell’età e la maggior parte, esclusi Svezia, Germania e Norvegia, tiene in considerazione anche fattori economici come lo stato di disoccupazione o un reddito basso. Al fondo, invece, Polonia, Bosnia-Erzegovina e Ungheria, dove è molto difficile accedere alla contraccezione.
Secondo il Centre for reproductive rights, Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Grecia, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna e Regno Unito sovvenzionano completamente o quasi le spese per la contraccezione. In Slovenia, la pianificazione familiare si considera un diritto umano fondamentale, inserito nell’articolo 55 della Costituzione. Anche in Danimarca è «parte integrante del servizio sanitario nazionale», secondo la legge fondamentale dello stato.
Quando la norma italiana entrerà in vigore porterà un miglioramento rispetto alla situazione attuale. Ma lascerà l’Italia, comunque, indietro rispetto ai paesi più virtuosi d’Europa. Negli stati in cui la pillola è gratis o ha costi molto contenuti ci sono stati benefici importanti anche sul piano del numero di aborti.
Tra le adolescenti francesi tra i 15 e i 18 anni, infatti, il tasso annuo di interruzioni volontarie di gravidanza è sceso da 9,5 per ogni mille ragazze nel 2012 a 6 nel 2018. Un risparmio anche sul piano economico, se si considera che in Italia ogni interruzione volontaria di gravidanza, secondo il rapporto “I costi di applicazione della legge 194/1978”, costa allo stato tra i 726 e i 1.140 euro.
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