È sbagliato e irrilevante criticare la politicità di uno sciopero generale. In una (in)certa misura tutti lo sono, riguardano la polis, sono indirizzati contro l’atto politico più importante di qualsiasi governo: la legge finanziaria che stabilisce assegnazione e distribuzione delle risorse disponibili. Più opportuno e più significativo sarebbe metterne in evidenza la problematicità e le criticità, chiedendo ai sindacati di individuare modalità innovative più efficaci e feconde
Chiunque ritenga che è importante, doveroso, giusto migliorare le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori dipendenti è obbligato a chiedersi se lo sciopero, e ancor più uno sciopero generale, sia lo strumento più adeguato ed efficace per conseguire l’obiettivo.
CGIL e UIL hanno scelto come indicatore di successo l’alta adesione dei lavoratori, all’incirca il 70 per cento. Lamentando la non partecipazione allo sciopero della CISL, interpreto il dato come segno di una buona relazione identitaria fra i lavoratori e i due sindacati CGIL e UIL. Che sia stato anche conferito a Maurizio Landini il mandato di «rivoltare l’Italia come un calzino» mi pare più problematico sostenerlo.
Se uno sciopero di questo genere venisse interpretato come la premessa, ancora nelle parole del segretario generale della CGIL, di una «rivolta sociale» di cui l’Italia avrebbe bisogno, sarei, certamente non da solo, molto preoccupato. Nessuna democrazia ha mai bisogno di una rivolta sociale, che è qualcosa da lasciare, forse auspicandola, ai regimi autoritari, ma con frasi come questa si alimentano illusioni che sfoceranno malamente in delusioni. Non è del tutto fuori luogo, in questi tempi di brutte guerre, ricordare con le parole di un grande sociologo, Alessandro Pizzorno, che negli anni settanta frange di terrorismo rosso furono espressione di un surplus di militanza anche sindacale.
Che lo sciopero è un diritto costituzionalmente previsto e garantito è persino fastidioso sentirlo ripetere da coloro che, poi, si affrettano ad aggiungere che deve svolgersi nel rispetto di alcuni criteri prestabiliti e soprattutto che va criticato quando è politico. In una (in)certa misura tutti gli scioperi, specialmente se generali, sono politici, vale a dire riguardano la polis, la comunità sociale e politica, e la coinvolgono.
Infatti, quegli scioperi, come nel caso in discussione, sono indirizzati contro l’atto politico più importante di qualsiasi governo: la legge finanziaria che stabilisce l’assegnazione e la distribuzione delle risorse disponibili. Sbagliato, dunque, e irrilevante, criticare la politicità di uno sciopero generale. Più opportuno e molto più significativo metterne in evidenza la problematicità e le criticità.
Come molti sindacalisti sono da tempo acutamente consapevoli, lo sciopero generale è una ultima ratio. Dovrebbe essere attuato quasi esclusivamente quando tutte le altre modalità di azione e di intervento sono state esperite e sono state rigettate, per di più senza essere state prese in seria considerazione dal governo e dai suoi ministri e forse neppure dall’opposizione.
Certo l’attuale governo non è propriamente amico dei sindacati e non particolarmente interessato ai lavoratori dipendenti. Molti sono i contratti di lavoro scaduti da tempo e non ancora rinnovati sui quali fare leva con la protesta e la proposta, dentro e fuori il parlamento. Quantomeno è ipotizzabile che i sindacati non abbiano saputo esercitare le pressioni più opportune sul ministro del lavoro mettendo in campo i loro rappresentanti e i loro consulenti.
La pratica dell’obiettivo, vecchia, ma incisiva terminologia, è da riprendere in seria considerazione. Sicuramente, è meno luccicante dello sciopero, ma, altrettanto sicuramente, è più promettente. Consentirebbe di mettere in piena luce le inadempienze del governo, della Confindustria, dei datori di lavoro. Fornirebbe informazioni utili e abbondanti all’opinione pubblica. Potrebbe persino contribuire a reclutare nuovi iscritti che sentissero il sindacato più vicino ai loro interessi e alle loro necessità e condizioni di vita.
Una sponda acritica
Opposizioni frammentate e, in verità, incapaci di andare oltre qualche proposta specifica, peraltro, assolutamente condivisibile, come il salario minimo, più fondi alla sanità e all’istruzione, non sanno offrire altro che una sponda acritica ai sindacati che, spesso, a loro volta, non sanno se e come interloquire con quelle opposizioni. Le opposizioni in Parlamento non sono certamente la cinghia di trasmissione di sindacati divisi anche sulle proposte. Ma qualche forma di interazione non occasionale e di coordinamento di proposte e di azioni è non solo auspicabile, ma fattibile purché perseguita nella chiarezza e con concretezza.
L’unica informazione vera che uno sciopero generale comunica al governo, alle opposizioni, all’opinione pubblica è, nel migliore dai casi, lo stato di insoddisfazione dei lavoratori che vi partecipano. Può essere un punto di partenza, e lo vedremo. Però, rimane legittimo e particolarmente opportuno chiedere ai sindacati e ai loro dirigenti, da un lato, di riflettere sull’utilità dello sciopero, dall’altro, di individuare modalità innovative più efficaci e feconde dello sciopero generale e anche degli scioperi settoriali. Fin d’ora.
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