In lista al Sud spunta Filippo Mancuso, già rinviato a giudizio per truffa. Sull’autonomia la maggioranza calpesta le regole della democrazia
Come un ciclone l’effetto-Vannacci sulle liste della Lega si è subito fatto sentire. Ma non nel senso sperato da Matteo Salvini. Appena è stata annunciata la notizia della candidatura del generale alle europee sotto le insegne leghiste, le tensioni si sono moltiplicate e molti potenziali candidati si sono irrigiditi. Prendendosi un supplemento di riflessione sulla loro presenza in lista.
La frustrazione è montata in particolare al Nord tra i “portatori di voti”. Quei profili che sarebbero scesi in campo per dare una mano al partito e raggranellare preferenze sui territori. Al di là delle effettive speranze di strappare il seggio. Alla fine Salvini sta trovando la quadra, ma con più fatica del previsto e dovendo gestire una cascata di malumori, che hanno trovato sfogo nelle dichiarazioni dell’ex ministro e attuale vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio: «Voterò per altri candidati della Lega», ha messo agli atti.
Intenzione che fa il paio con quella di Massimiliano Fedriga, presidente della regione Friuli Venezia-Giulia. «Voterò per i candidati del mio territorio (Anna Maria Cisint, Stefano Zannier e Elena Lizzi, ndr)», ha detto salomonicamente. «Candidiamo dall’onorevole Patriciello – che ha sostenuto Ursula von der Leyen per 5 anni – a Vannacci. Speriamo di candidare anche qualcuno della Lega…», ha annotato con sarcasmo Paolo Grimoldi, voce critica ed ex segretario leghista in Lombardia. Vannacci non sembra toccato dalla questione: «Problemi loro», ha sentenziato.
Del resto lo stesso segretario leghista ha messo il silenziatore ai borbottii della base. Anzi lo raccontano come «gongolante» per la prova di forza e l’arruolamento del generale, che considera un campione di preferenze. Il leader della Lega vuole rintuzzare con i fatti e rivendicare l’approvazione dell’autonomia differenziata. L’obiettivo resta un primo via libera a stretto giro, come da calendario della Camera, in tempo per la campagna elettorale delle europee. Sono stati ignorati i suggerimenti dei dirigenti, che gli spiegavano come, con Vannacci, si stia portando in casa un competitor per la guida del centrodestra. Il più tradizionale dei cavalli di Troia.
Liste controverse
L’autore del libro Il mondo al contrario non è un tipo disposto a fare da portatore d’acqua a Salvini, tanto da aver chiesto e ottenuto – per sua ammissione – il posto da capolista nel Centro e la candidatura in tutt’Italia. Soprattutto ha tenuto a precisare il suo carattere da indipendente. La Lega è un taxi per pesarsi politicamente e ottenere un euroseggio. Nulla di più. L’affaire-Vannacci ha ingolosito addirittura il fondatore della lista Libertà, il sindaco di Taormina Cateno De Luca, che ha svelato un retroscena o presunto tale: «Vannacci mi aveva chiesto di essere candidato in tutta Italia. Gli ho detto di no».
L’immagine è quella di un profilo intenzionato a trovare la soluzione ideale per mettersi al centro della scena politica. A dispetto pure dell’inchiesta aperta sul suo conto dalla procura militare con le ipotesi di reato di peculato e truffa: avrebbe percepito indennità e benefit che non gli spettavano.
Ma alle europee è in buona compagnia. Salvini salta a piè pari le singole situazioni giudiziarie. Se da un lato bersaglia Ilaria Salis, candidata da Alleanza verdi sinistra sotto processo a Budapest, nelle liste inserisce nella circoscrizione Sud, Filippo Mancuso, presidente del Consiglio regionale in Calabria, rinviato a giudizio nell’ambito del procedimento “Gettonopoli”. Insieme ad altre 28 persone è accusato di aver percepito indebitamente i gettoni di presenza per le sedute delle commissioni nel Consiglio comunale di Catanzaro, quando ricopriva quella carica.
Nel mosaico delle liste della Lega, nella circoscrizione Centro figura Davide Bordoni, indagato per «finanziamento illecito» in un’inchiesta sul pagamento di un locale per una cena elettorale. «Il conto è stato saldato con bonifico», garantisce il legale di Bordoni, uomo forte della Lega nella capitale e fresco di dimissioni dal Consiglio comunale di Roma proprio per la corsa verso l’Europa. In attesa dell’esito delle indagini, il leghista romano veste il triplo ruolo di candidato, consulente di Salvini a palazzo Chigi (per 40mila euro lordi all’anno) e amministratore unico (al momento con rinuncia al compenso) della Ram spa, società del ministero delle Infrastrutture. Guidato da Salvini.
Autonomia autoritaria
Ma Salvini tira dritto. È tornato sulla ruspa come ai vecchi tempi. Così a Montecitorio prosegue a colpi di forzature il cammino dell’autonomia differenziata dietro i diktat di Roberto Calderoli, sponsor della riforma, e grazie alla stampella di Forza Italia.
Il presidente della commissione Affari costituzionali, il forzista Nazario Pagano, calpestando il buonsenso, ha fatto votare nuovamente l’emendamento del Movimento 5 stelle, approvato mercoledì scorso a causa dell’assenza dei deputati leghisti durante il voto. La maggioranza era finita sotto, in maniera clamorosa, cambiando il contenuto del testo con la soppressione della parola «autonomia» nell’articolo 1. Un rovescio negato dal centrodestra, che non ha validato l’esito di quel voto in commissione.
Pagano ha così abdicato alle pretese leghiste, sconfessando la richiesta di approfondimento proveniente dai presidenti di regioni del Sud, in primis Roberto Occhiuto dalla Calabria. Come prevedibile l’emendamento è stato respinto nella votazione-bis tra le proteste delle opposizioni. «È la dittatura della maggioranza. Se tutte le volte che l’esito del voto non piace, si ripete la votazione, vengono meno le regole basilari della democrazia», ha accusato la deputata del Pd, Simona Bonafè.
Il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ha tentato di metterci una toppa e ha promesso un supplemento di tempo per la discussione generale in aula, prevista per lunedì. Un pannicello caldo appoggiato sulla torsione autoritaria della destra. Con la Lega che trascina Forza Italia.
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