A Bucarest si è parlato di una guerra dei giudici alla “democrazia legislativa”. Una lettura piace a tutte le destre, al governo o in procinto di andarci. Il leader rumeno Georgescu ha definito la sentenza della corte un “colpo di stato ufficiale”
L’est del vecchio continente ci offre ogni giorno notizie da prima pagina. In Georgia come in Romania la ragione del confronto prende forme chiare, due strade secano le rispettive opinioni popolari: una porta verso l’Unione europea e l’altra porta verso la Russia.
Fino a quando le due parti del continente erano cooperative, la biforcazione restava sottotraccia. Oggi, dopo l’invasione russa dell’Ucraina e la guerra aperta tra le due parti dell’Europa, quel conflitto ha una ricaduta immediata nella politica. In tutta l’Europa, ad est come ad ovest.
Dall’inizio della guerra, due paesi tradizionalmente neutrali, la Finlandia e la Svezia, hanno chiesto e ottenuto di entrare ufficialmente nella Nato. In Italia, si è parlato di annessione da parte della Nato. Esempio di mala informazione. E proprio sulla manifattura dell’opinione si è consumata l’ultima tensione tra le due Europe, questa volta in Romania, un paese che è già parte della Unione europea e della Nato.
La cronaca politica parla di elezioni in corso (al primo dei due turni previsti per la rielezione del presidente) annullate dalla Corte costituzionale perché falsate da interferenze straniere dirette. Ha scritto Inou Ilascu su Blipingcomputer.com che secondo i servizi segreti rumeni l'”infrastruttura elettorale” è stata presa di mira da oltre 85.000 attacchi informatici. Gli infiltrati hanno ottenuto le credenziali di accesso ai siti web legati alle elezioni e le hanno diffuse su un forum di hacker russi a meno di una settimana dal primo turno delle elezioni presidenziali.
Lo scopo di questa scorreria piratesca era promuovere il candidato filo Putin alla presidenza Calin Georgescu. Alcuni commentatori hanno profilato uno scenario cospiratorio per cui l’Occidente si sarebbe servito della Corte costituzionale di Bucarest.
Giudici in guerra?
Si è parlato di una guerra dei giudici alla “democrazia legislativa”. Una lettura che converge con quella che Orbán ha riesumato dai polverosi libri di Carl Schmitt, e che situa la democrazia nel plebiscito popolare (il potere della maggioranza) e il liberalismo nelle regole e procedure che lo limitano; ovvero, il sistema costituzionale contaminerebbe la democrazia, che è diretta espressione dell’unità della volontà sovrana.
Questa lettura piace a tutte le destre, al governo o in procinto di andarci. Il leader rumeno Georgescu ha definito la sentenza della corte un “colpo di stato ufficiale”. La prova di giudici corrotti che si difendono con la censura della volontà del voto. Come in Italia e come negli Stati Uniti: il vangelo della destra viaggia sull’appello populista al Popolo-Uno contro la divisione dei poteri, i controlli di costituzionalità, le garanzie delle libertà. La destra si proclama veramente democratica, contro l’establishment identificato con le regole e le istituzioni.
La prima uscita pubblica di Elon Musk dopo le elezioni americane ha preso di mira il sistema italiano attaccando i giudici che impedivano (in base ad una legge europea e italiana) il sequestro e la reclusione in Albania dei migranti. Il popolo rappresentato da chi ha la maggioranza ha il potere assoluto. Tutto il resto è ostacolo.
Una visione primitiva e autoritaria di democrazia che ci riporta alla mente la crisi della Repubblica di Weimar (1919-1933). Siamo di fronte ad un problema simile, anche se possiamo sperare che ottant’anni di democrazia costituzionale non siano passati invano.
Dalla Seconda guerra mondiale, la democrazia nella quale viviamo non è come una mela tagliata in due, qua il parlamento e là le istituzioni di controllo. Non è un armistizio tra due nemici. La democrazia o è costituzionale o non è.
L’espressione “liberal-democrazia” è ingannevole, perché lascia intendere che nella parte sinistra ci stanno i diritti e la divisione dei poteri e nella parte destra ci sta il potere della maggioranza e della volontà popolare. Questa frattura non ha mai fatto un buon servizio alla democrazia effettiva ed è ideologica. Quelli che sembrano espedienti tecnici e formali per domare il volere del popolo sono le regole che garantiscono l’espressione libera e pubblica delle opinioni dalle quali proviene la volontà popolare.
Le norme costituzionali sono strumenti sostanziali per la democrazia che si impegna a difendere e riprodurre sé stessa nel tempo, e cioè il principio di eguale libertà politica di tutti e ciascuno. Nessuna parte della società può dire di rappresentare il “Popolo” e usare il potere aritmetico per castigare o escludere chi ha perso le elezioni e quindi dominare l’intera società.
Quel che gli autoritari chiamano democrazia del popolo, non è che il potere di una parte che si intesta la rappresentanza dell’intero popolo, mettendo in discussione insieme alla costituzione l’eguale libertà politica.
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