- Quello messo sul tavolo dal ministero degli Esteri non è un piano di pace, ma una serie di proposte che segnalano comunque l’urgenza della Cina di fermare il conflitto fra Russia e Ucraina
- Intanto, però, sui media Pechino continua a essere accusata di voler fornire armi a Putin. Lo Spiegel scrive che un’azienda starebbe producendo in massa droni kamikaze destinati ai russi
- La Cina non vuole trovarsi isolata, ma allo stesso tempo attacca le sanzioni “unilaterali” che hanno colpito Mosca. E prova così a rafforzare la sua leadership tra i paesi emergenti
L’iniziativa diplomatica presentata ieri da Pechino è stata accolta in occidente con scetticismo e nuove indiscrezioni su presunte forniture di armi cinesi alla Russia. Quello messo sul tavolo dal ministero degli esteri non è un piano di pace, ma una serie di proposte che segnalano comunque l’urgenza della Cina – che pure non ha mai condannato l’invasione dell’Ucraina – di fermare un conflitto che rischia di allargarsi.
Ai primi due punti della Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina figurano il «rispetto della sovranità di tutti i paesi», dunque anche dell’Ucraina, e «l’abbandono della mentalità da Guerra fredda», che include la tutela degli «interessi e delle preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi», Russia compresa. Subito dopo, la proposta di cessate il fuoco e dell’avvio di negoziati, «l’unica soluzione efficace per porre fine alla crisi ucraina».
Più il conflitto in Ucraina va avanti, più la Cina rischia di scivolare in un blocco anti-occidentale nel quale la seconda economia del pianeta – che dipende dall’importazione di materie prime e dall’esportazione di manufatti – non può permettersi di finire prigioniera. Non a caso tra i 12 punti c’è anche l’invito a «tutte le parti a garantire la stabilità delle catene di approvvigionamento industriale e a opporsi alla politicizzazione e all’utilizzo dell’economia mondiale come un’arma».
Prigionieri della linea di Xi
Pechino però non esce dal suo schema della “neutralità filo-russa”, anche perché, fin quando entrambi i regimi si sentiranno minacciati dagli Stati Uniti, la quasi-alleanza Pechino-Mosca che ha preso forma negli ultimi dieci anni su impulso di Xi e Putin è destinata a rimanere salda, e addirittura a rafforzarsi nel caso esplodessero le tensioni nel Pacifico, ad esempio su Taiwan.
Il position paper in 12 punti pubblicato ieri ribadisce l’opposizione della Cina sia all’impiego di armi nucleari sia di sanzioni unilaterali contro la Russia. Evidenti le critiche all’amministrazione Biden, che i media di stato in questi giorni accusano apertamente di soffiare sul fuoco: «Tutte le parti devono rimanere razionali ed esercitare moderazione, evitare di alimentare il fuoco e aggravare le tensioni e impedire che la crisi si deteriori ulteriormente o addirittura vada fuori controllo».
La leadership di Pechino prova dunque ad accreditare la Cina come “potenza responsabile” che cerca la pace, diversamente dagli Stati Uniti, accusati di sostenere una soluzione militare per cercare di sconfiggere la Russia.
Ma, proprio in coincidenza con la mossa di Pechino, lo Spiegel ha rivelato che la cinese Xi’an Bingo Intelligent Aviation Technology starebbe producendo in massa droni kamikaze da inviare alla Russia. La stessa azienda – secondo una fonte anonima citata dal settimanale tedesco – vorrebbe anche impiantare una fabbrica di droni in Russia. L’azienda (tra le più avanzate del settore in Cina) ha replicato di «non aver alcun contatto commerciale con la Russia». Le compagnie cinesi dell’aerospazio sono tutte collegate al governo, senza l’avallo del quale un un simile traffico in tempo di guerra sarebbe impossibile. E quella dello Spiegel è soltanto l’ultima di una serie di indiscrezioni rilanciate negli ultimi mesi, tra gli altri, dal Financial Times e dal Wall Street Journal (tutte non circostanziate), che denunciano il passaggio di droni dalla Cina alla Russia, attraverso paesi terzi. E proprio sugli aerei senza pilota ha puntato l’attenzione il dipartimento di stato Usa, che negli ultimi giorni ha ripetuto più volte che Pechino «potrebbe avere l’intenzione» di vendere armi alla Russia.
«Basta sanzioni»
Pechino però attacca le sanzioni “unilaterali”, statunitensi ed europee, che hanno colpito Mosca e prima ancora la Cina, per la repressione del movimento pro-democrazia a Hong Kong e dei musulmani della regione del Xinjiang. E prova così a rafforzare la sua leadership tra quei paesi emergenti i cui regimi invocano un’interpretazione fondamentalista dei principi di non ingerenza e di sovranità, secondo la quale il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà non dovrebbe essere soggetto in alcun modo a scrutinio esterno. L’occidente, secondo Pechino, dovrebbe «smettere di abusare delle sanzioni unilaterali e della “giurisdizione a braccio lungo” contro altri paesi, in modo da fare la sua parte nell’attenuare la crisi ucraina e creare le condizioni affinché i paesi in via di sviluppo possano far crescere le loro economie e migliorare la vita della loro gente».
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