- Attivisti, giornalisti, oppositori politici e disertori dell’esercito russo rappresentano la maggioranza di coloro che dall’inizio della guerra in Ucraina stanno lasciando la Russia.
- Il flusso dei dissidenti si concentra tra Europa e Asia centrale, ma l’assenza di una politica europea comune di accoglienza, le restrizioni in vigore e le difficoltà economiche rendono la fuga difficile.
- Organizzazioni non governative e comunità nate su iniziativa degli oppositori di Putin che sono riusciti a stabilirsi all’estero sono diventate tra i principali luoghi di rifugio per i dissidenti. L’articolo fa parte del nuovo numero di Scenari: “La piazza e il regime”, in edicola e in digitale da venerdì 16 dicembre.
Con l’inizio della guerra in Ucraina, per attivisti e oppositori politici di Putin abbandonare la Russia per sfuggire alla repressione è diventato più complicato. A cavallo tra Europa e Asia centrale, organizzazioni non governative e comunità nate su iniziativa di dissidenti riusciti a fuggire sono diventate punti di rifugio per molti profughi russi.
Il progetto Kovcheg
«La maggior parte dei richiedenti aiuto sono cittadini che subiscono persecuzioni da parte delle autorità russe per motivi politici, di affiliazione religiosa, orientamento sessuale o identità di genere», spiega uno degli avvocati di Kovcheg, il progetto fondato da oppositori del regime di Mosca che offre supporto legale, psicologico e alloggio temporaneo a chi fugge dal paese. «Dopo l’inizio della mobilitazione in Russia, è comparsa una categoria di cittadini che non vogliono prendere le armi. Con l’introduzione di restrizioni sui visti da parte dell’Unione europea e degli Stati Uniti, questi cittadini si sono ritrovati fuorilegge due volte: sia in Russia che nei paesi in cui stanno cercando di fuggire», continua l’avvocato.
Secondo una delle fondatrici di Kovcheg, Anastasia Burakova, avvocata per i diritti umani presso l’Open Russia human rights team ed ex presidente dell’organizzazione civica Open Russia, chiusa nel maggio 2021 a causa delle pressioni governative, a Kovcheg fanno riferimento circa 400mila persone tra cittadini comuni e dissidenti politici. Tra loro c’è Svetlana Utkina, sostenitrice del partito di opposizione russo di Alexei Navalny ed ex deputata municipale di San Pietroburgo, fuggita in Finlandia a maggio dopo essere stata detenuta e picchiata dalla polizia per aver preso parte alle proteste contro il regime.
Racconta Utkina: «Ho ottenuto il visto con relativa facilità, perché ho fatto richiesta per tempo. Ma so che molti colleghi e amici che non hanno fatto domanda fin dall’inizio della guerra si sono trovati in una posizione difficile. La legislazione è cambiata, molti paesi europei hanno chiuso le frontiere». Proprio come la Finlandia, che insieme ai Paesi Baltici, alla Polonia e alla Repubblica ceca ha vietato l’ingresso con i visti turistici Schengen e imposto restrizioni di accesso ai cittadini russi. Se i leader di Finlandia, Estonia e Lettonia si sono espressi molto negativamente rispetto alla possibilità di accettare i migranti in arrivo nei loro confini, il presidente ucraino Zelensky in un’intervista al Washington Post ha definito la chiusura dei confini ai russi come la più importante delle sanzioni, per impedire l’annessione di ulteriori territori.
Il caso TV Rain
Di fronte alle conseguenze politiche e migratorie dell’invasione in atto, i paesi dell’Europa orientale che da tempo accolgono e supportano i dissidenti russi mostrano qualche segno di tensione. È il caso della Lettonia, dove il Consiglio nazionale dei media elettronici ha revocato la licenza di trasmissione a uno dei maggiori canali televisivi indipendenti russi, TV Rain, perché considerato una minaccia per la sicurezza nazionale. TV Rain si era trasferita in Lettonia dopo che il governo russo aveva accusato l’azienda di diffondere «informazioni deliberatamente false sulle azioni del personale militare russo» in Ucraina. Dopo la messa in onda di un servizio controverso e una multa da 10mila euro, il Consiglio nazionale lettone ha deciso di vietare alla rete russa di trasmettere via cavo e prevede anche di bloccare l’accesso al suo canale YouTube nel paese.
La revoca della licenza ha innescato un dibattito sul reale orientamento politico dei giornalisti russi liberali emigrati nei Paesi Baltici e sulla posizione della Lettonia nei confronti della minoranza russa che la abita, ma è anche stata oggetto di dure critiche da parte della testata russa indipendente Meduza, anch’essa a Riga per sfuggire alla censura del Cremlino: «Anche se è stata presa in modo del tutto legale, la decisione del Consiglio nazionale è anche un regalo alle autorità russe. Bloccando TV Rain, i funzionari lettoni stanno praticamente aiutando il Cremlino nella completa distruzione dell’infrastruttura dei media indipendenti russi».
La linea dell’Ue
L’Ue, intanto, cerca di trovare una linea comune sugli ingressi e alza il livello delle barriere. A inizio settembre, il Consiglio dell’Unione europea ha infatti sospeso l’accordo di facilitazione del rilascio dei visti in vigore con la Russia dal 2007 stabilendo un aumento del costo della richiesta dei visti da 35 a 80 euro e un allungamento considerevole dei tempi di attesa. Nelle settimane successive al divieto, nonostante il numero dei fuggitivi dalla Russia sia cresciuto in corrispondenza dell’annuncio della mobilitazione parziale del 21 settembre, i dati Frontex dicono che gli arrivi in Europa sono ampiamente diminuiti.
Di fronte alle limitazioni attive in Europa, tra cui il divieto di voli diretti da e per la Russia, molti cittadini russi trovano comunque il modo di entrare nell’Unione europea attraverso scali e viaggi via terra. I rischi e le difficoltà però sono all’ordine del giorno. È il caso dei disertori intervistati, idonei alla mobilitazione, ma fuggiti per evitare le armi e l’arruolamento forzato. Dopo aver lasciato il paese, le loro richieste di visto sono state rifiutate da Grecia, Ungheria e Romania, e attualmente alcuni di loro sono costretti a muoversi illegalmente all’interno dell’Unione europea con le poche risorse rimaste.
Eppure il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite (Unhrc) ha incoraggiato gli stati a considerare la concessione dell’asilo a quegli obiettori di coscienza al servizio militare che hanno un fondato timore di persecuzione nel loro paese di origine, a causa del loro rifiuto di prestare il servizio militare, mentre Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ha preso posizione dicendo che l’Unione europea deve mostrarsi «aperta nei confronti di chi non vuole essere strumentalizzato dal governo russo».
Richieste di visto
In difficoltà o addirittura impossibilitati ad arrivare in Europa, molti russi in fuga trovano sostegno e ospitalità in Turchia e nei paesi dell’Asia Centrale, dove il visto non è richiesto. In Turchia, la giornalista e attivista ambientale Yulia Ildarovna Fayzrakhmanova ha accolto per alcuni mesi decine di intellettuali e giornalisti di opposizione che come lei hanno difficoltà legali ed economiche nel raggiungere l’Unione europea. Ma restare in Turchia per loro non è sicuro, dice la giornalista. «Con la mia famiglia abbiamo fatto domanda per un visto umanitario in Polonia, il processo è in corso da tre mesi e finora non c’è stato alcun risultato. Tra chi vuole entrare in Europa perché perseguitato, la maggior parte non ha visti né soldi e non riesce a fare domanda. Ora è diventato troppo difficile, ma bisogna capire che i veri attivisti politici e contro la guerra sono persone che hanno perso tutto in Russia a causa delle persecuzioni».
In assenza di una politica europea comune sull’accoglienza, anche per chi è riuscito ad arrivare in Europa ottenere un permesso di soggiorno è spesso una difficoltà insormontabile. Tuttavia, grazie a specifici programmi umanitari nazionali e al lavoro di lobbying di alcune Ong per i diritti umani, ci sono paesi europei che stanno accogliendo un gran numero di rifugiati, come la Germania.
Minoranze Lgbtq+
Quarteera è un’organizzazione no profit con sede a Berlino che supporta i diritti Lgbtq+ rivolgendosi in particolare a persone russofone, è attiva dal 2016 e dall’inizio della guerra accoglie persone queer provenienti da Russia e Ucraina. La sua coordinatrice, Svetlana Shaytanova, dice che quello umanitario è un tipo di visto molto raro da ottenere: «Con l’inizio della mobilitazione parziale, siamo riusciti a stabilire una collaborazione con il ministero degli Affari interni che ci ha permesso di far approvare quaranta visti umanitari per attivisti e famiglie queer con bambini provenienti dalla Russia, ma altri sono ancora in attesa di riceverlo. Con l’introduzione della nuova legge discriminatoria contro la cosiddetta propaganda Lgbtq+, però, le difficoltà per gli attivisti e le organizzazioni queer in Russia aumenteranno».
Mentre l’emorragia di profughi russi non sembra fermarsi, cresce la necessità di risposte chiare da parte delle istituzioni europee rispetto al loro destino. Voci isolate, come quella dell’europarlamentare Sergey Lagodinsky (Verdi/Alleanza libera europea), chiedono l’introduzione di un programma paneuropeo di visti umanitari per i russi che si oppongono alla guerra. Il numero delle persone a rischio di repressione in Russia, nel frattempo, continua a proliferare.
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